Il 20 agosto è cominciata l’operazione “sposa del mare” che doveva portare, nel giro di 8 giorni di furiosi combattimenti, alla caduta della capitale libica nelle mani degli insorti.

Ho cercato di comprendere come si siano svolte le operazioni, ma mi sono più volte incagliato in fake, elementi di propaganda, menzogne pure e semplici, distorsioni della realtà, ecc. ecc., quindi questo post è il risultato molto provvisorio della mia analisi sull’operazione più grande, sanguinosa e complessa di questa guerra (che dura da più di 200 giorni).
Anzi molte fonti che io ritengo piuttosto affidabili (come En route) vi diranno il contrario di quanto affermo su alcuni particolari e dettagli (e la verità sta nei dettagli), ritengo dipenda dalla differenza di interpretazioni.

Un ulteriore motivo di incertezza deriva dallo spirito anarchico che anima molte brigate ribelli, a parole fedeli al CNT, ma che operano sul campo in maniera scarsamente coordinata con il comando (ammesso che un’unità di comando esista davvero), tutt’altro che disposte ad ubbidire agli ordini. Sopratutto dopo aver constatato che la morte di Younis ha facilitato le operazioni, lasciando adito alla conferma di tutti i sospetti che circolavano su doppi e tripli giochi di autorevoli esponenti del comitato militare di Bengasi, spesso legati al passato regime o a potenze straniere.
Quindi ogni brigata ha raccontato la sua verità sulla battaglia ai giornalisti.

Infine vi anticipo che il dono della sintesi non è una mia prerogativa, questi post (saranno almeno tre sulla battaglia) sono lunghi da leggere (ed ancor di più da scrivere…)

Innanzi tutto, come in qualsiasi operazione militare, è opportuno considerare lo spazio geografico.
Tripoli è una città piuttosto grande, circa 1,6 milioni di abitanti (anche se la quota di immigrati stranieri, numerosa prima della guerra, probabilmente è notevolmente diminuita), a parte la città vecchia è decisamente pianeggiante e comunque non sono presenti punti di rilievo notevoli come punti d’osservazione, eccetto alcuni grattacieli molto moderni sul lato occidentale del lungomare.

La città vecchia è costruita su una penisola calcarea che formava una baia su un promontorio, ora incluso nella struttura urbana. Nei suoi pressi si trovano quartieri “all’europea” costruiti da turchi ed italiani (ma notevolmente modificati), e numerose strutture moderne, inclusi palazzoni in stile edilizia popolare sovietica che si moltiplicano verso sud-ovest (dove ci sono i quartieri “ricchi”), framezzandosi a quartieri popolari con costruzioni basse e ammassate su vie strette (più diffusi verso est).
Molte vie di comunicazione importanti formano dei semicerchi concentrici allungati verso est, intersecate da ampi assi viari che convergono verso il mare.
Vi è anche una notevole differenziazione sociale tra quartiere e quartiere, con alcune zone praticamente riservate agli impiegati statali di alto livello, ed altre al sotto-proletariato urbano, in cui troviamo strade non asfaltate, edifici bassi ammassati fuori da una griglia urbanistica stabile.

Importante è anche la presenza di ampi parchi pubblici, soprattutto immediatamente a sud di Bab al-Aziziyya (con lo zoo), mentre bisogna ricordarsi che la città è molto più lunga — adagiata sul mare e sull’asse est-ovest — che profonda.
Il quartiere di Abu Selim (dove sorge l’hotel Rixos) è abitato in maggioranza da dipendenti pubblici vicini o fedeli alla dittatura (e dalle famiglie delle guardie carcerarie), anche Salahudin ed altri quartieri/sobborghi risultano più lealisti di altri.
Non esistono quasi tracciati ferroviari, con le loro massicciate, visto che Gheddafi odiava le ferrovie e lasciò cadere in disuso sia quanto costruito dagli italiani (non era poi molto), sia quanto progettato negli ultimi anni del regno di Idris I.

