In questi ultimi mesi abbiamo assistito a dozzine di tentativi di mediazione tra Gheddafi, i ribelli e la comunità internazionale.

Inoltre questa guerra si inserisce in un quadro particolarmente complesso di relazioni internazionali, che vanno dalle “primavere arabe” al disimpegno della potenza americana, particolarmente colpita dalla crisi economica “atlantica”.
(che la nostra stampa si ostina a definire “globale”).

Un ottimo sunto della situazione libica e un tentativo d’analisi, a cura della IAI (Istituto Affari Internazionali), con gli ultimi sviluppi diplomatici, lo trovate qui:
http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=1823

In estrema sintesi i fatti sono questi:
-la guerra dura da troppo tempo, tra l’altro eliminando la Libia come fornitore di petrolio e stato-investitore.
-l’intervento della NATO+- non è stato risolutivo, è molto caro per i nostri bilanci (e le scorte di bombe sono sempre ad un passo da finire).
-alcuni paesi iniziano a ritirare le truppe (Norvegia), altri le hanno ridotte ad un livello embrionale (USA) altri ancora iniziano ad averne abbastanza e potrebbero imitarli, di fatto sciogliendo la coalizione.
-i motivi per cui l’Europa è entrata in guerra erano poco chiari sin dall’inizio e non condivisi da tutti.
-Gheddafi riesce a difendersi abbastanza bene, almeno in apparenza.
-Il CNT è caduto nelle mani dei moderati, in buona parte ex gheddafiani, più o meno coinvolti nella fronda interna al regime di fine anni ’90.
-Le altre potenze non stanno affatto appoggiando la NATO+-, in pratica contro Gheddafi si sono mossi gli stati del golfo e lo zoccolo duro della NATO, ma molti membri NATO sono rimasti alla finestra, mentre Russia e Cina non fanno mistero della loro simpatia per il regime.
-Il mandato NATO scade comunque a settembre.
-Tutti i limiti del potere aereo stanno emergendo, ed in particolare è sempre più difficile trovare bersagli paganti senza iniziare a colpire obbiettivi strategici di natura civile, con il rischio di far salire il numero di “danni collaterali”, con un grave danno d’immagine.

Il risultato di tutto questo è una politica particolarmente contraddittoria, pochi giorni fa il CNT otteneva ulteriori riconoscimenti internazionali, mentre i diplomatici lealisti erano espulsi da Londra.
Oggi si tenta una spericolata mediazione con Gheddafi.

In particolare il Regno Unito e la Francia (!), sembrerebbero più che disponibili a lasciare il vecchio dittatore in patria.
Senza alcun ruolo politico, ovviamente.

Un problema perché, ufficialmente, Gheddafi non ha alcun ruolo politico ed è già solo “un privato cittadino”. Il che non gli ha mai impedito di comandare il paese.

Ma non sarebbe comunque un bene, se da questa guerra si uscirà con la diplomazia e il negoziato? Si può intravedere la fine della carneficina?

Non è così semplice, anzi credo sia dannatamente più complesso e pericoloso, preludio per un altra guerra.

Innanzi tutto perché la spartizione della Libia tra CNT e Gheddafi, che forse piace a non pochi al ministero degli esteri, è una bestialità.
Non sarà accettata dai libici, che non l’hanno mai chiesta e lascia Misurata, i Nafusa e il sud-ovest libico in balia di Gheddafi.

In secondo luogo perché il vincitore della guerra sarebbe il “tiranno”.
Il primo a “vincere” in questa stagione.
Con le conseguenze immaginabili a livello internazionale.

Ma questi sono problemi da ridere in confronto al vero rischio che una “pace lupina” comporta.
Queste trattative di vertice possono non essere accettate alla base, creando immediatamente una nuova, più complessa, guerra civile.

Come di mia abitudine guardo in primo luogo ai militari, partendo dal vertice dell’Esercito di liberazione nazionale per arrivare verso la sua base.

Il “ministro della difesa” del CNT è il generale Omar Mokhtar El-Hariri, già compagno di Gheddafi nella rivoluzione del 1969, si ribellò nel 1975, organizzando un colpo di stato militare “di sinistra”. Scoperto fu condannato a morte assieme ai suoi complici, ma poi la pena fu convertita nel carcere duro (5 anni di cella d’isolamento) e, dopo il 1990, dai domiciliari.

Non credo che l’idea di far la pace con Gheddafi sia sua, ma forse potrebbe accettarla.

Il “capo di stato maggiore” dell’esercito di liberazione nazionale è Abdul Fatah Younis, già ministro degli interni e uomo chiave del potere gheddafiano. Fino a pochi mesi fa era un “amico” di Gheddafi.

Ha molto da perdere se la rivoluzione va oltre un certo limite, quindi suppongo sarebbe più che felice di arrivare ad un qualche compromesso con il suo ex padrone.

Khalifa Belqasim Haftar è il terzo in comando.
Fu il colonnello che più si distinse nella guerra contro il Chad degli anni ’80, cadendo però in disgrazia subito dopo. Dopo un oscuro tentativo di congiura (1987) scappò in esilio ponendosi alla guida di un gruppo di fuoriusciti, associato alla CIA e ai Sauditi. Non è “solo” l’uomo della CIA in Libia, ma uno degli esponenti di spicco della resistenza a Gheddafi.

Probabilmente si infurierebbe se gli ordinassero di far la pace con Gheddafi, ma il suo obbiettivo, tornare in patria, lo ha già raggiunto.

Scendendo dagli alti gradi troviamo persone ben diverse e più interessanti.
Come il comandante Ibrahim Taher, ex professore di storia, che si è ritrovato alla testa del battaglione studentesco sui Nafusa, sostituendo il precedente comandante ucciso in combattimento.
A metà luglio il suo battaglione aveva un organico di 280 uomini, ma molte più persone sono passate dal suo comando, considerando quelle uccise, ferite, trasferite, catturate, disperse, o che hanno disertato.

Mentre tra gli alti gradi che ho descritto vi sono sia biografie di “nemici” personali di Gheddafi, sia persone che (come Younis) potrebbero anche accordarsi con lui, tra quelli inferiori abbondano gli Ibrahim Taher.
Il battaglione che comanda, simile a molti altri, era inizialmente formato per lo più da studenti universitari di Gharyan, rinforzati successivamente da giovani berberi di alcuni villaggi in cui si erano ritirati.
Si tratta di formazioni formate da persone che spesso si conoscono (quando non sono imparentate), amici accomunati dall’odio per Gheddafi, dalle sofferenze della prima linea e dalla memoria dei loro compagni morti.

Non obbedirebbero mai all’ordine di deporre le armi, e se la NATO+- li abbandonasse vorrebbe dire che ci considereranno degli inaffidabili traditori.

Per i piloti della NATO la guerra è una forma di routine, per i ribelli libici è un’esperienza cruda e concreta, da cui non si esce a comando.

Se il CNT ordinasse la fine delle ostilità non tutti ubbidirebbero, e già me li vedo ad accusare chi continua a sparare di essere un islamista.

Il genio della lampada della guerra è molto difficile da rimettere nella sua lanterna.

Valerio PeverelliIn 30 secondiguerra,in fiamme,libia
In questi ultimi mesi abbiamo assistito a dozzine di tentativi di mediazione tra Gheddafi, i ribelli e la comunità internazionale. Inoltre questa guerra si inserisce in un quadro particolarmente complesso di relazioni internazionali, che vanno dalle 'primavere arabe' al disimpegno della potenza americana, particolarmente colpita dalla crisi economica 'atlantica'. (che la...