Nel mio post precedente cercavo di raccontarvi alcune cose accadute in Libia senza dare giudizi.

Mi permetto di farne alcuni adesso.

Ovviamente ritengo che la reazione delle elitè e delle autorità libiche all’uccisione di Geddafi è molto “deludente”.
Anche Ben Alì o Mubarak sarebbero potuti finire linciati, ma i leader delle rivolte di quei paesi avrebbero, quanto meno, stigmatizzato quella violenza. Con i se la storia non si fa, ma ho questa impressione.

Del resto i movimenti che hanno abbatutto le dittature egiziana e tunisina nascevano dalla società civile, dai sindacati e dai partiti, semi clandestini o legali, di quei paesi, ed avevano l’appoggio degli elementi migliori dell’inteligencija.
Mentre in Libia la rivolta popolare (priva di capi e di direzione, in un paese in cui la società civile era rappresentata da poche dozzine di persone) è stata “sequestrata” dal CNT (che non a caso ho definito “badogliano”) ed ha visto una componente islamistica sempre più forte (ed appoggiata dalle monarchie del Golfo). Gli esponenti dell’islam politico in Egitto e in Tunisia si sono aggiunti prataticamente a cose fatte, e questa è una differenza non trascurabile, al di là da chi vincerà le elezioni.
A mio avviso questa andata rivoluzionaria non è partita “telecomandata”, per nessun caso nazionale, dai governi del Golfo, che però sono stati bravissimi, grazie anche ai media pan arabi, a non attaccarla (avrebbero potuto farlo, ed avrebbero perso) ma a mettergli il cappello e a farla andare in una direzione a loro gradita.

Provando a fare un parallelo con la nostra storia vedremo come anche l’Italia ha trattato in maniera brutale il suo dittatore deposto, ma la nostra inteligencija non ha cantato delle canzoncine sulla sua fine. Anzi Ferruccio Parri, che della resistenza era uno dei leader migliori (ed è stato uno dei padri più nobili della nostra costituzione), ha subito stigmatizzato Piazzale Loreto come “macelleria messicana” (con tutto rispetto per i messicani, e nessuna offesa per Miguel Martinez).
In buona parte della resistenza, non solo azionista, vi fu un po’ di sconforto non tanto per la fucilazione di Mussolini (percepita anche come più giusta di una sua consegna agli alleati, stranieri), quanto per il disonore che si dava alla lotta partigiana con l’esposizione del cadavere.

Volevo segnalarvi anche un link interessante (sopratutto se amate il complottismo):

http://tarpley.net/2011/03/24/the-cia%E2%80%99s-libya-rebels-the-same-terrorists-who-killed-us-nato-troops-in-iraq/

Si tratta di un vecchio articolo (24 marzo), che rende pubblico uno studio accademico di West Point (datato al 2007 ) sui rapporti tra i libici e la resistenza anti-americana in Iraq.

Questo studio, oggi, è stato rilanciato da Karima Moual di Zmagria e Sherif el Sabaie di Salam(e)lik .
Nel link troverete invece il commento di Webster Griffin Tarpley, una vecchia volpe complottistica e piuttosto ideologica, ma non priva di un certo acume. Probabilmente quella di Webster Tarpley è la madre di tutte le teorie del complotto sulla guerra di Libia.

L’articolo di Webster Tarpley contiene diverse storture ed inesattezze, come l’affiliazione del LIFG alla rete di Bin Laden (il LIFG, in estrema sintesi centra ben poco con al-Qaida, di sicuro molto meno di quanto pensassero gli autori del rapporto del 2007, e molto, molto meno di quanto non pensi Webster Tarpley, che quel rapporto esaspera).
Inoltre il rapporto del 2007 fotografa un radicalismo islamico libico differente, almeno nelle sfumature, da quello di oggi.
Per esempio durante la rivolta, la forte propensione dei radicali islamici libici agli attentati suicidi, dimostrata dai risultati del rapporto di West Point del 2007 sulla base dell’esperienza iraqena, non si è verificata.
Insomma, anche se era evidente che molte brigate libiche appartenevano alla galassia islamista, sceglievano uno stile di combattimento molto differente da quello “certificato” da al-Qaida.
Anche dal punto di vista organizzativo si differenziavano molto dal modello afgnano e da quello iraqeno.

Insomma le brigate “radicali” libiche combattevano una normale guerra di fanteria volontaria, combattendo con armi legggere e poche armi pesanti, in scontri regolari, con una struttura accentrata attorno ad un leader carismatico semi autonomo dai comandi centrali e circondato da luogotenenti. Niente cellule, niente indottinamento dieologico, nessuna ricerca del “colpaccio” con attentati spettacolari. Al massimo avevano (ed hanno) una maggiore propensione a trattar male i prigionieri, a disumanizzare il nemico ed a ignorare gli ordini del CNT, disprezzando i suoi ufficiali, oltre alla capacità di utilizzare canali di rifornimento logistico separati da quelli del governo (e gravitanti nella zona del Golfo, mentre il CNT “doc” dovrebbe essere stato aiutato di più dall’occidente e i berberi dalla Francia, ma il condizionale è dobbligo, com’è sempre per le operazioni militari sotto copertura).

