[Rimando qui un pezzo di Paolo Lapponi]

L’avanzare della crisi finanziaria appare inarrestabile, ed essa, pur investendo l’intera economia mondiale mette alle corde soprattutto le potenze occidentali e la loro idea di democrazia, con ovvie ed importanti conseguenze nei conflitti politico/militari di carattere globale.

Probabilmente l’area che ne risulta maggiormente interessata è il continente asiatico, in maniera particolare l’Eastern Asia, la Southern Asia e l’Western Asia: sono in gioco incalcolabili risorse energetiche e minerarie, è in gioco il controllo dell’ “economia mondo”

A 10 anni dall’11 settembre, il pericolo di un’accelerazione dei conflitti “militari” in queste regioni dell’Asia, rende conto quantomeno di qualche sintetica ma necessaria riflessione, soprattutto per la retorica rievocativa mediatica e per la conseguente torsione, falsificazione e banalizzazione dei fatti storici che già caratterizza il decennale dell’attentato alle Twin Towers.

“The big game” al quale mi riferisco si concentra nella regione forse più pericolosa del mondo, quell’enorme territorio compreso tra Afganistan e Iran, tra Pakistan e India,

questi ultimi due acerrimi nemici ed entrambi ufficialmente dotati dell’arma nucleare dal 1998.

In questo contesto Hina Rabbani Khar, giovane, ricca e affascinante imprenditrice 34enne, con alle spalle un Master of Science dell’University of Massachusetts nel 2001, è stata nominata ministro degli esteri del governo pakistano il 20 luglio 2011.

Hina Rabbani Khar, nuovo ministro degli esteri pakistano

 

Tenuto conto del fatto che il Pakistan assume attualmente il luogo chiave di tutti i più pericolosi intrighi d’oriente, Khar è divenuta immediatamente operativa. Ha visitato prima l’Afghanistan e poi l’India, dove ha subito provocato polemiche – definite “violazioni del protocollo” – per aver incontrato i leader separatisti del Kashmir prima dei rappresentanti del governo indiano.

“Ha poi scelto la Turchia per il suo terzo viaggio ufficiale oltreconfine. Ahmet Davutoğlu, ministro degli esteri turco, ha avuto per lei parole di grande apprezzamento: e l’ha definita “una grande opportunità per il mondo islamico”, “una voce forte e autorevole”, in quanto donna e musulmana – elegante nella figura e nel portamento – capace di migliorare la percezione negativa – in Occidente – del Pakistan, dell’Asia, dell’Islam. Una nuova Benazir Bhutto, magari meno compromessa col passato e meno incline alla corruzione? Davutoğlu sembra pensarlo sinceramente.”

(http://networkedblogs.com/lAEuR – 12 agosto 2011)

1. Un pericolo che viene da lontano: sessant’anni di guerre interminabili

E’ praticamente impossibile comprendere la complessità storica dei drammatici conflitti che da decenni insanguinano l’intera regione indo-centro-asiatica se non se ne risale all’origine. Le cause dell’attuale situazione sono uno dei risultati della spartizione del mondo da parte dei vincitori dell’ultima guerra e delle loro scellerate scelte, dettate in gran parte dall’ingloriosa fine dell’impero coloniale britannico, in questo caso con l’artificiale “creazione” del Pakistan e dell’India.

«A causa della decisione inglese di un sistema elettorale che divideva gli indiani in comunità musulmane e indù, dopo le elezioni del 1945 il movimento per la creazione di uno stato nazionale musulmano non poté più essere tenuto a freno: senza spartizione, sarebbe stata guerra civile. Alla fine ci furono entrambe. Nel 1946 sia il Congresso sia la Lega mussulmana scartarono il piano britannico per la creazione di uno stato federale; nel 1947 anche il Congresso era ormai pronto ad accettare la spartizione e rimanevano soltanto da stabilire i confini. Il 14 agosto nacque il Pakistan e il 15 agosto l’India divenne uno stato indipendente. Le nuove nazioni videro la luce in mezzo alle convulsioni di una guerra civile e interetnica fra le più terribili della storia moderna. Milioni di individui furono costretti ad abbandonare le proprie case; gli indù fuggirono dal Pakistan, i musulmani dalle zone indù; centinaia di migliaia di persone furono uccise negli scontri fra le due comunità. Le due nazioni entrarono subito in guerra per il Kashmir, di cui l’India si impossessò col pretesto che il sovrano era indù, ad onta del diritto della regione di far parte del Pakistan in virtù della sua popolazione musulmana. La spartizione del subcontinente indiano è un evento paragonabile a quelli che portarono alla formazione dei vari stati balcanici e di quelli arabi e turchi in Medio Oriente.»

