La battaglia di Tripoli è stata, fin ora, la più grande combattuta in questa guerra, o meglio quella con il ritmo di combattimento più elevato, visto che la quarta battaglia di Brega è durata per mesi, per altro senza grandi successi fin quando non si sono fatti sentire gli effetti dell’offensiva costiera e della battaglia di Tripoli stessa.

Anticipo che, come già ricordavo nel precedente post, le fonti su questa battaglia sono tutte più o meno inattendibili, confuse, contraddittorie, coperte dalle avverse propagande e dalla distorsione dei giornalisti, spesso assai incompetenti nel comprendere ciò che vedono e, ancor più spesso ombelicali nel raccontare ciò che li riguarda e non ciò che accade.
La chiamano “nebbia di guerra” e sa nascondere molto bene la verità.

La mia analisi risulta quindi in buona parte provvisoria e parziale.

I ribelli dichiarano di aver inviato a Tripoli dall’inizio d’Agosto, e sopratutto il 19, carichi e carichi di armi leggere. Potrebbe essere vero, però le armi leggere in Libia sono estremamente diffuse, ed un altro errore del regime è stato quello di favorirne ulteriormente la diffusione.

La disponibilità di armi automatiche e pistole, praticamente nelle mani di chiunque, ha creato le condizioni perfette per un’elevata mortalità, tra civili e passanti, da proiettili vaganti.

Nel simbolico giorno del 20 agosto, a partire dalla moschea di Ben Nabi, ma presto anche nei quartieri di Fashloum, Suq al-Juma (Suk Al Juma), Tajura e Ben Ashur, sono cominciate delle dimostrazioni contro il regime, presto divenute insurrezionali, con ampia disponibilità di armi leggere.
Pare che l’operazione fosse coordinata con il CNT e il discorso di Jebril di quel giorno (“un cappio si è stretto attorno a Tripoli”) fosse il segnale d’inizio per le operazioni in città, la cosa non mi convince del tutto.
Le truppe governative riuscivano, contrariamente a quanto dichiarato dai ribelli, a sedare buona parte di queste insorgenze, anche se dovevano intaccare le loro riserve e distogliere truppe dal fronte, che correva a circa 27-30 km a sud-est della città.

Però tra Fashloum (un quartiere proletario particolarmente ostile al regime) e il mare i ribelli riuscivano a tenere il campo, creando una sacca che si estendeva verso l’aeroporto, oltre al quale vi era l’altra sacca ribelle di Tajura e situazioni insurrezionali si ripetevano a Suk Al Juma.
Sono state catturata anche alcune caserme della polizia e dell’aviazione, con ulteriori armi e munizioni.

In particolare i quartieri con case alte e strade ampie, come i quartieri commerciali, possono essere controllati (ed in effetti sono stati controllati, un leitmotiv di tutta la battaglia) con un pugno di cecchini e un paio di mitragliatrici sui tetti giusti, mentre i quartieri popolari, a case basse e strade strette e polverose richiedevano forme di controllo più invasive, che con le forze disponibili erano difficili da ottenere.
Anche per questo il Dragunov SDV (un arma di precisione) è diventato, assieme all’immancabile AK 47 (e famiglia AKM, AK 74, AK 103…quest’ultimo potrebbe essere di produzione venezuelana) e al FN Fal, l’arma iconica di questa guerra.

Inoltre l’inizio della rivolta, subito magnificata sui media internazionali e minimizzata eccessivamente da quelli nazionali (che quindi si screditavano, perché tutti i tripolini potevano ormai sentire il rumore dei combattimenti), distoglieva truppe e energie sulla linea del fronte, che il 21 dava evidenti segni di cedimento.

Il 21 mattina brigate di Misurata, partite via mare, sbarcavano sotto un intermittente fuoco nemico nel bel mezzo del quartiere di Tajura e forse anche a Zawiat Al Dahmani, proprio tra Fashloum e l’aeroporto di Mitiga, in una zona in parte controllata dai ribelli e in parte dai lealisti 8e dove i combattimenti sarebbero durati a lungo).
Le unità rivoluzionarie erano relativamente poche, ma portavano con se una superiore preparazione militare, armi moderne, e, con ogni probabilità, alcuni membri dei SAS per la designazione dei bersagli e il coordinamento con le forze aeree della NATO+- (che però potrebbero essere entrati la sera da ovest).