Inoltre il sentimento popolare anti americano e anti occidentale, che secondo questo rapporto condizionerebbe la Cireanica, sembra essere evaporato durante la guerra.

Semmai sono i lealisti ad aver rispolverato la retorica anti-imperialista e anti-americana degli anni ’80; ed al-Qaida invita i libici a dubitare delle “buone intenzioni” della NATO, evidentemente preoccupata forse anche perché il radicalismo islamico libico è rimasto integralista in politica interna, ma non è anti-americano in politica estera.

Inoltre i legami tra la tribù Harabi ed al-Qaida sono piuttosto improbabili e, comunque, indimostrabili, frutto di una speculazione dell’autore. In realtà le tribù in Libia stanno perdendo rapidamente la loro identità (sopratutto le grandi tribù costiere), ed a meno che il nuovo governo non voglia attuare un massiccio programma di ritribalizzazione della nazione (cosa di cui dubito), si estingueranno presto di morte naturale grazie al cambiamento della società.

Anche il forte razismo dei primi mesi della rivolta sembra diminuire, malgrado permanga un diffuso sospetto e una certa discriminazione verso gli immigrati africani. Oggi anzi, a giudicare dal colore della pelle dei soldati impegnati nella battaglia di Sirte, sono i lealisti ad essere più “pallidi”.

La conclusione di Webster Griffin Tarpley è che Obama usa al-Qaida come grimaldello per abbattere i regimi nazionalisti autoritari laici, in modo da arrivare ad una balcanizzazione del medio oriente e del nord Africa. Mi sembra una teoria quanto meno spericolata.

Non solo perché non converebbe a nessuno, men che meno agli interessi petroliferi americani, o a quelli della grande finanza internazionale. Questi sono stati danneggiati dalle “primavere arabe”, avrebbero sicuramente preferito la pace e la stabilità, lasciando in sella tutti e tre i dittatori nord-Africani. Insomma Gheddafi non era Chavez, non aveva pestato i piedi al capitale euro-americano.

In molte scienze (geologia, paleontologia, ecc.) vengono spesso utilizzati due aforismi interessanti: “Affermazioni straordinarie richiedono prove straordinarie” e, come suo contrario e complemento, “La mancanza di prove non è prova di assenza”.

Quindi non voglio dire che i governi occidentali (e quelli del golfo, qualsiasi analisi sulla guerra di Libia che non contenga la parola Qatar è inutile) non abbiano “complottato”, o quanto meno giocato molto sporco. Ma prima di pensare che Obama si sia alleato con il radicalismo islamico, sperando di ritrovarsi il califfato come interlocutore, pretendo di avere almeno un’intecettazione telefonica di lui che ne parla con la Clinton, mentre confessa di essere nato in Kenya, di essere un mussulmano ed un agente del jihad, e di essere intenzionato a farsi saltare in aria sull’Air Force One.

Lo studio di West Point è dunque totalemente inattuale?

No, ci conferma una cosa molto importante, che la Libia, specie quella nord-orientale, ha una cospiqua presenza di radicalismo islamico, anche qaidista, e che questa componente politica è oggi sul campo, è tra i vincitori della guerra, ed è probabilmente desiderosa di contare molto nei destini e negli equilibri della nuova Libia.

Inoltre che esistono molti modi per essere un radicale islamico o un salafita, inclusi alcuni che non vedono male le potenze della NATO e il capitale.

Ma questo probabilmente si sapeva già, basta ricordarsi che il “radicalismo islamico” non riguarda solo al-qaida, ma riguarda sopratutto una potenza chiamata Arabia Saudita, che ha voce in capitolo (ed esistono prove più che straordinarie di questo) nella politica americana, che detiene una delle lobby più potenti al ministero degli esteri USA (quella israeliana in confronto è cosa misera).

Inoltre l’Arabia Saudita, e le altre monarchie del Golfo, hanno una loro politica estera autonoma da quella americana, hanno i soldi e le risorse (militari e non) per perseguirla, hanno amici e nemici nella regione (e Gheddafi era nemico loro, non nostro), e forse stanno persino sviluppando un’ideologia all’imperialismo.

E, infine, sono monarchie che vivono di capitalismo, di turbo-capitalismo anzi, che non hanno accusato più di tanto la crisi, e che sicuramente non sono in contrapposizione con le forze capitalistiche degli USA e della UE.

Valerio PeverelliIn 30 secondiguerra,in fiamme,libia
Nel mio post precedente cercavo di raccontarvi alcune cose accadute in Libia senza dare giudizi. Mi permetto di farne alcuni adesso. Ovviamente ritengo che la reazione delle elitè e delle autorità libiche all'uccisione di Geddafi è molto 'deludente'. Anche Ben Alì o Mubarak sarebbero potuti finire linciati, ma i leader delle rivolte...