Il primo dato che deve essere preso in considerazione in queste elezioni tunisine è l’affluenza alle urne. Ha votato il 90% di coloro che si erano iscritti (gli iscitti erano 4,15 milioni su 7,2 milioni di aventi diritto al voto e i non iscritti potevano comunque votare presentando la carta d’identità).  Avremo la percentuale dei votanti più avanti ma già oggi si può dire che l’affluenza al voto è stata molto alta e questa è una bella notizia (alle elezioni del 2009 gli iscritti erano 4.9 milioni e i votanti sono stati 4.4 milioni. Gli altri 2 milioni e spiccioli non erano considerati “votanti”).

Le elezioni del 2009 erano presidenziali e legislative (l’unico precedente di elezioni per l’Assemblea costituente è del 1956): Ben Ali vinse con col 90% dei voti e l’RCD, il partito di Ben Ali, prese l’85%.  E’ bene ricordare, insomma, che queste sono state le prime elezioni davvero libere in Tunisia e che in quell’85% accordato all’RCD non c’erano soltanto brogli o persone che votavano perché costrette in un modo o nell’altro.

Questo non significa che non vi siano stati “incentivi al voto” di qualche genere (quasi tutti attribuiti alla Nahda). In più occasioni sono stati denunciate forme di “propaganda impropria”, come l’invio di SMS non desiderati o anche “donazioni” di qualche tipo: niente di sconosciuto, specialmente qui in Italia.

L’assenza di un elemento così ingombrante come il partito dell’autocrate è una delle chiavi per comprendere i risultati odierni: con la caduta di Ben Ali e la chiusura del suo partito lo spettro dell’offerta politica in Tunisia si è aperto, specialmente a destra o, se vogliamo, in campo conservatore, essendovi in quella parte un gigantesco buco da colmare. A sinistra  invece si affollavano già da tempo numerose sigle, emerse poi ufficialmente in questi mesi, che hanno riportato un risultato che in molti considerano deludente ma che, comunque, pone le basi di una sinistra democratica, o meglio non rivoluzionaria in un paese arabo, un fatto che deve essere valutato positivamente da qualsiasi punto di vista lo si guardi.

La delusione nelle sinistre tunisine è comprensibile tenendo conto che la rivoluzione nasce proprio dalla sinistra laica. Ma, occorre notarlo, questa ormai certificata minoranza si divide ulteriormente, anche su base generazionale, fra chi era presente e visibile prima del 14 gennaio (il PDP ad esempio), e ha preso “il treno” della rivoluzione, e chi invece ha portato avanti, sulla propria pelle, le istanze di cambiamento, in congiunzione con l’altra forza rivoluzionaria tunisina: il sindacato.

Stanti queste osservazioni la vittoria della Nahda non stupisce, anche se le proiezioni la preconizzavano meno consistente. Il partito moderato di ispirazione islamica, oltre ad avere avuto un rilevante appoggio economico e logistico esterno (soprattutto il Qatar, senza contare al-Jazeera, che ha fatto campagna elettorale pro-nahda), ha da una parte rappresentato la “vera” novità per quella che a sinistra chiamano “maggioranza silenziosa” e dall’altra ha riempito, parzialmente, il vuoto lasciato dal defunto RCD.

A risultati acquisiti capiremo le reali intenzioni della Nahda ma fin d’ora appare chiaro che Ghannushi dovrà allearsi con altre formazioni politiche (vedi qui ad es.) per portare avanti il suo programma. Capiremo finalmente, a quel punto, che l’attitudine di quel partito — al di là dell’etichetta “islamista” ormai data per acquisita — è prima di tutto “conservatrice”.

Niente di più ovvio, a conti fatti. Gli eventi rivoluzionari si pongono, per loro natura,  fuori dall’alveo della ordinaria vita democratica.Vi partecipa spesso solo una parte estremamente minoritaria della popolazione e il suo successo deriva più dal “silenzio-assenso” della maggioranza che non da un’effettiva partecipazione di questa agli eventi stessi. Poi, una volta, spentosi il fuoco della rivoluzione, quella maggioranza si esprime in base ai propri parametri.

E parlare di “parametri” in un paese che ha vissuto decenni di dittatura significa interrogarsi sul ruolo, per forza di cose limitato in un paese dove la libertà di stampa e di opinione è una novità, della nascente opinione pubblica tunisina, e anche sul ruolo che televisioni come NESSMA e al-Jazeera possono aver avuto nel formare le convinzioni di voto di una maggioranza che non ha partecipato alla rivoluzione e si è ritrovata, dall’oggi al domani, in un paese dove si può esercitare senza paura il proprio diritto-dovere al voto.

Oggi la Tunisia è un paese conservatore (e non “islamista”) in cui esiste ed è ben visibile una sinistra laica. Questo è un grande passo avanti rispetto alla Tunisia autocratica di qualche mese fa, e un grande passo indietro rispetto alle prospettive di libertà e liberazione che si erano aperte con la rivoluzione e che hanno fatto sognare un po’ tutti, compresi i leader della sinistra moderata tunisina.

Resta da ricordare che nel contesto “rivoluzionario” i tunisini hanno dato una straordinaria  prova di civiltà. Sono stati in grado, ad esempio, di votare per un’Assemblea costituente, che è altro rispetto a una “normale” elezione legislativa o presidenziale. La cesura costituzionale — e mi auguro che l’Assemblea disegni una Costituzione equilibrata — non era data per scontata (si veda ad esempio la situazione egiziana) e rappresenta una vittoria, forse la più grande, raggiunta da chi, a partire dal 17 dicembre 2010, è sceso nelle piazze tunisine e ha rischiato la vita per la libertà.

 

 

Lorenzo DeclichL'età della politicaassemblea costituente,elezioni,tunisia
Il primo dato che deve essere preso in considerazione in queste elezioni tunisine è l'affluenza alle urne. Ha votato il 90% di coloro che si erano iscritti (gli iscitti erano 4,15 milioni su 7,2 milioni di aventi diritto al voto e i non iscritti potevano comunque votare presentando la...