Questo accadeva mentre i depositi reggimentali della brigata Khamis venivano conquistati dai ribelli dei Nafusa, con un ulteriore rifornimento di armi e munizioni e, contemporaneamente, con la scoperta di decine (80? 160? le cifre non si stabilizzano) di corpi carbonizzati di prigionieri, con pochissimi sopravvissuti shoccati, feriti ed ustionati (altri ne saranno scoperti in seguito ed altrove).
Questa operazione, unita alla liberazione di centinaia di prigionieri delle galere (criminali politici e comuni, 450, ?, solo a Tajura), ognuno con la sua storia d’orrore, elevava enormemente il morale e l’aggressività degli attaccanti, oltre a rimettere in gioco qualche combattente.

Come avevo anticipato i lealisti avevano decisamente troppi pochi soldati per tenere la città e tutte le vie d’accesso, quindi la difesa scelta non è stata né di profondità, né rigida, ma flessibile, la forma strategica di difesa più debole.
Oltre tutto con molte vie di collegamento lasciate al nemico, che poteva infiltrarsi quasi da ogni direzione, la stessa situazione però valeva per i ribelli, che forse avevano meno di 20.000 uomini in armi in tutta la Tripolitania (esclusa Misurata), di cui meno di 8.000 erano disponibili per l’attacco alla città (che avveniva in contemporanea ad altri combattimenti significativi lungo la costa), e quindi non potevano assediare la città, né controllarla tutta. Anzi secondo uno dei documenti più interessanti (ma non necessariamente veritieri) sull’operazione le brigate entrate a Tripoli erano di soli 2.000 uomini, mentre 6.000 erano già lì (ma non ci credo molto, comunque leggetevelo, visto che da una visione d’insieme alternativa della battaglia, anche se va considerato una fonte insicura: http://www.reuters.com/article/2011/09/06/us-libya-endgame-idUSTRE7853C520110906 )

In aiuto de ribelli venivano però sopratutto le centinaia di volontari (ma questo è vero sopratutto dal 22 agosto in poi), vomitati dai quartieri popolari di Tripoli, spesso assai disorganizzati, male armati (addirittura con armi da taglio, ma le armi da fuoco disponibili erano numerosissime), peggio equipaggiati e privi di comando.
Una delle grandi imprese dei ribelli in questi otto giorni è stata quella di irregimentare queste forze, impedendogli (ma solo in parte) di dedicarsi a saccheggi e vendette personali (che invece erano esattamente le cose che volevano fare), e costringendoli a compiti di polizia.

Trasformare dei potenziali saccheggiatori in poliziotti assegnati ai posti di blocco ha i suoi pro e i suoi contro, sopratutto se aggiungiamo che questi volontari sono spesso “un po’” razzisti verso i migranti africani, tendenzialmente paranoici e poco o per nulla disciplinati.

Comunque, a diluire la qualità con la quantità, tutte le brigate scese verso la costa avevano accolto al loro interno giovani, talvolta giovanissimi, delle città che conquistavano, raddoppiando o triplicando talvolta le loro dimensioni (la brigata Tripoli dovrebbe essere passata, grossomodo, da 400 a 1000 unità, ad esempio).

In serata i ribelli di queste brigate entrarono nella città da ovest (la sacca creata dallo sbarco era invece ad est, e non fu raggiunta che nella notte tra il 21 e il 22 e in maniera difettosa) dal quartiere di Janzur.
Determinante per questa veloce offensiva (senza la quale probabilmente lo sbarco ad est si sarebbe risolto in un massacro per i ribelli) è stata la defezione di un battaglione di regolari, o almeno di elementi di esso.
Si è molto speculato in quei giorni su questa defezione, che sui media occidentali e panarabi è stata descritta immediatamente come la resa della guardia presidenziale, ovvero come il competo collasso dell’esercito lealista.
La notizia era falsa, o meglio era una fortissima esagerazione, capace però come ho già avuto modo di dire, di influenzare pesantemente il corso dei combattimenti, creando paranoie e paure tra i lealisti, defezioni, abbandoni, ritirate, confusione.