(Ira M. Lapidus, “A History of Islam Societies” Cambridge, 1988)

Oltre alle innumerevoli problematiche etniche della vasta regione indo-centro-asiatica, due sono le principali criticità negli incerti e contestati confini della nuova nazione Pakistana: il Kashmir e il Baluchistan, entrambi caratterizzati da forti e tradizionali movimenti autonomisti.

2. IL Kashmir, la LjT e l’ISI

La “questione Kashmir”, madre di tutte le stragi compiute in India, ha origine dunque fin dal 1947 con il primo conflitto indo-pakistano che termina nel 1948 con il “cessate il fuoco” imposto dall’ONU e con la famosa linea di controllo provvisoria “Loc”.

Kashmir, confini incerti e territori contesi

 

India e Pakistan hanno combattuto 4 guerre per la sovranità del Kashmir. Dal canto suo la Cina dal 1959 rivendica ed occupa di fatto la Shaksam Valley, il cui confine con il Pakistan in pieno Himalaya è segnato dal K2 o Karakorum 2; la Cina rivendica ed occupa anche la più vasta e orientale zona dell’Aksai Chin.

Ma il punto di svolta di tutta la questione Kashmir giunge al termine dell’invasione Russa dell’Afganistan, il 1989. Da quel momento infatti l’attenzione dei mujaheddin, armati dagli americani/sauditi in funzione anti-russa, si sposta decisamente sul Kashmir, tramite una serie di organizzazioni combattenti islamiche che si alleano ai movimenti separatisti del Kasmhir. Tra queste, la più importante e pericolosa è la LjT [Lashkar-i-Toiba], fondata alla fine degli anni 80 da uno dei ricercati numero uno al mondo, un uomo considerato tra i più pericolosi del pianeta: Mohammed Hafiz Saeed.

Mohammed Hafiz Saeed, ex professore di Studi Islamici all’Università di Lahore, si presenta come un filantropo a capo di un’organizzazione umanitaria denominata JuD [Jamaat-u-Dawa] considerata il braccio politico della LjT. La più importante sede della JuD, “organizzazione non governativa senza scopo di lucro”, è situata a Muridke, 30 km da Lahore, e gestisce, un ospedale, un servizio di ambulanze, cliniche mobili, banche del sangue, più di 100 scuole secondarie, una fattoria modello, residenze per studenti e professori e una vasta rete di scuole coraniche. E’ finanziata con denaro saudita, dal 2009 riceve contributi pubblici ed è appoggiata dal governo pakistano. La JuD è stata attivissima nel terremoto del 2005 e nell’alluvione del 2010 e organizza permanentemente campi profughi e rifugiati.

Ma dietro questa realtà umanitaria c’è il suo strettissimo legame con la LjT e con la sua imponente e capillare rete di “uffici” in tutto il Pakistan e nel resto del mondo, dalle Filippine alla Cecenia, dall’Arabia Saudita alla Gran Bretagna, all’India alla Germania, agli USA, all’Australia. I suoi obiettivi sono molto più vasti della semplice liberazione del Kashmir, i suoi contatti con Al Qaida sono stretti e comprovati, come pure quelli con i potenti servizi segreti pakistani: il famigerato ISI [Inter Service Intelligence – Servizi Segreti Interarma].

Il Kashmir in una mappa della Central Intelligence Agency - 2003

 

