In uno dei suoi ultimi post, “Parola di spada” Valerio tenta un’analisi delle forse politiche nel campo degli insorti libici.

L’analisi è molto difficile, perché le notizie non ci sono e quindi bisognerebbe andare in loco, rischiando anche la vita essendo che degli interessi delle fazioni politiche degli insorti si sostanzia il futuro della Libia.

Prima di andare in vacanza, una lunghissima e riposantissima vacanza, sono andato a vedere un po’ di cose.

In particolare mi sono soffermato sulle domande che lui faceva a se stesso e ai lettori:

Sayf al-Islam, tra l’altro, non ha specificato cosa intendeva per “islamisti”, visto che le formazioni “islamiste” in Libia sono numerose e ideologicamente molto distanti tra loro. Ha davvero parlato con qualcuno (improbabile) e se si con chi: la rete degli Ulema liberi (un gruppo religioso, non integralista, di cui fanno parte addirittura alcuni Sufi)? I Fratelli Musulmani? I salafiti? La Brigata Obaida Ibn Jarrah (accusata da Jalil di essere vicina al radicalismo islamico, ma ho i miei dubbi)? Il gruppo di Derna di Abdelkarim al-Hasadi?

La Katiba o (Sariyya) Abu Obayda Amir ben al-Jarrah (كتيبة ابو عبيدة عامر بن الجراح) è effettivamente una unità di combattimento jihadista. Compare, secondo quanto mi è dato di sapere, nel 2007 in Iraq, in diversi attacchi contro l’esercito americano (qui e qui), e poi ancora nel 2009 (qui).

Questa Brigata potrebbe avere rapporti — anzi, diciamo che è molto facile che ne abbia — con il gruppo di Abdel Hakim al-Hasadi essendo che, ricordiamolo, nella sua intervista a Roberto Bongiorni del 21 marzo scorso, dice di aver inviato diversi jihadisti a combattere in Iraq e che questi sono tornati e combattono ad Ajdabya. Dunque, la Brigata potrebbe altro non essere che una parte di quel gruppo.

Ajdabya, fra l’altro, è il luogo dal quale, seguendo le fonti del giornale saudita Asharq al-Awsat, la Brigata stessa — su ordine del governo di transizione di Bengasi — aveva prelevato il Generale Abd el-Fattah Younis, avendo il Governo di transizione stesso deciso di fargli qualche domanda (con decisione presa il 25 luglio).

Sempre seguendo Asharq al-Awsat il convoglio arrivò a Bengasi e portò il generale agli inquirenti.

Loro decidono di porlo agli arresti domiciliari, quelli della Brigata jihadista lo riprendono in consegna ma non lo portano a casa: lo uccidono e gli danno fuoco.

E ora passiamo alle altre osservazioni di Valerio: ecco un mio contributo.

Nei giorni seguenti la responsabilità dell’assassinio del Generale è stata addossata tutta alla Brigata Abu Obayda Amir ben al-Jarrah. In particolare, secondo al-Jalil, il chairman del Consiglio Nazionale libico, l’assassino ne sarebbe il capo.

Il comandante della “Brigata 17 febbraio”, Fawzi Bukatef, ha poi specificato che essa non fa parte delle “truppe regolari”, laddove è abbastanza assurdo incaricare armati non regolari jihadisti di trasportare un prigioniero così importante a Bangasi per un processo.

Anche il Ministro del petrolio di Bengasi, Ali Tarhouni, ha dichiarato che gli assassini erano islamisti, e questo è vero.

Moussa Ibrahim, portavoce del Governo di Gheddafi, ha dichiarato che gli assassini erano alqaidisti, e questo è “quasi” vero (come dovreste sapere se avete seguito i link di questo post).

Ovviamente il Governo di Gheddafi spinge sulle contraddizioni del Governo di Bengasi, che come abbiamo visto esistono.