Comunque il generale al-Barani e numerosi alti ufficiali governativi erano da mesi in contatto con i ribelli, che disponevano in città anche di una rete clandestina di informatori e sabotatori anche interni all’esercito, molte unità al loro comando hanno ricevuto ordini di arrendersi o sono state volutamente mal posizionate.

È presumibile che in questa fase i lealisti dovettero far uscire dalle caserme molte truppe, per tamponare le falle, reali o immaginate, lasciando caserme e depositi quasi vuoti, di fatto poco difendibili in caso di assalto da parte della folla.

Nel contempo la diffusione di questa notizia ha contribuito a creare la prima manifestazione di gioia collettiva (e prematura) in quasi tutta la città (solo Abu Selim, e dintorni, rimanevano completamente immuni dalla ribellione), con la gente che scendeva in piazza urlando slogan rivoluzionari o religiosi e cantando l’inno nazionale monarchico, impugnando il tricolore.

Ancora una volta la TV, ed in particolare le TV pan arabe, erano state impiegate come arma, i manifestanti si resero conto presto che la guarnigione di Tripoli non si era affatto arresa, e che i cecchini gli sparavano addosso, ma da un lato potevano pensare di essere di fronte all’ultima compagnia ancora fedele a Gheddafi (e quindi non perdevano slancio e fiducia in se stressi), dall’altro vista l’enorme quantità di armi leggere disponibili, in continua crescita man mano che le caserme venivano prese, contrattaccavano.

L’unità della guardia presidenziale, forse della consistenza di una piccola brigata, è stata creata da Gheddafi, decenni fa, al solo scopo di resistere ad oltranza in caso di insurrezione e proteggere la sua vita. Quindi dubito che al momento giusto si sia sciolta come neve al sole.

Invece non so se i ribelli hanno concordato con le TV panarabe una gestione aggressiva della propaganda, che diventa PSYOP o PSYWAR nella terminologia NATO (Psicological operations-Psycological warfare), oppure sono andati al traino di un’operazione decisa altrove, ma opterei per la prima ipotesi. Aggiungerei che la loro propaganda è ottima, mentre quella dell’opposizione siriana è inefficace e opaca, quindi forse la differenza non la fanno le TV panarabe, ma proprio i libici.
Anche perché per tradizione il SAD della CIA e le altre agenzie di PSYWAR occidentali prendono solo cantonate (non pensate alla CIA coma ad un Superman malvagio, ricordatevi che sono solo degli impiegati pubblici), mentre in Libia tutto fila incredibilmente liscio.

La notizia della cattura dei figli di Gheddafi, probabilmente una bufala colossale, è stata un’altra arma, un colpo strategico della propaganda ribelle, che è stata accolta con grida di giubilo e rinnovati atteggiamenti di aperta ribellione in molte zone della città, rendendo di fatto difficilissima la resistenza per i gheddafiani.
È stato l’equivalente di un proclama insurrezionale, ha raggiunto i medesimi scopi aggiungendo alla scena entusiasmo e gioia, come se la battaglia fosse già vinta.
A questa si è accompagnata la notizia, data in diretta, della cattura di Muammar Gheddafi, cattura meno contestabile che si è conclusa con la sua incontestabile e imbarazzante fuga.

A questo punto è sembrato che si aprisse un vaso di pandora di rumors, cui faccio anche fatica a tener dietro: Gheddafi in fuga, forse catturato, defezioni, rese di reparti, arrivo di aerei Sud-Africani o Venezuelani, ecc. Tutte, ovviamente, false notizie, ma utili per i ribelli.
Infatti i soldati lealisti di Al Maya (o Al Mayha), che avevano, fino ad allora, vittoriosamente bloccato una direttrice d’attacco a sud-ovest della città si davano precipitosamente alla fuga, lasciando quelli di Salaheddin circondati (si arrenderanno per ultimi il 28).