L’ISI fondato nel 1948 su modello iraniano, fu inizialmente addestrato dalla CIA e dall’intelligence francese. I suoi rapporti con la CIA divennero sempre più stretti dall’inizio dell’invasione dell’Afghanistan da parte della Russia. Tanto per avere un’idea, la CIA fornì armi sufficienti ad armare 240.000 uomini, e i sauditi altrettanto; armi che attualmente risultano “disperse”, nessuno sa chi ne abbia il controllo. Tutti gli aiuti militari ed economici che arrivano in Pakistan vengono gestiti dall’ISI senza che ne debba render conto a nessuno al di fuori del proprio governo, e spesso neanche a quello. L’ISI controlla anche l’enorme traffico di oppio tramite una struttura messa in piedi a suo tempo in collaborazione con la CIA: interminabili colonne di Tir, scortate da appositi reparti dell’esercito pakistano, traversano catene montuose, valichi e steppe in un lunghissimo viaggio dall’Afganistan al Pakistan fino al porto di Karachi, ove vengono poi imbarcati verso i ricchi mercati d’occidente. Il valore di questa merce è incalcolabile e i dirigenti dei vari Servizi, gli agenti segreti operativi nella zona, gli avventurieri d’ogni tipo e provenienza, uomini senza scrupoli che fanno il doppio e triplo gioco, i rappresentanti dei più diversi gruppi armati, i capi militari dei vari distretti, tutti si spartiscono una fetta dell’ingente bottino, indipendentemente dalle strategie dei propri governi. Ma è l’ISI che da carte. Almeno da quando ha inventato i Taliban – l’originario movimento studentesco di Kandahar – mandandoli al potere a Kabul. Invenzione peraltro realizzata in accordo con Benazir Bhutto, con gli USA, la Gran Bretagna e gli altri alleati occidentali.

“L’opinione di molti, fuori e dentro il Pakistan, è che il mostro creato dall’ISI e dalla CIA, che comprende i Taliban, Al Qaida e la stessa ISI, sia diventato una specie di Frankenstein su cui nessuno riesce ad esercitare ormai un vero controllo”

(“Apocalisse Pakistan” di Francesca Marino e Beniamino Natale, Ed. Memori, aprile 2011)

Non si può infine dimenticare l’altra fondamentale fonte di risorse e di condizionamenti per il governo pakistano e per l’ISI: la Cina, i cui interessi nell’area sono oramai decisivi e strategici. Da un paio di decenni la Cina investe sempre più in risorse economiche, armamenti, consulenza tecnologica, a favore del governo pakistano e dell’ISI, i quali ultimi ricevono dunque ingenti risorse e know-how sia dagli americani, sia dai loro dichiarati rivali cinesi, sebbene per scopi politici diametralmente opposti.

Ma il Pakistan è sempre riuscito a barcamenarsi tra i più diversi alleati. Lo ha fatto nonostante le forti e contrastanti personalità che hanno guidato il suo governo negli ultimi 40 anni, le quali hanno di fatto garantito con grande spregiuticatezza una “continuità” nei programmi strategici pakistani, in primis quello nucleare. Lo ha fatto nella crescente dimensione dello “Scontro tra Civiltà” – sul quale gran parte dell’Occidente ha soffiato avventatamente sul fuoco -, lo ha fatto dando corda all’ISI, alla LjT e al loro sogno di un “grande Califfato islamico” che comprendesse tutte le regioni islamiche (sunnite e sciite) dal fiume Indo alla Turchia.

Per questi e per tanti altri aggrovigliati motivi, coloro che sostengono che dietro l’11 settembre ci sia ben altro che Bin Laden non sono lontani dalla realtà: Osama Bin Laden ne è stato l’emblema ideologico, ma è del tutto verosimile sostenere che l’attentato alle Torri Gemelle sia stato organizzato ed eterodiretto dalla stessa ISI, supportando e orientando la LjT sul piano operativo e utilizzando finanziamenti e apporti logistici della stessa CIA, la quale ultima non può non esserne stata consapevole, se non altro a livello di una ristretta lobby interna e dei suoi agenti operativi sul campo.

Mohammed Hafiz Saeed

 

In questo quadro, una delle intelligenze occulte più significative è senza dubbio il già citato potente leader della Jamaat-u-Dawa: Mohammed Hafiz Saeed

“Certamente l’ipotesi di un conflitto nucleare non fa piacere a nessuno ma, a questo punto, non è del tutto improbabile. Che altra opzione ci resta? Il Pakistan non ha scelta, siamo stati messi nell’angolo. E se l’Occidente e tutti gli amanti della pace nel mondo vogliono evitare un conflitto nucleare , farebbero bene a riflettere sul dal farsi. Se il mondo vuole evitare una guerra nucleare deve fermare l’India.”

