Al-Akhbar english pubblica questo importante articolo dal titolo: “Iraq: il nuovo mediatore regionale?“. Appena uscito dalla occupazione militare americana, l’Iraq si è distinto subito per un’iniziativa diplomatica tesa a risolvere la questione siriana, un’iniziativa che, insieme a quella russa, ha portato alla firma da parte delle autorità siriane del protocollo per l’invio di osservatori nel paese.

Come scrivevo qualche giorno fa, quasi contemporaneamente è scoppiato il caso del Vice-presidente –sunnita– Tareq al-Hashemi cui è stato vietato l’espatrio in base all’accusa di essere coinvolto nell’organizzazione di un attacco terroristico nella Zona verde di Baghdad che aveva l’obiettivo di uccidere il presente Primo ministro, Nouri al-Maliki –sciita che, ricordiamolo, ha vissuto in esilio sia in Iran che in Siria.  Il quale, qualche giorno prima, era stato a Washington e aveva affermato che l’iniziativa di pace iraqena aveva ricevuto “semaforo verde” da Barack Obama.

Torniamo ad al-Akhbar –che non è al soldo “degli imperialisti”, né un foglio pro-Hezbollah— che mette in fila le notizie e ci spiega che tutto questo è spia dell’esistenza di relazioni USA-Iran per il tramite del “nuovo” