Fonti dell’informazione e rivolte arabe. Ieri parlavamo dei cable di Wikileaks e della loro importanza. Oggi, per iniziare, vi porto una riflessione riguardo a fonti giornalistiche e crowdsourcing.

Questo video, non molto cruento, arriva da al-Qatif, in Arabia Saudita.

Ci sono delle persone che manifestano e un tank che li attacca: immagini che definiremmo “usuali” nel contesto della cosiddetta “primavera araba” e invece assolutamente rare perché provengono dall’Arabia Saudita (23 novembre scorso), della quale i network panarabi non parlano.

Guardate ora questo minidocumentario sulla povertà in Arabia Saudita, postato su Youtube lo scorso 10 ottobre da Firas Buqna e Hussam Al-Darwish.

Certo, non sono immagini sconvolgenti, non vi sono persone che stanno per morire di fame o bambini con la pancia gonfia. Il dato più importante, in questo caso, è che i due autori del video sono stati arrestati dieci giorni dopo la pubblicazione su Youtube e tenuti in carcere due settimane.

Bene, naturalmente siamo disposti a credere che tutto questo sia vero, che queste immagini non siano opera di una qualche agenzia del male che vuole mettere in cattiva luce i regnanti sauditi, semplicemente per il fatto che tutti “sappiamo” quanto questi siano tirannici, dispotici, antidemocratici etc. etc.

E ora spostiamoci in Siria. Anche lì non arriva “la televisione” panaraba in broadcasting, anche lì c’è un forte controllo dell’informazione da parte del regime: la differenza sta solo nel fatto che lì al-Jazeera e al-Arabiya sono disposte a passare più immagini possibile, anche le più decontestualizzate, le meno leggibili e/o truculente, in supporto dei rivoltosi siriani. Il 23 novembre, giorno dei disordini di al-Qatif su riportati, mi è capitato di assistere a mezz’ora di canti siriani anti-regime su al-Jazeera mubashir.

Le immagini che arrivano dalla Siria  non sono meno vere per il fatto che sauditi e qatariti siano disposti — per loro motivi — a mandarle in onda. Il problema è che, al contrario dell’Arabia Saudita, non tutti — qui — sono disposti a sostenere che Bashshar al-Asad sia un tiranno, un despota infame e sanguinario. Il risultato è che, come sottolinea questo importante articolo di Lorenzo Trombetta,  diversi “osservatori”, da questa parte del mondo, ne mettono in dubbio la veridicità.

Attenzione: nessuno intende negare che vi sia un sostegno saudita e qatarita alla rivolta siriana (anzi, un sostegno alla sua parte bigotta e conservatrice), che vi siano governi impegnati a far cadere al-Asad, bensì affermare che i rivoltosi siriani siano oggi stretti fra due agenti controrivoluzionari: al-Asad da una parte e i sauditi/qatariti dall’altra. E che questo cocktail va a detrimento delle legittime aspirazioni di quella parte di popolo siriano, molto ampia, che è in rivolta: se mai al-Asad abdicherà, le somme si tireranno anche in qualche ufficio di Doha o di Riyadh, purtroppo.

Mi rendo conto che questo è un ragionamento complesso, ma d’altra parte le cose complicate sono di questo mondo. Non c’è nessun rasoio di Occam, talvolta, a decidere come stanno le cose, a meno che non ci rivolgiamo senza se e senza ma al mondo della teoria, una sindrome che colpisce molti.

In questo caso a sinistra: la blogger Baruda, che non è certo tenera nei giudizi, introduce così il succitato pezzo di Trombetta:

Non posso non girare quest’articolo, perché è una boccata d’aria. Grazie di cuore, veramente. Mentre a quelli che nei forum rivoluzionari mi danno della refardita perché ho pubblicato quest’articolo argomentando che siccome Trombetta scrive sulla Stampa sia per forza un venduto.. ehehe, teneteve Diliberto, la repressione, i cecchini e i carri armati, altro che le scintille rosse. La sola cosa sana che ho letto in quelle righe è che è proprio dura star nel movimento: vero, è durissimo se voi siete la compagnia!

Per quanto riguarda la sinistra è forte, a mio parere, la posizione di Bassam Haddad, una delle firme più interessanti della rivista online Jadaliyya, riportata dalla redazione del “Il Mondo di Annibale”:

C’è un concreto fondamento logico alla base dell’opposizione al sistema di apartheid propugnato dal governo israeliano e alla politica americana nel Medio Oriente. E’ lo stesso fondamento logico che si trova alla base della lotta contro i regimi tirannici e totalitari nel mondo arabo. Questo fondamento logico è la più semplice espressione dei principi politici e morali.