Il 20 Agosto Tripoli era ancora relativamente lontana dalle zone controllate dai ribelli (almeno 27 km ad ovest, una trentina a sud, più di 50-60 ad est, da questa direttrice la strada era massicciamente difesa dalla 32° brigata, priva però del suo comandante). La città soffriva da quasi un mese di elettricità discontinua, talvolta anche interruzioni dell’acqua, e da maggio (o prima) di fortissima carenza di benzina e carburanti.
Questa risultava molto forte anche molto prima che i ribelli tagliassero la linea di collegamento con la Tunisia. Scarse e costosissime anche le bombole di gas da cucina (significativo che in un paese ricco e produttore come la Libia non esista ancora un rete del gas che copra il 100% della capitale).

Le scorte di viveri non si sono mai del tutto esaurite, ma il prezzo degli alimentari (importati da Algeria e Tunisia) ha subito un costante rincaro dall’inizio della guerra (alcuni generi del 300%), e periodicamente alcuni alimenti sparivano dai mercati. In particolar modo, per la carenza di elettricità, surgelati e latticini freschi diventavano sempre più rari.

In questo si evince uno dei fallimenti del regime, anche per l’inefficienza e la corruzione dimostrata nella rete delle jamiah, le cooperative della Jamahiriyya incaricate dal regime fino a metà anni ’90 di distribuire il cibo razionato, riattivate per l’occasione.
Il regime nazista, grazie alla pervasività e all’efficienza della sua rete di aiuto riuscì a sfruttare i bombardamenti e le privazioni della seconda guerra mondiale per irregimentare e controllare la società tedesca quanto mai prima, invece quello libico ha sostanzialmente quasi abbandonato il popolo a se stesso, riuscendo solo a truffare sul peso delle dosi teoricamente garantite alle famiglie, screditandosi (anche se qualche funzionario di medio livello potrebbe essersi enormemente arricchito con il mercato nero).

Poi la distribuzione di cibo, e il calmiere imposto ai prezzi, sono completamente saltati verso la fine di luglio, in prossimità con l’inizio del Ramadan, creando ulteriore scontento per le lunghissime file davanti alle “cooperative” della jamiah.

Inoltre quando non si riesce ad organizzare una distribuzione razionata della benzina efficiente, ma anzi la si distribuisce con il contagocce e in maniera non coordinata dallo Stato, vedere i sostenitori del regime sempre con il serbatoio pieno, è un sistema perfetto per generare odi e invidie.

Lo strangolamento delle forniture di benzina era in parte un idea di Alan Duncan, Ministro per lo sviluppo internazionale britannico (sic), che ha saputo gestire egregiamente l’embargo contro la Libia anche oltre le norme stabilite dall’ONU, ed in parte dalla perdita di raffinerie e giacimenti, unita ai sabotaggi dei ribelli e all’inefficienza della rete di contrabbando con Algeria e Tunisia, mai controllata direttamente dallo stato. Comunque che un paese come la Libia abbia una sola raffineria funzionante (le due nell’est del paese non sono in grado di svolgere tutti i procedimenti), per di più costruita negli anni ’60, e quindi dipenda dalle importazioni, è un segno del fallimento di Gheddafi, come stratega e come capo di stato, che si commenta da solo.

Un’altra cattiva idea è stata quella di bloccare il servizio di SMS sui telefonini (e a singhiozzo anche il segnale), eccetto per i messaggi di propaganda che invitavano tutti i cittadini libici ad impugnare le armi e a marciare contro i ribelli. Mentre le bombe della NATO+- cadevano sulle città i tripolini avrebbero voluto poter chiamare i parenti e i conoscenti per sapere come stavano, non essere invitati ad andare in prima linea senza organizzazione né addestramento. Comunque qualche ultras del regime deve anche essersi lasciato convincere, perché a difendere Gheddafi negli ultimi giorni c’erano anche cittadini qualunque (non molti) poco distinguibili dai ribelli.