Nel frattempo i ribelli, come loro solito, davano le percentuali della città sotto il loro controllo: il 90%!
Al di là del fatto che è praticamente impossibile parlare della geografia di una città in percentuali, la notte del 21 probabilmente i ribelli controllavano in maniera incompleta e deficitaria, con sacche di resistenza, circa un terzo della città, ma stavano effettivamente spingendosi avanti, anche perché piccole sacche di rivolta spontanee si moltiplicavano.

Infatti nel corso della notte sono arrivati in Piazza Verde-Piazza dei Martiri.

E qui si potrebbe pone il più grande caso di uso della TV come arma di guerra, una teoria complottista che però è ormai divenuta articolo di fede per tutti i gheddafiani ai 4 angoli del mondo.
Anzi la denuncia di questo “complotto” potrebbe essere il canto del cigno delle psyop gheddafiane (si le fanno anche loro).
In pratica secondo i Gheddafiani Al Jazeera manda in onda una finta Piazza Verde piena di ribelli, con materiale girato in studio negli emirati arabi uniti, o di Dhoa.

Non so se sia vero, anzi ritengo che quanto detto dai gheddafiani sia falso, carburante per paranoia complottista di molti, che si fonde perfettamente con la propaganda di Gheddafi di cui avevo parlato nel post precedente.

Però i “comoplottisti”, dentro e sopratutto fuori la Libia, hanno mostrato decine di piccole discrepanze tra la “vera” Piazza Verde e quella mostrata nelle immagini di Al Jazeera, utilizzando video di repertorio.
Questo ovviamente non tiene presente che le città sono organismi vivi in continua modificazione, e se paragoniamo una qualsiasi Piazza Garibaldi o Piazza Cavour di oggi, con quella di dieci anni fa, troviamo dozzine di piccoli particolari che non corrispondono. A maggior ragione se usiamo i video delle manifestazioni oceaniche pro-gheddafi di luglio, che sono quasi certamente di repertorio e modificate a tavolino.
Un’assenza di prove comunque non è una prova di assenza, lo ammetto.

Fatto sta che dopo pochi minuti da Al Jazeera in quella piazza arrivavano anche le TV occidentali, CNN e sopratutto Sky, con Alex Crowford enbedded in una unità d’assalto ribelle che puntava la piazza come seconda ondata.
Quindi la conquista durante la note tra il 21 e il 22 di Piazza Verde-Piazza dei Martiri è un fatto, che sia avvenuta poco prima o poco dopo l’annuncio delle TV panarabe.
Certamente la piazza era zona di guerra (e nelle immagini della Sky si vede di più che in quelle delle TV panarabe), visto che i ribelli avevano conquistato una linea costiera che congiungeva i quartieri nelle loro mani ad ovest con quelli ad est, ma era larga poche centinaia di metri, in alcuni tratti solo pochi isolati, con cecchini non rastrellati qua e la.
Comunque i gheddafiani dovrebbero spiegare perché diffondere un video finto mentre il fatto vero era, realmente, in corso.

Semmai, da un punto di vista squisitamente militare, il fatto che i ribelli abbiano scelto la via costiera, con la prestigiosa Piazza Verde, per collegare le due sacche di resistenza che erano riusciti ad impiantare in città, impediva l’assedio dei quartieri sud-occidentali, dove si concentrava la resistenza lealista, permettendo al fuga degli esponenti più importanti del regime.

Invece dal punto di vista della propaganda di Gheddafi la psyop di Piazza Verde era molto raffinata; insomma poco prima le TV di stato avevano annunciato la conquista di Misurata, liberata dalle tribù fedeli al colonnello. Una palla gigantesca, imbarazzante, clamorosa e squalificante per il regime (eppure ripetuta anche da alcuni giornalisti occidentali che erano al Rixos).
Quella di Piazza Verde invece utilizza la corretta strategia della guerra psicologica, ovvero prende una verità-dato di fatto (Al Jazeera mente ed è oggettivamente alleata con i ribelli) e lo ingigantisce, in modo da usare una parte caricaturale della verità contro il nemico.