Mohammed Hafiz Saeed, ottobre 2010

3. Il padre della Bomba Nucleare pakistana, l’eroe nazionale Abdul Qadeer Khan

Abdul Qadeer Khan è diventato famoso come scienziato/spia e creatore di un’organizzazione clandestina specialista nel reperire e nell’assemblare tutto il necessario per realizzare un ordigno nucleare “chiavi in mano” da vendere al miglior offerente, in primis al Pakistan. Nato a Bhopal in India nel 1935, emigrato in Pakistan nel 1952, laureato all’Università di Karachi in ingegneria metallurgica [e l’uranio come si sa è un metallo], dopo un fortunato matrimonio con Hendrina Donkers, sudafricana di origine olandese, riuscì a entrare nei laboratori olandesi di fisica dinamica dell’FDO del gruppo Urenco, il consorzio tra Olanda, Gran Bretagna e Germania per lo studio della tecnologia di arricchimento dell’uranio (Heu: Highly enriched uranium) .

La storia della bomba nucleare islamica/pakistana, la storia del furto ad opera di Khan del progetto (classificato come “segretissimo”) dell’Ultracentrifuga a Gas di seconda generazione G-2 di proprietà Urenco, non sono mai state completamente chiarite.

Mentre il Pakistan aveva già da tempo avviato il suo programma nucleare A.Q. Khan lavorava nell’ombra. Certo è che Abdul Qadeer Khan nel dicembre del 1974 incontrò personalmente e riservatamente Zulfikar Alì Bhutto a cui spiegò i segreti della tecnologia Urenco per l’arricchimento dell’uranio ai quali lui aveva libero accesso. Altrettanto certa e documentata è la presenza – in qualità di supervisore generale – di Abdul Qadeer Khan la mattina del 28 maggio 1998 nel bunker di controllo dei primi test ufficiali di esplosioni atomiche pakistane effettuate presso Chagai in Baluchistan: era la risposta alle 5 esplosioni atomiche indiane effettuate solamente 17 giorni prima.

Dall’altra parte:

“Il reattore pakistano di Kahuta, primo nucleo del programma, fu costruito nel 1979 con la Cina e la Francia, e venne consegnato nel 1984. I media trasmisero l’idea che i piani dell’Urenco (che furono utilizzati per erigere Kahuta) furono stati rubati da Khan, quando in realtà l’Urenco li ha segretamente forniti con l’approvazione degli Stati Uniti”

(Dominique Lorentz, Affaires atomiques, Les Arènes, 2001, p. 453)

Schema di una Centrifuga a Gas tipo G-1 per l'arricchimento dell'Uranio 235, produzione USA, anni 70

 

Dunque sebbene i pareri divergano, rimane il fatto che Abdul Qadeer Khan ebbe accesso al progetto G-2 e ne curò personalmente la traduzione olandese-tedesco (Khan parlava e scriveva correttamente 4 lingue); rimane il fatto che A.Q. Khan giocava su molti tavoli operando a Dubai, centro di smistamento di tutti i traffici legali ed illegali, un porto di mare senza regole ove si facevano poche domande, si concludevano rapidamente affari tramite la Bank of credit and commerce international (Bcci) e dove passarono esponenti del governo Sudafricano, Iraniano, Libico, Nord Coreano e chissà quanti altri. Rimane il fatto che, con o senza Khan, gli americani sapevano.

“In parte per conto dei militari pakistani, in parte per sua propria iniziativa, A.Q. Khan aveva messo in piedi una formidabile organizzazione per la proliferazione nucleare, una sorta di Spectre della tecnologia atomica che non aveva uguali al mondo”

(“Apocalisse Pakistan” di Francesca Marino e Beniamino Natale, Ed. Memori, aprile 2011)

Abdul Qadeer Khan subito dopo il test nucleare pakistano del 1998

 

Attualmente si calcola che India e Pakistan schierino lungo le loro frontiere circa 200 testate nucleari.

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“Nel 2009, i principali fornitori di armi del Pakistan sono stati Svizzera, Danimarca, Germania, Stati Uniti d’America, Francia e Arabia Saudita”

(Israelvalley, 4 février 2009)

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“Temendo il ricatto dei terroristi o una situazione incontrollabile, in caso di necessità sia il Joint Special Operations Command degli Stati Uniti, sia il commando israeliano Sayeret Matkal si sarebbero addestrati ad evacuare le bombe nucleari pakistane”

Éric Denece, “Histoire secrète des forces spéciales de 1939 à nos jours”, Nouveau Monde Editions, 2007