Del resto tutti i dittatori sono stati molto amati dai loro popoli, in verità più di quanto sia possibile per qualsiasi leader liberamente eletto, ma la luna di miele tra Gheddafi e la Libia era decisamente finita.

Tagliare internet e limitare la telefonia senza riuscire mai ad oscurare Al-Arabiya, Al-Jazeera, la BBC e la CNN (ed in buona parte del paese nemmeno Libya Horra) significa solo impedire alla gente di informarsi e renderla dipendente dalla propaganda straniera (unita a quella nazionale), la condizione perfetta perché la propria propaganda risulti depotenziata da leggende e, contemporaneamente, quella nemica risulti potenziata dalla mancanza di informazioni, soprattutto se i tuoi avversari sanno usare la propaganda molto meglio di te.
Inoltre, così facendo, il potere delle televisioni aumenta, aumenta, aumenta, e questo, come vedremo è molto importante per come vengono combattute queste guerre.

La città, come si può immaginare, è un’importante sede di guarnigione militare, ed un centro di concentramento di posti di comando e controllo, caserme, arsenali e istallazioni militari di tutti i tipi, sia in città, sia negli immediati sobborghi, tanto da attrarre, nel corso della guerra, più di 710 bombardamenti NATO (esclusi quelli sulla provincia), di cui ben 64 su Bab al-Aziziyya, più che una abitazione principesca, un complesso polifunzionale da cui si diramava il controllo politico-militare sul paese.
I bombardamenti, sopratutto dopo l’8 agosto, hanno coinvolto (o così pare) anche bombe particolarmente pesanti (o rumorose-luminose), con un effetto terrificante, accresciuto dai volantini che invitavano gli abitanti a sgomberare determinate zone in cui la NATO +- prevedeva bombardamenti.
Per puro effetto psicologico la NATO faceva eseguire anche numerosi sorvoli a media-bassa quota ed alta velocità, senza sgancio di bombe ma con il rumore degli aerei a ricordare chi comanda nel cielo.
Il 12 agosto invece, per la prima volta, fu possibile udire il tambureggiare di artiglieria in lontananza da sud e sud ovest, segno tangibile per tutti, anche chi era tagliato fuori dalla propaganda qatariota, che il fronte si stava avvicinando alla città.

Non va sottovalutato, ma nemmeno sopravvalutato, questo “ammorbidimento” delle difese libiche effettuato dalla NATO+-, probabilmente molti di questi bombardamenti hanno colpito bersagli ormai evacuati (la NATO si è accanita su alcuni bersagli colpendoli diverse volte), qualcuno ha colpito bersagli civili per errore.
I risultati psicologici sono probabilmente superiori a quelli pratici, ma i danni al personale, alle installazioni e al materiale ci sono stati.

(la distruzione di una casa il 19 luglio è confermata, provocando la morte di Karima al-Ghrary, suo marito, Abdullah, suo fratello Faraj ed i loro figli piccoli, Khalid, 3 anni, e Jomana quasi 2, la cui unica colpa era di essere vicini di casa di un’istallazione dei servizi segreti, ma la maggior parte dei danni a bersagli civili sono “di prossimità”; si noti, ulteriore danno d’immagine per Gheddafi, che i risarcimenti promessi per le vittime non erano ancora stati consegnati ad agosto).

Il 14 agosto Gheddafi ha commesso un grave errore propagandistico, parlando di distruggere il paese piuttosto che consegnarlo al nemico. Una sorta di “caduta degli dei” che, malgrado la forza retorica, non poteva piacere al popolo e preannunciava il successivo, fallimentare e velleitario, utilizzo degli Scud, l’unica arma di distruzione di massa rimasta a Gheddafi.
Preannunciava anche tutta una serie di defezioni di alto e medio livello che si sono succedute in quei giorni, mentre l’offensiva costiera dei ribelli era in pieno svolgimento. Tra l’altro le zone liberate dai ribelli non erano escluse dalla rete telefonica (non tempestivamente almeno) permettendo una certa circolazione di notizie da e verso Tripoli.