Ma buona parte della sinistra (qui l’autore si riferisce alla sinistra principalmente araba, non del Pd o cose simili,silenti su tutto, compresa l’imminente discussione all’Onu sullo stato palestinese, ndt)  rimane su posizioni a dir poco ambigue quando si tratta di esprimersi sulla brutale repressione siriana.

Il falso dilemma di questa sinistra deriva dall’aiuto che il governo siriano fornisce alla “resistenza contro Israele e gli Stati Uniti” condotta da Hezbollah.

Ma dopo cinque mesi di repressione brutale, feroce, questo dilemma è inammissibile e uno dovrebbe chiedersi quale salvezza/libertà/liberazione dalle illegali e discriminatorie politiche israeliane possa venire dalla brutale politica siriana.

Se l’opposizione all’imperialismo americano derivava da una scelta politica e non di principio, allora anche sostenere Bashar al-Assad può diventare comprensibile. Proprio come il sostegno dei filo-israeliani alle politiche israeliane: all’inizio obiettano sulle scelte più marcatamente discriminatorie, come la scellerata politica di colonizzazione della Cisgiordania,  ma poi convengono sempre.

Una sindrome da negazione simile l’abbiamo ritrovata in Libia, dove Gheddafi era difeso con la stessa cecità, sia a destra che a sinistra (si veda in merito questo articolo di Valerio Peverelli). Lì i filo-lealisti arrivarono a parlare di un set predisposto da al-Jazeera che riproducesse la Piazza Verde di Tripoli dove sarebbero arrivati i ribelli vittoriosi, i filo-rivoltosi inventarono invece fosse comuni e colonne di insorti in marcia verso la capitale libica.

Su “Il mondo di Annibale” hanno provato a ragionare in termini psicanalitici su questo tema degli occhi che si chiudono. Io, lasciando da parte Freud&Co., mi interrogherei invece sulla commistione fra il rifiuto pregiudiziale di un dato che farebbe crollare un castello teorico e un’apertura di credito assolutamente acritica nei confronti delle propagande. Perché in un contesto come questo vicende come quella di Muhammad Jamal Tahhan e di tanti altri come lui vanno a finire nel dimenticatoio, e questo è davvero grave.

Ecco la sua storia:

Il dottor Muhammad Jamal Tahhan, classe 1957, professore di storia e filosofia presso l’Università di Aleppo e l’Institut Français du Proche Orient (Ifpo), era stato arrestato ad Aleppo lo scorso 19 luglio (solo tre settimane prima era stato operato per un cancro alla prostata) e trasferito a Damasco, nel carcere di Adra.

Oggi sui canali satellitari e i social network è stata pubblicata l’allarmante notizia – non confermata – che il dottor Tahhan sarebbe morto in seguito alle torture subite in carcere, a quasi cinque mesi dall’arresto avvenuto per mano dei servizi segreti. Un mese fa la famiglia era stata rassicurata sul suo imminente rilascio, eppure in seguito non aveva più ricevuto notizie.

Subito è stato pubblicato su Facebook un appello perché si sappia la verità sul dottor Tahhan da parte delle autorità siriane e che il corpo venga restituito alla famiglia nel caso la notizia fosse vera. Le autorità dovranno assumersi la responsabilità per i danni morali e fisici recati al dottor Tahhan e alla sua famiglia.

Per chiudere copio e incollo, con qualche correzione, un mio vecchio post (2 agosto) su sinistra e Siria:

Angry Arab, lo scorso 16 giugno, scriveva un breve post in cui spiegava che la maggior parte dei rivoltosi siriani di sinistra (sinistra vera, però) era già in galera:

“Per quelli che si chiedono dove siano i siriani di sinistra — e sto parlando dei veri, radicali siriani di sinistra, non di quei wahhabiti siriani liberali che esprimono i loro sentimenti progressisti nelle pubblicazioni dei vari principi sauditi — ebbene sono in prigione. Molti dei membri e dei maggiori leader  dei gruppi siriani di sinistra, e anche gli indipendenti di sinistra, sono in prigione. Il regime è particolarmente severo nei confronti di quelli di sinistra e dei nazionalisi arabi nasseriana. E’ un complesso dei vecchi Ba`thisti [il partito nazionalista di al-Asad, n.d.r.]. (fonte)”

C’è una sinistra — quella più vetero — che pensa che la rivolta siriana sia comandata da fuori e che al-Asad sia tutto sommato un bravo ragazzo. Le posizioni di queste persone sono pericolosamente simili alle visioni di una parte dell’opinione pubblica siriana, e anche di molti governanti israeliani, per i quali in definitiva “è meglio un nemico che si conosce che un nemico che non si conosce”

[…]

Questa sinistra destrorsa non capisce un elemento chiave — in questo caso offuscato, ma non cancellato, dalle modalità del flusso informativo proveniente dalla Siria — delle rivolte arabe: nei paesi arabi una sinistra c’è, e ha anche le idee abbastanza chiare, molto più chiare della sinistra nostrana. Il fatto è che questa sinistra è numericamente esigua essendo stata per decenni oppressa e perseguitata se non quando non si sia allineata col tiranno (vedi i comunisti finti del parlamento marocchino, la sinistra “parlamentare” egiziana etc.). E, in più, nessuno qui da noi è disposto a starla a sentire, o forse non sa neanche dove andarla a trovare né vuole cercarla.