Il semplice fatto che ci si possa porre il dubbio che delle immagini televisive di un fatto (e non il commento o la contestualizzazione, come accade di solito) siano vere, o abilmente ricreate in studio, è sintomatico di un nuovo modo di fare la guerra.
Un modo che, apparentemente, segna il trionfo delle teorie di Quiao Liang e Wang Xiangsui, autori, del, a mio avviso sopravvalutato, Guerra senza limiti. (oggi pubblicato in italiano, Guerra senza Limiti, L’arte della guerra asimmetrica fra terrorismo e globalizzazione, Libreria editrice goriziana, 2010), in questo testo, assieme ad alcune fregnacce sull’importanza della sezione aurea in guerra (sic) o all’estensione del concetto di guerra a qualsiasi comportamento umano (molto maoista, sorprende che non sia stato notato), si teorizzavano metodi non militari di risoluzione dei conflitti bellici, “superando i limiti”, secondo il concetto che nelle prossime guerre “oggetti innoqui possono diventare imporovvisamente tutt’altro che innoqui”, e che TV, mercati, internet, media, mode, letteratura e quant’altro sono il nuovo fronte di prima linea.

Quale che sia la verità i ribelli hanno condotto una guerra “senza limiti” di ottima qualità, mentre il regime ha avuto pochi tocchi di genio.

La conquista di uno dei luoghi simbolo del regime ebbe conseguenze psicologiche importanti sullo svolgimento della battaglia, e di tutta la guerra, preludio della conquista di Bab al-Aziziyya, che rinnovò questo effetto, e delle ville di famiglia, che lo moltiplicarono ancora di più, comprovando la “corruzione morale” di un dittatore che ha sempre ostentato un’immagine beduina e spartana di vita.
Insomma un conto è sapere di essere governati da un uomo che ruba miliardi alle casse dello stato, un altro è vedere dove questi miliardi sono finiti.

La battaglia però non era affatto conclusa, anzi, e le battaglie non si vincono con la TV.

I lealisti crollavano nell’est della città, dove sono più abbondanti i quartieri popolari (difficili da difendere), ma tenevano ancora tutto il sud e buona parte dell’ovest.
In particolare la mattina del 22 i lealisti lanciavano un attacco con mezzi corazzati contro i ribelli, che tagliava la prima resistenza come fosse stata di burro. Ma la seconda linea, formata con ogni probabilità non da ragazzini di Tripoli ebbri di vittoria, ma da veterani dei Nafusa e di Misurata, rispondeva con razzi e missili anti carro (un regalo di Francia, Polonia e Qatar, credo usando scorte degli EAU).
La situazione rimaneva critica per i ribelli tutto il giorno, con perdite stimabili come molto elevate, anche per la forte combattività di alcuni reparti lealisti, unita alla grande diffusione di cecchini, alla patetica inesperienza di alcuni giovanissimi ribelli e alle pallottole vaganti sparate in aria in segno di festa.

Inoltre la zona tra Fashlum e il mare era stata oggetto di una controffensiva lealista particolarmente potente, probabilmente perché identificata come il punto di gravità di una possibile insurrezione cittadina. I lealisti, che l’avevano riconquistata tra il 21 e il 22, si erano quasi subito trovati imprigionati tra le forze ribelli ed isolati dal grosso, in parte hanno continuato a combattere, in parte si sono arresi a piccoli gruppi. In totale i ribelli dovrebbero aver fatto circa 600 prigionieri, esclusi quelli (per lo più identificati come mercenari) uccisi al momento della cattura o subito dopo.

Solo il 23 (ma la battaglia si sarebbe trascinata per altri 5 giorni) la situazione andava stabilizzandosi a favore dei ribelli, grazie all’arrivo in città di altre brigate di Misurata e alla rottura delle difese sul fronte meridionale, a un paio di km dalla periferia, che permetteva l’agganciamento della città anche da sud-ovest.
Le truppe “regolari” dei ribelli erano però ancora in netta inferiorità numerica e assolutamente insufficienti per conquistare, ed addirittura controllare, una città grande come Tripoli.