Un’altra debolezza della propaganda gheddafiana è la negazione della vista del “corpo del capo”, il negarsi alle telecamere del colonnello lo indebolisce costantemente, anche perché è facile dare adito a supposizioni come quella che in questi giorni si sia cambiato i connotati, magari addirittura con un operazione plastica, e quindi lui stesso si stia preparando per la fuga o la clandestinità. Non certo una scelta coraggiosa mentre chiede ad altri di morire per il suo potere personale.

Il 19 invece, tocco di genio o preveggenza? Successo dello spionaggio? Tentativo di mettere le mani avanti? Costruzione di uno dei fake più elaborati da quando si parlò del “falso” sbarco sulla luna?
I media di Gheddafi hanno annunciato che a Dhoa si stava girando il film della liberazione di Piazza Verde, per far credere alla vittoria dei ribelli anche se questa non fosse avvenuta. Vedremo poi quanto questa questione sia importante e controversa.
Si noti che in precedenza (almeno dal 17 agosto, e anche dopo, fino al 21) la TV libica parlava, non di Piazza Verde, ma di Bab al-Aziziyya ovviamente ricostruita a Dhoa ecc. ecc.
Questa confusione tra Piazza Verde e Bab al-Aziziyya dovrebbe risultare sospetta, non trovate?

Tra il 18 e il 19, inoltre, sono cominciati i primi scontri a fuoco per le vie di Tripoli, pochissimi ed episodici, oltre che scoordinati, significativi tanto della presenza di gruppi armati di oppositori in città, quanto del nervosismo delle guardie. Contemporaneamente (e con molto ritardo), sono state iniziate alcune opere difensive fisse (fossati, barricate, ecc. ecc.) sulle vie di avvicinamento alla capitale ed in alcuni sobborghi a sud.

Ovviamente fortificare la propria capitale nei mesi scorsi, magari dopo il fallimento dell’offensiva lealista contro i Nafusa (a maggio), sarebbe stata un’ammissione di debolezza e di pericolo, estremamente dannosa a livello propagandistico. Comunque sono state usate poche mine, segno che i bombardamenti NATO +- hanno inciso pesantemente sulle scorte.

Non dispongo di alcuna stima attendibile della consistenza della guarnigione lealista di Tripoli in questi giorni, probabilmente non esistono stime attendibili nemmeno negli archivi governativi se è vero che le defezioni sono aumentata costantemente per il mese di luglio ed agosto.

I lealisti, che lo ricordo hanno arruolato a destra e a manca dall’inizio della rivolta e formato delle milizie civili di fedelissimi (che però sembra siano le unità lealiste più umorali) potrebbero aver avuto quasi 20.000 uomini nella provincia di Tripoli, di cui almeno al metà in città.

Una cifra che sembra alta, ma che in realtà è decisamente insufficiente per coprire un fronte urbano lungo circa 40 km e largo almeno 7-8 nel punto maggiore (ma per prudenza bisognerebbe allargarlo almeno a 15 km, per mettersi al sicuro dall’artiglieria, allungandolo quindi a una cinquantina di km, in pratica tutto il promontorio di Tripoli).

Inoltre le guarnigioni delle città capitali hanno sempre un elemento di debolezza, ovvero comprendono una percentuale molto alta di appartenenti ai servizi, alla logistica, tecnici, musicisti, alti ufficiali, personale amministrativo e militari non in ruolo combattente.
Insomma non paracadutisti e reparti d’assalto.

In questa cifra non sono comunque compresi i reparti non appartenenti all’esercito, come le “amazzoni” di Gheddafi (le storie sugli stupri cui il capo le sottoponeva andranno approfondite dopo la guerra, ma non mi sembrano inverosimili; bunga-bunga, papi ecc. ecc., mi ricordano qualcuno), la guardia presidenziale, le truppe controllate dal ministero degli interni e dallo spionaggio e i civili in armi che sostengono Gheddafi.

