Dopo 4 mesi di silenzio En route! ritorna a scrivere dalla Libia.

E’ un’ottima notizia perché quelli di En route! cercano di descrivere le cose come le vedono, e cercano bene, non si abbandonano alla tentazione di semplificare, sono affidabili nella misura del fatto che non parlano di cose che non sanno, segnalando di non saperle. In più non hanno interessi, non sono coinvolti in gioci di potere.

In Jeu de trônes (6 settembre) gli attivisti tracciano una preziosissima mappa delle entità politico-militari in campo, sottolineando che la spontaneità dei primi atti di ribellione ha lasciato il posto agli interessi particolari di chi ha combattuto (non necessariamente dalla parte dei ribelli), e criticando i “caricaturismi” dei media occidentali così come il “folklore” di al-Jazeera.

Il post mi restituisce una sensazione che ho da un bel po’. Da quando la parola è passata alle armi, parliamo dei primissimi giorni della rivolta libica, e soprattutto dal momento in cui è entrata in campo la NATO, i diversi gruppi di potere — o i singoli personaggi — si sono messi dall’una o dall’altra parte perché era scontato che si dovesse combattere, o rappresentarsi come combattenti, se volevano un posto al sole nella “nuova Libia” non gheddafiana che, visto l’intervento NATO, percepivano come inevitabile.

Questo “schierarsi per avere un posto al sole”, tuttavia, non implica l’assoluta necessità di combattere “dalla parte dei vincitori”. In una guerra si spara a chi ti spara, a chi non vuol trattare. Rappresentarsi come un difensore gheddafiano di Sirte che si arrende, oggi, può rendere molto di più che essere fra gli shebab della prima ora, cioè i veri portatori delle idee di libertà da cui è scaturita la rivolta.

In questo quadro di riferimento interpretativo — e ricordando che anche il LIFG è nella lista americana delle organizzazioni terroristiche — possiamo anche leggere le vicende dei jihadisti libici impegnati su vari fronti (leggine anche qui), così come le recenti provocazioni di Sayf al-Islam Gheddafi in merito a una Libia in mano agli islamisti (vedi questi post).

Il lascito della decapitazione di un regime — perché al di là del fatto che Gheddafi sia o meno catturato o ucciso, stiamo assistendo solo e soltanto a questo — è molto complesso da comprendere.

Nel caso libico ci sono gheddafiani che sono passati ufficialmente dall’altra parte, all’inizio del conflitto, durante il conflitto, al termine del conflitto. Ci sono gheddafiani che trattano e gheddafiani che ancora combattono per poter trattare una resa. Più si va avanti più scompaiono i gheddafiani “puri”, e questo è uno degli altri “naturali” sviluppi di una guerra.

Leggendo La bataille de Tripoli (in attesa che Valerio ce la racconti, sempre che ce la faccia, visti gli impegni che ha) si ha la precisa sensazione che in questa guerra si giochi la suddetta soffolta partita a scacchi, laddove Tripoli — che fino al giorno prima sembrava gonfia di gheddafiani — è stata “conquistata” senza sparare granché:

La vera battaglia si è tenuta da una parte ai piedi del Jebel Nafusa e per la riconquista della città di Zaouiya (qui tanto ha sofferto all’inizio della guerra), e dall’altra nella città di Zlitan, un territorio favorevole a Gheddafi, all’uscita ovest di Misrata.

In Tripoli ne fera pas la fête (5 settembre) si ha un buon termometro dell’esplosione della società libica post-gheddafiana. Si parla di “quartieri pericolosi, gruppi di combattenti con interessi a volte opposti, CNT contro lega dell’Ovest, vecchi gheddafiani, checkpoint ovunque, sete di giustizia, giovani coglioni in cerca di rispetto”.

Vi lascio con una descrizione di Misrata, da dove gli shebab di En route! provengono:

La katiba (brigata) resta qui l’unità di base dell’organizzazione. Esistono in questa città tre organi principali di centralizzazione.
La camera centrale delle operazioni, che è sostanzialmente l’organo diplomatico, divisa in tre “fronti”. Il fronte ovest, che si chiama Yomah Bahrour, il fronte centrale, chiamato Fachloum, e il fronte est, chiamato Nalut.
Il consiglio della città tratta gli aspetti civili: principalmente media, ospedali, approvvigionamento alimentare.
L’unione dei combattenti, che è un organo indipendente dagli altri due, ha il più forte potere decisionale, le sue assemblee sono più grandi (generalmente intorno alle 200 persone, ma anche 2000, sono aperte a tutti i combattenti). Tutti i gruppi lì sono rappresentati. Il soviet è la forma a cui questa assemblea assomiglia di più, che formula gli orientamenti per altre due camere.
Il fatto che le katiba siano l’organizzazione per eccellenza significa che ogni combattente ha la sua (inclusi quelli che si occupano della logistica, del cibo, dell’acqua, di comunicazione, del porto, dei laboratori). Ognuna ha una sua base, la sua vita comune, i suoi pick-up, le sue armi, i suoi mezzi informatici, le sue cucine, le sue radio…
Quella del port tiene il porto, le katiba Albous e  Thaquil fanno l’offensiva verso Sirte, quella dell’est tiene Tripoli e la strada che vi ci porta.

 

Lorenzo DeclichIn fiammeguerra,libia,libyan islamic fighting group,misurata,rivolta,tripoli
Dopo 4 mesi di silenzio En route! ritorna a scrivere dalla Libia. E' un'ottima notizia perché quelli di En route! cercano di descrivere le cose come le vedono, e cercano bene, non si abbandonano alla tentazione di semplificare, sono affidabili nella misura del fatto che non parlano di cose che...