La “liberazione” di Saif al Islam e di suo fratello, inoltre, aveva rialzato notevolmente il morale dei lealisti, mentre l’effetto psicologico della bomba TV, pur non cessando del tutto, veniva ad esaurirsi man mano che la battaglia si scioglieva in piccoli scontri corpo a corpo. O meglio chi doveva defezionare lo aveva, in buona parte, già fatto.

La conquista di Bab al-Aziziyya, e la successiva riconquista lealista di parte del complesso, concludevano la giornata, forse, più sanguinosa della guerra.
Altri scontri feroci si sono combattuti all’interno dell’aeroporto, che i ribelli rivendicavano come conquistato già il primo giorno; l’area dell’aeroporto di Mitiga è immensa e sufficientemente grande per giustificare la presenza di una sacca di resistenza in un lato anche mentre i ribelli avevano occupato l’altro.

Dal 23 le radio e le TV libiche furono tutte raggiunte dai ribelli, sospendendo le trasmissioni o venendo riconvertite in voci della rivoluzione, quindi Gheddafi nel suo discorso di quel giorno, e in quelli successivi, ha dovuto sempre più appoggiarsi a strutture minori e locali o a media siriani (fair play tra dittatori), in particolare Al Rai TV, con cui cerca di controbattere alla guerra psicologica avversaria, ma lo fa goffamente e in maniera poco incisiva. Oltre tutto lui e suo figlio Saadi ormai dicono cose contraddittorie.

Gli ultimi giorni di combattimento hanno visto, oltre alla definitiva conquista del complesso di Bab al-Aziziyya (che ha ampi campi di tiro sgombri a nord-ovest e a sud-est, grandi sotteranei, ampi cortili interni, e quindi è piuttosto ostico da assaltare) anche dei quartieri di Abu Slim, Ben Ghashil e Gharghur, in un certo senso i “Parioli” di Tripoli.
Sono stati tipici scontri di guerra in ambiente urbano, ovvero scontri particolarmente distruttivi, con numerosi cecchini sui tetti che venivano eliminati con l’artiglieria contraerea, i cannoni senza rinculo e gli RPG (senza troppe garanzie per gli abitanti…).
Evidentemente le case di quella zona hanno subito pesanti danni, anche per il tiro dei mortai, su cui nessuno dei contendenti si è tirato indietro, ma le perdite ribelli sono state piuttosto contenute perché la presenza delle brigate regolari ed addestrate si era fatta molto più massiccia e i giovanissimi in armi dei giorni precedenti erano stati sottoposti ad una selezione darwiniana al combattimento.

Entro la sera del 28 non rimanevano più sacche di resistenza nella città, ma solo qualche cecchino isolato, oltre a piccoli nuclei nelle fattorie del sud-ovest.
Il problema è che i “rivoluzionari di Tripoli” (Katiba Tewar Tripoli, Katiba Shuada Tripoli e i ragazzini dei quartieri orientali che non hanno ancora dato un nome alle loro unità) sembrano più interessati al potere che alla ripulitura delle sacche ed all’arresto/eliminazione dei cecchini, che per molto tempo hanno avuto quasi carta bianca.

I mitici reparti qatarioti di cui parla la propaganda di regime sono realmente “mitici”, ovvero non ho alcun motivo per dubitare o affermare che unità militari qatariote potessero trovarsi frammischiate ai ribelli, ma l’esercito del qatar è minuscolo ed anche se fosse stato interamente trasferito in Libia non avrebbe cambiato più di tanto la situazione.

La resa dei reparti lealisti è molto aumentata dopo il 26, giorno in cui, con ogni probabilità, Gheddafi e i suoi si sono ritirati/sono fuggiti/hanno abbandonato la capitale lungo le strade, non ancora controllate dai ribelli, che puntavano a sud-est.