Queste ultime unità hanno dato prova di una certa indisciplina e di un certo abuso di alcol e hashish, oltre a comportamenti diametralmente opposti sul campo di battaglia, dalla diserzione in favore del nemico alla resistenza all’ultimo uomo. Già mi immagino che tra quarant’anni saranno trattate in un futuro parlamento libico, di cui mi auguro l’apertura, come i ragazzini di Salò lo sono nel nostro.

La qualità delle truppe a disposizione di Gheddafi è costantemente diminuita durante la guerra, anche per la necessità di sostituire le perdite e le difficoltà a reclutare grosse masse di mercenari, in pratica i regolari di oggi somigliano molto di più, nell’armamento, nell’equipaggiamento, nell’addestramento e finanche nella scarsità di divise, ai ribelli.

Va infine considerato che l’esercito gheddafiano ha mostrato evidenti segni di crollo in questa battaglia, che non sono in contraddizione con l’ostinata e caparbia resistenza di molti reparti, e le numerose controffensive tentate durante la battaglia.
Però se confrontiamo la situazione disperata delle forze ribelli e il loro atteggiamento a Misurata, sopratutto nel primo mese dopo l’inizio della rivolta, quando la città era completamente isolata dal mondo (anche via mare), e la NATO non aveva ancora deciso se appoggiare gli insorti o Gheddafi, con quelle delle forze lealiste negli otto-nove giorni della battaglia di Tripoli notiamo una differenza profondissima, sia negli esiti che nella psicologia dei combattimenti.

Uno dei problemi dei lealisti era lo scarso lealismo di molti soldati regolari ed ufficiali, a tutti i livelli, con numerose voci di spie ribelli ed infiltrati a tutti i livelli della macchina militare gheddafiana. Comunque va tenuto presente che il sospetto di tradimento è una costante per gli eserciti sconfitti; i ribelli dicono di avere avuto numerosi alti ufficiali di Tripoli dalla loro parte da mesi, ma anche questa può essere una strategia, efficace, per accrescere paranoie e sfiducie.

Anticipo che, a mio avviso (c’è forte incertezza anche su questo), i combattimenti sono stati asprissimi, cruenti, e particolarmente sanguinosi per le medie di questa guerra, spesso sostenuti senza dare quartiere. I ribelli erano esaltati e spinti da una propaganda particolarmente azzeccata, mentre i lealisti avevano dalla loro la disperazione, che può dare forza tanto quanto può toglierla.

Il tempo per tutto agosto è stato relativamente sereno, prima non particolarmente caldo, la temperatura era salita a fine mese, con cieli azzurri e notti chiare, ideali per le operazioni aeree.

Queste ultime si erano intensificate in Tripolitania in concomitanza con l’offensiva costiera, pur non raggiungendo cifre elevatissime. Erano affiancate da incursioni di droni e di elicotteri; non bisogna però immaginare un intervento massiccio a livello vietnamita, gli elicotteri disponibili erano circa una dozzina al giorno (o meno), i droni appena di più (ma molti solo da ricognizione). I voli di trasferimento mediamente lunghi e il “tempo sull’obbiettivo” brevi, la quota alta, mentre il caldo danneggia gli elicotteri.

Le regole d’ingaggio però erano (e sono) ormai completamente belliche e senza più nemmeno una parvenza di rispetto, magari anche solo formale come ancora qualche mese fa, di quanto stabilito nelle risoluzioni dell’ONU, che risulta uno dei grandi sconfitti, forse il più grande sconfitto, di questa guerra.

Valerio PeverelliFuori misuraIn fiammeguerra,libia
Il 20 agosto è cominciata l'operazione “sposa del mare” che doveva portare, nel giro di 8 giorni di furiosi combattimenti, alla caduta della capitale libica nelle mani degli insorti. Ho cercato di comprendere come si siano svolte le operazioni, ma mi sono più volte incagliato in fake, elementi di propaganda,...