Per quale motivo credete che l’islam politico abbia fatto questi passi da gigante dagli anni ’50 a oggi? Facile: perché è stata l’unica opposizione tollerata (e spesso colludente) coi tiranni. La prima cosa che fanno da sempre tutti coloro che vogliono reprimere una rivolta, laggiù, è prendere i veri rivoltosi e metterli in prigione o farli scomparire o, come sta succedendo in Egitto, renderli ininfluenti.

I quali veri rivoltosi sono la sinistra. Sul campo rimangono altre opposizioni, molto meno oppositive, molto meno laiche, molto amichevoli nei confronti delle grandi istituzioni economiche e politiche internazionali, che spesso non hanno acceso la miccia della rivolta e che spesso sono pronte a prendersi i benefici economici di un eventuale cambio di regime.

In Egitto, a cambio di regime avvenuto, le forze della conservazione, che tubano con i militari, sono pronte (già da tempo) a divenire i padroni del vapore.

E diverranno, con tutta probabilità, i padroni del vapore.

Al cosiddetto Occidente va bene così: cosa sarebbe successo se quegli stupidi operai di Suez, o di Mahalla, fossero andati avanti ottenendo quello che volevano? Per non parlare dei dipendenti pubblici, ommamma che schifo: volevano un aumento del salario minimo!

Il cosiddetto “interesse dell’Occidente” — è bene che le persone di sinistra di questo paese lo capiscano — sta principalmente nel non ritrovarsi di fronte paesi in cui, ad esempio, si mettono gli interessi dei lavoratori davanti agli interessi degli investitori internazionali. L’avete letta la dichiarazione di Deauville o no? Sentite parlare di scioperi e di sindacati egiziani, per caso? Eppure i sindacalisti di base e chi ha fatto gli scioperi in Egitto sono il cuore della rivolta egiziana. Anzi, in definitiva si può dire che le rivolte arabe sono iniziate appena le sinistre (vere) in quei paesi sono riuscite di nuovo ad alzare la testa, dopo decenni di bastonate.

C’era qualche “liberale” di fronte al Ministero dell’interno di Tunisi il 14 gennaio? C’era qualche “conservatore” amante del capitale e del neoliberismo, il 25 gennaio a Piazza Tahrir? La domanda di giustizia sociale, di redistribuzione, reddituale erano centrali in quei contesti, ma la sinistra “occidentale”, democratica etc. etc. è rimasta a guardare, limitandosi con estremo ritardo ad osservare che, incredibilmente, “non c’erano islamisti in giro”.

Senonché gli islamisti sono arrivati, a un certo punto, perché insomma l’occasione fa l’uomo ladro. Al-Qaida ha addirittura cambiato strategia, visto che nessuno — da queste parti — riempiva i vuoti.

Non vi suona niente, cari? Non vi sembra di aver già visto questo film? La repressione nei confronti dei gruppi e dei singoli individui della sinistra è più evidente in Siria soltanto perché la repressione ha avuto le modalità che ha avuto: la propaganda del regime, in Siria, ha da subito chiamato gli oppositori “terroristi”, ha da subito denunciato l’estremismo islamico dei rivoltosi, mentre lavorava a sfrondare l’opposizione degli elementi non-islamizzanti. Il tutto nel silenzio del cosiddetto Occidente che, in quei giorni, di Siria non parlava (hanno iniziato a parlarne contestualmente all’inserzione dell’elemento “islamico” nella rivolta, fateci caso).

Se il ruolo delle sinistre (vere) nelle rivolte arabe è fondamentale, almeno nella fase iniziale, la capacità di analisi delle sinistre nostrane è tale da non aver permesso qui un movimento di opinione a supporto di quelle realtà.

Vedi anche:

 

Lorenzo DeclichFuori misuraal-arabiya,al-jazeera,al-qatif,arabia saudita,baruda,bashshar al-asad,bassam gaddad,Firas Buqna,Hussam Al-Darwish,Il Mondo di Annibale,informazione,israele,jadaliyya,libia,lorenzo trombetta,palestina,propaganda,qatar,siria
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