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“Ufficiosamente la “bomba islamica” dissuaderebbe la Russia e la Cina in un futuro conflitto. Ma l’India, che è diventato un alleato di Washington e d’Israele, potrebbe colmare quel ruolo. Pertanto, la Cina potrebbe espandere il riavvicinamento nucleare con il Pakistan. Islamabad è la posta in gioco tra la Cina e Stati Uniti d’America”

Nicolas Ténèze, aprile 2009 – Fonte: Voltairenet.org

3. Il Baluchistan

Il popolo Baluchi è di origine iraniana sebbene parli una propria lingua, abita principalmente regioni montagnose e questo gli ha consentito di mantenere la propria identità culturale e di resistere agli invasori. Il Baluchistan è stato suddiviso artificiosamente tra Iran, Afganistan e Pakistan. Il 60% dei Baluchi abita il Baluchistan pakistano con capitale Quetta – zona incorporata nel Pakistan nel 1948 -, una provincia enorme che copre il 46% del territorio pakistano ma nella quale vive solamente il 6% della popolazione totale del paese. I Baluchi sono prevalentemente divisi in tribù comandate dai Sardar che non hanno mai accettato l’ingerenza dei governi centrali nel loro territorio. Se il Baluchistan pakistano conquistasse l’indipendenza, potrebbe diventare potenzialmente il terzo produttore mondiale di petrolio, dopo l’Arabia Saudita ed il Kuwait.

I diversi gruppi etnici e i loro territori in Pakistan - in viola il Baluchistan

I “Movimenti per la liberazione del Baluchistan” hanno la stessa età della storia del Pakistan, ma nel corso degli anni non avevano ottenuto alla fine alcun effetto. La svolta decisiva si verificò con l’avvento al governo pakistano di Pervez Musharraf nel 1999, quando si rese conto della decisiva importanza economica e strategica del territorio Baluchi e delle intenzioni cinesi a riguardo. Infatti, la regione confina con l’Afganistan e con l’Iran e comprende a sud 900 miglia di costa sul mare Arabico. Il sottosuolo è ricco di rame, oro, uranio, carbone, ferro gas e petrolio. Nel Baluchistan sono istallati 3 impianti per i test nucleari e 6 laboratori per la costruzione di missili a testata nucleare, il tutto protetto da 6 basi dell’aviazione, 3 della marina e 4 dell’esercito: in realtà è una provincia militarmente occupata da un gigantesco quartiere militare. Musharraf uscì allo scoperto escludendo da tutte le decisioni politico/economiche i nazionalisti Baluchi, annunciando la costruzione di un mega-porto commerciale a Gwadar finanziato dalla Cina, e quindi la necessità di militarizzare la regione a difesa di presunti “terroristi armati dai servizi segreti indiani”.

L’anziano e moderato leader nazionalista Nawab Akbar Bugti, dopo essersi appellato alle Nazioni Unite per “fermare il genocidio in atto”, così rispose alle accuse di Musharraf:

“Che bisogno abbiamo di ricevere armi dall’esterno? Le armi e l’equipaggiamento che abbiamo ci sono stati forniti quando gli Stati Uniti finanziavano la jiad in Afghanistan. E’ stata la stessa ISI a distribuire le armi in Afghanistan, in Iran, in Kashmir e anche qui da noi”

“Apocalisse Pakistan” di Francesca Marino e Beniamino Natale, Ed. Memori, aprile 2011

Ma la miopia politica di Musharraf porta alla tragica uccisione di Nawab Akbar Bugti nell’agosto 2007: l’ottantaduenne e carismatico leader tribale muore in combattimento diventando immediatamente un’eroe della liberazione nazionale Baluchi, ricompattando l’intera opinione pubblica pakistana.

“Il 21 settembre 2007, dopo centoventisei anni, si riunisce a Kalat una grande Loya Jirga, una riunione di 85 capi tribali e 300 anziani. La Loya Jirga chiede la “riunione dei territori originari del Baluchistan”, la smilitarizzazione dell’area e la restaurazione del secolare sistema feudale”

“Apocalisse Pakistan” di Francesca Marino e Beniamino Natale, Ed. Memori, aprile 2011

Da quel momento la “Lotta per la liberazione del Baluchistan” diventa lotta armata, anche per i movimenti più moderati. Gli attentati si susseguono e nell’agosto 2010 il ministro degli Interni pakistano, Rehman Malik, dichiara che “Organizzazioni come il Baluch Liberation Army e la Baluch Student Organitation devono essere sconfitte con le armi, perchè tutti sanno che il Baluchistan è di vitale importanza per il Pakistan”. Ecco il punto cruciale della questione, il Pakistan non può perdere il controllo su Quetta perchè la posta in gioco per tutti i giocatori è troppo alta: non si tratta più di un problema interno, ma di un complesso gioco di equilibri internazionali nei quali il Baluchistan ha un’importanza sempre più crescente.