È impossibile fare stime precise delle perdite di questi giorni, il “conto del macellaio” però risulta sicuramente salato.
Riporto quella di 1.055 morti (e 2.000 feriti, inclusi i civili) avanzata dai ribelli, come prudenziale (400 morti per esecuzione, 400 tra il 20 e il 23, 224 il 24, 23 il 27, 35 il 28, 22 il 29, mancano i dati per il 25 e il 26, giorni di duri combattimenti), e quella dichiarata dai lealisti di 1676 morti (e 5900 feriti, inclusi i civili) per i soli primi due giorni.
Un’altra stima di fonte ribelle, del ministro della sanità Barakat, valuta le perdite in almeno 1700 morti tra i soli insorti (forse inclusi anche i prigionieri eliminati), almeno 100 civili (che mi sembrano pochi), mentre valuta più o meno altrettanto elevate le perdite per i lealisti.
En Route ed altre fonti parlano invece di combattimenti modesti. In generale la fonte che riporta meno perdite per una battaglia o un massacro è quella più veritiera, è un fenomeno psicologico ben noto quello che porta ad accrescere la quantità di sangue versato.
Però la miscela tra giovani inesperti, armi leggere diffuse dal regime, militari disperati, assasinio di prigionieri e combattimenti in ambiente urbano è esplosiva.

Questi dati, nella loro rozzezza e, in fin dei conti, inattendibilità, sono indice di un usura fortissima dei combattenti, anche se con ogni probabilità scaricata per lo più sulle reclute, come accade solitamente in questi casi.
I primi 4 giorni sono stati sicuramente molto sanguinosi per i combattimenti, forse anche più di quanto stimato dai ribelli, mentre dopo il 26 si è trattato per lo più di rastrellamenti, cecchini isolati e mine (poche), oltre ai proiettili vaganti provocati da migliaia di fucili che sparavano in aria.

Ma un dato realmente preoccupante è quello dei prigionieri ammazzarti (ed ammazzati “male”, bruciati, sgozzati, dilaniati dalle granate, uccisi con spranghe…) da ambedue i contendenti in una resa dei conti che prevede anche, per chi perde e si ritira, la piazza pulita delle galere.
Inoltre le vendette dei ribelli potrebbero tranquillamente essere durate per diversi giorni, anche se inizia a tornare un po’ di ordine e “vendicarsi” non vuol sempre dire uccidere.

Va però rimarcata una differenza, che non è solo di principio.
Il CNT, nei suoi macroscopici limiti, ordina (talvolta inascoltato) il rispetto dei prigionieri e dei migranti, invita alla riconciliazione nazionale ed al perdono, eccetto ovviamente per poche e selezionate personalità.
Le stragi di prigionieri fatte dai ribelli sono decise alla periferia, o da comandi subordinati, benché abbondanti risultano spesso organizzate da ragazzi resi feroci dalla guerra.
Talvolta un’unità si prende la briga di ammanettare i prigionieri, nutrirli ecc., poi li passa ad un’altra che li fucila a colpi alla nuca (operavano fino a 40 brigate a tripoli, alcune minuscole e completamente fuori controllo), spaventoso deve essere stato l’ultimo giorno di Bab al-Aziziyya, visto che l’ultima sacca di lealisti rimasta, che aveva aperto abbondantemente il fuco sulle case vicine, pare non sia stata risparmiata. Molti di loro, tra l’altro, avevano la pelle scura. Comunque attualmente (ed En Route lo confermerebbe) ci sarebbero almeno 400 prigionieri gheddafiani all’aeroporto di Mitiga a cui nessuno ha torto un capello ed i feriti gheddafiani vengono, di regola, curati allo stesso modo con cui si curano i propri.

Il governo lealista invece ha dato prova per quarant’anni di saper svuotare le galere con le mitragliatrici, gli ordini di Gheddafi, che traspaiono dai suoi discorsi, non sono affatto indirizzati alla riconciliazione o al perdono, ma alla distruzione e all’eliminazione fisica.
Qui le stragi di prigionieri risalgono ai primi giorni, in cui, tra l’altro, fu epurato l’esercito, e sono perpetrate come strategia.

Valerio PeverelliIn 30 secondiguerra,in fiamme,libia
La battaglia di Tripoli è stata, fin ora, la più grande combattuta in questa guerra, o meglio quella con il ritmo di combattimento più elevato, visto che la quarta battaglia di Brega è durata per mesi, per altro senza grandi successi fin quando non si sono fatti sentire gli...