A questo riguardo bisogna prendere in considerazione la versione secondo cui i Gheddafi avevano deciso di smascherare il doppio gioco di Younis, inviando al Governo di Bengasi le prove dei rapporti del Generale con Tripoli.

Younis sarebbe dunque stato chiamato a Bengasi per dare spiegazioni. La Brigata Abu Obayda Amir ben al-Jarrah poi, non avrebbe fatto altro che “usare i propri metodi” per fare giustizia, ma non sappiamo se questi metodi siano stati condivisi o meno dal Governo di Bengasi.

Forse no, anche se rimane la domanda: perché hanno usato la Brigata per un compito così delicato se non volevano Younis morto? E se si fidano così tanto della Brigata (per poi scaricarla) non dovremmo chiedere spiegazioni?

E’ in questo contesto che si inserisce l’intervista di Sayf al-Islam Gheddafi — di cui ci racconta Valerio — poi “relativizzata” da diversi rappresentanti del Governo di Tripoli.

Alla luce di quanto detto l’avvicinamento di Sayf al-Islam agli “islamisti” assume un altro carattere, visti anche gli islamisti citati.

Sayf al-Islam cita infatti Ali al-Salabi, una sua vecchia conoscenza. Al-Salabi  era il religioso — oggi coccolato dai qatariti — incaricato da Sayf al-Islam stesso di parlare con i leader del LIFG (Libyan Islamic Fighting Group) in carcere, negli anni ’90, nel quadro del “programma di riconciliazione” che portò alla scarcerazione di moltissimi di loro, gli stessi che ora stanno dalla parte degli insorti (vedi Libia: la pedina del Qatar, Gheddafi vs al-Qaida: la partita è stata già giocata, Libia: l’ora dell’alqaidista, Libia: Gheddafi e la polpetta avvelenata, Il jihad rivisto e corretto? Non proprio, anzi).

Sayf al-Islam nell’intervista strizza l’occhio ad al-Salabi e ai tanti del LIFG dei quali dice di “essere amico” (vedi sempre qui), avendovi avuto a che fare per anni. Dice una cosa come: “Vedete? Quelli vi scaricano, e in più non seguono la vostra agenda. Noi potremmo invece darvi molto di più”.

E tutto questo ci riporta qui, e cioè all’intervista di Fausto Biloslavo a Moammar Gheddafi, in cui il Qa’id di Tripoli ci diceva che aveva contemplato come ultima opzione l’ipotesi di un’alleanza con “al-Qaida” (leggi “gli ex del LIFG” o comunque “fazioni di islamisti”).

E’ vero, al-Salabi smentisce qualsiasi connivenza con i Gheddafi, ribadendo l’appoggio agli insorti, e il Governo di Tripoli smentisce Sayf al-Islam, ma questo è un gioco delle parti: i rapporti ci sono e non possiamo pensare che tutte le persone coinvolte NON seguano i propri interessi.

 

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8 settembre.

Apprendo tramite un articolo — peraltro in alcuni casi impreciso* — di Thierry Meyssan che il Gen. Abd el-Fattah Younis comandò le operazioni di “sradicamento” del LIFG a metà degli anni ’90.

* al-Hasadi non è mai stato a Guantanamo, lo dice nell’intervista che Meyssan cita a favore dell’opinione opposta. La cosa è confermata dai cable di Wikileaks e dall’elenco dei prigionieri di Guantanamo recentemente pubblicato. E non ha fondato un emirato islamico a Derna. Ravanate nel blog per maggiori informazioni.

 

 

Lorenzo DeclichIn fiammeabd el-fattah yunis,abd el-hakim al-hasadi,ajdabya,ali al-sallabi,brigata 17 febbraio,brigata abu obayda amir ben al-jarrah,fausto biloslavo,fawzi bukatef,guerra,libia,libyan islamic fighting group,moammar gheddafi,mustafa abdul jalil,Roberto Bongiorni,sayf al-islam gheddafi
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