La Cina, che è stato l’unico paese ad aver sostenuto diplomaticamente il Pakistan in seguito alla presunta esecuzione di Osama Bin Laden, è nettamente favorita nel rapido aggravarsi della crisi finanziaria. Questo vantaggio si ripercuote nel conflitto geopolitico con USA ed India per la supremazia nell’Oceano Indiano e si concretizza nel controllo del grande e modernissimo porto di Gwadar, snodo decisivo dei ricchissimi scambi commerciali tra i paesi dell’Asia centrale e il mercato globale. Gwadar, appunto, città costiera del Baluchistan.

Il grande porto di Gwadar in una foto del 2008

“Il porto di Gwadar, situato in una regione ricca di gas naturale, carbone e minerali, è un importante nodo di collegamento fra tre aree fondamentali dal punto di vista geostrategico: il Vicino Oriente, l’Asia Meridionale e l’Asia Centrale. La città di Gwadar si trova a soli 72 km dal confine iraniano e dista 400 km dallo Stretto di Hormuz nel Golfo Persico, l’importante rotta di trasporto di petrolio che collega via mare l’Europa, l’Asia occidentale e l’Africa all’Asia orientale. L’area attorno a Gwadar può essere una fondamentale base di controllo delle rotte marittime provenienti dall’Europa, dall’Asia orientale e dall’Africa grazie ai suoi collegamenti con lo Stretto di Hormuz, con il Mar Rosso e il Golfo Persico. Il porto pakistano è, inoltre, il punto d’accesso per l’Oceano Indiano più vicino per i paesi dell’Asia Centrale. Pechino intensificò il proprio impegno a Gwadar subito dopo l’intervento statunitense in Afghanistan, investendo circa 200 milioni di dollari durante la prima fase di progettazione, completata come previsto nel 2005.”

(http://www.eurasia-rivista.org/gwadar-la-competizione-sino-statunitense-e-lo-smembramento-del-pakistan/9828/ – 15 Giugno 2011)

Mar d'Arabia e Oceano Indiano - il porto di Gwadar - by Norman Einstein 2005 modificato

 

Dunque, se da una parte Islamabad ha la disperata necessità di stabilizzare l’intera area ridisegnando la mappa dei poteri della regione, al contrario gli USA e i suoi alleati soffiano sul fuoco della “balcanizzazione” e dello smembramento del Pakistan.

Diversi analisti del Pentagono e numerosi think-thanks statunitensi, come è il caso del neoconservatore Project for the New American Century (PNAC), hanno posto l’attenzione nei confronti del Belucistan. Considerato il movimento indipendentista beluci, le diverse etnie presenti in Pakistan e le implicazioni di carattere geopolitico, è in auge negli ultimi anni una strategia volta al favorire la “balcanizzazione” del Pakistan, lo smembramento del paese in diverse entità statali per motivi geostrategici”

(http://www.eurasia-rivista.org/gwadar-la-competizione-sino-statunitense-e-lo-smembramento-del-pakistan/9828/ – 15 Giugno 2011)

4. Gli ultimi tragici eventi, una preparazione al decennale dell’attentato dell’11 settebre

L’uccisione di Osama Bin Laden ad opera di un team di 14 “Navy Seals” presso Abbottabad a 50 km circa da Islamabad è stata comunicata ufficialmente il 2 maggio 2011. La puntuale risposta pakistana, o chi per loro, non si è fatta attendere

«L’eliminazione di 30 uomini delle forze speciali degli Stati Uniti nello schianto di un elicottero “Chinook” in Afghanistan – scrive Finian Cunningham, corrispondente irlandese del “Global Research Institute”, l’osservatorio mondiale sulla globalizzazione diretto dall’accademico canadese Michel Chossudovsky – arriva in un periodo in cui la versione ufficiale di Washington sul modo in cui è stata eseguita l’uccisione di Osama Bin Laden stava crollando sotto i colpi dell’incredulità. Tra i 38 morti nel disastro dell’elicottero – la più grande perdita di vite statunitensi avvenuta in una singola occasione nel corso della decennale guerra di occupazione dell’Afghanistan – si pensa che vi siano molti dei 17 Navy Seals coinvolti nell’esecuzione di Osama Bin Laden all’inizio di maggio. Tra i morti sono compresi anche altri membri delle forze speciali Usa e dei commando afghani».

(http://www.libreidee.org/2011/08/addio-testimoni-morti-i-navy-seals-che-uccisero-bin-laden/ – 9 agosto 2011)

In questo scenario, a chi attribuire la matrice degli attentati degli ultimi tre mesi?

  • Martedì 13 Luglio 2011, Mumbai è stata colpita da tre attacchi terroristici.

È stato colpito il quartiere di Dadar, roccaforte del partito induista Shiv Sena, che raccoglie una ricca comunità di parsi, i cosiddetti padroni di Mumbai, un tempio gianista e la Kabutar Khana, la casa dei piccioni, simbolo sacro della fede indù; il Zaveri Bazaar, cuore commerciale della città, già vittima di attentati terroristici nel 1993 e nel 2003 ed infine l’area attorno all’Opera House, dove risiedono i grandi industriali indiani. I sospetti ricadono anche su organizzazioni interne al territorio indiano, fra i quali i Mujaheddin Indiani, fautori nel passato di numerosi attacchi a importanti città, come Delhi, Bangalore e Ahmedabad. A sostegno di tali accuse sarebbe l’ordigno utilizzato per le esplosioni, piuttosto rudimentale, proprio come nello stile dei Mujaidin, che peraltro non sono soliti rivendicare i loro attentati. È stata ipotizzata una partecipazione degli “Studenti Islamici”, da sempre loro affiliati. Infine,i media puntano il dito contro altre organizzazioni, molto più affermate, quali la LjT o Jash Mihammed.

(Gloria Tononi – ilcaffegeopolitico.net – 23 luglio 2011)

  • Mercoledì 7 settembre 2011 – Duplice attentato a Quetta: almeno 15 morti

“E’ di almeno 15 morti e 28 feriti il bilancio di un duplice attentato suicida a Quetta, nel sud-ovest del Pakistan. Un kamikaze si e’ fatto saltare in aria in un’auto imbottita di esplosivo vicino alla vettura del vice capo delle forze paramilitari dei Frontier Corps nel Belucistan, rimasto illeso. Un altro attentatore è poi entrato nella sua casa e ha azionato una bomba che ha ucciso numerose guardie, abbattendo il muro dell’abitazione e di alcuni uffici vicini. L’attentato non è stato rivendicato, ma a Quetta sono attivi gruppi di talebani che potrebbero aver voluto vendicare l’arresto di un loro capo, Younis Al-Mauritani, la settimana scorsa, in un’operazione dei Frontier Corps. Quetta è la città principale della provincia del Belucistan che confina con Afghanistan e Iran.”

(http://it.peacereporter.net/articolo/30319/Pakistan – 7 settembre 2011)

  • Mercoledì 7 settembre 2011 – India, New Delhi, Bomba davanti all’Alta Corte

“Nuovo sanguinoso attentato a New Dehli. Un ordigno è scoppiato questa mattina nei pressi del palazzo dell’Alta Corte, causando – secondo le stime fornite dal quotidiano Hindustan Times – almeno undici morti e settantasei feriti. Fonti della sicurezza hanno confermato che si è trattato di una bomba con potenza medio-alta, esplosa davanti al cancello 5 del complesso. Secondo il quotidiano indiano, l’esplosione è avvenuta alle 10.17 ora locale, mentre un centinaio di visitatori erano in coda per visitare l’Alta Corte. Lo scorso maggio un altro ordigno era esploso nel complesso giudiziario, senza però provocare feriti. L’attentato è stato rivendicato da un gruppo islamista, Harkat-ul-Jihad al-Islami (HUJI), con una una email. L’organizzazione ritenuta in passato responsabile di altri attentati sul territorio indiano, ha minacciato altri attacchi se le autorità non annulleranno la pena di morte per Mohammed Afzal Guru, militante condannato per un attentato al Parlamento indiano nel 2001.”

(http://www.ilvelino.it/ – 7 settembre 2011)

Nel clima di generale e banale retorica contro le “forze del male” dell’11 settembre 2001, ricordiamoci piuttosto che ancor oggi gli USA mantengono 100.000 militari nello scacchiere afgano-pakistano, e circa 47.000 in quello Iracheno, ad un costo calcolato per difetto di circa 300 miliardi di dollari annui.

Ciononostante:

“Le campagne di Bush e di Obama sono state finanziate da Pechino, che naturalmente è stata ben felice di farlo. Perchè? Lo spiega Hillary Clinton: “Come fai a essere duro col tuo banchiere?”. In termini globali, è dunque la Cina ad aver vinto, per ora, la guerra al terrore.”

(Lucio Caracciolo, “La Repubblica”, 4 maggio 2011)

5. I lunghi tentacoli Cinesi, dall’Himalaya al mare Arabico, al Mediterraneo

In conclusione vale quindi la pena porsi un’ultima domanda: per quale misterioso motivo gli impervi ghiacciai Himalaiani – i più alti al mondo – sono da qualche anno territorio di occupazione militare cinese?

“Reports from a variety of foreign intelligence sources, Pakistani journalists and Pakistani human rights workers reveal two important new developments in Gilgit-Baltistan: a simmering rebellion against Pakistani rule and the influx of an estimated 7,000 to 11,000 soldiers of the People’s Liberation Army.

China wants a grip on the region to assure unfettered road and rail access to the Gulf through Pakistan. It takes 16 to 25 days for Chinese oil tankers to reach the Gulf. When high-speed rail and road links through Gilgit and Baltistan are completed, China will be able to transport cargo from Eastern China to the new Chinese-built Pakistani naval bases at Gwadar, Pasni and Ormara, just east of the Gulf, within 48 hours.

Many of the P.L.A. soldiers entering Gilgit-Baltistan are expected to work on the railroad. Some are extending the Karakoram Highway, built to link China’s Sinkiang Province with Pakistan. Others are working on dams, expressways and other projects.

Mystery surrounds the construction of 22 tunnels in secret locations where Pakistanis are barred. Tunnels would be necessary for a projected gas pipeline from Iran to China that would cross the Himalayas through Gilgit. But they could also be used for missile storage sites.“

(Selig S. Harrison, New York Times, 26 agosto 2010)

Ma se la chiave di lettura di questo complesso e inquietante scenario deve essere lo “Scontro tra Civiltà”, ovvero la “Guerra Santa”, dovrebbe essere necessario prima di tutto ammettere con forza non già l’estraneità, bensì l’oggettiva appartenenza dell’Islam alla lunga storia dell’Occidente, della sua Civiltà e della sua cultura, e considerare piuttosto come il vero e potente rivale dell’Occidente il profondo e storicamente indipendente Oriente asiatico, l’altra parte del mondo, l’antica, millenaria e totalmente autonoma Civiltà cinese, l’Impero dei Qing e i loro legittimi ed attuali eredi.

Noi rifiutiamo l’idea stessa di “Scontro tra Civiltà”. Ma se così fosse, c’è da chiedersi cosa siamo noi oggi, cos’è oggi l’Occidente e la sua idea di Democrazia, ricomprendendovi anche l’Islam e gli accorati appelli della primavera araba? Cos’è oggi quella Civiltà d’Occidente – in evidente fase di declino storico – che si autodefinisce campione ed esportatore [armato] della “Democrazia”?

Lasciamo la risposta finale a Slavoj Zizek:

“E’ un fenomeno davvero nuovo, un’epoca nuova, direi. Ma il punto, si badi bene, non è criticare la democrazia in sé; bisogna comprendere come la democrazia si stia autodistruggendo, ed è importante sottolinearne l’aspetto strutturale: non si tratta delle decisioni di singoli pessimi leader, della loro brama di potere o simili: è il sistema stesso che non può più riprodursi in modo autenticamente democratico.”

Slavoj Zizek, 17 agosto 2011

PaoloFuori misura
L'avanzare della crisi finanziaria appare inarrestabile, ed essa, pur investendo l'intera economia mondiale mette alle corde soprattutto le potenze occidentali e la loro idea di democrazia, con ovvie ed importanti conseguenze nei conflitti politico/militari di carattere globale. Probabilmente l'area che ne risulta maggiormente interessata è il continente asiatico, in maniera...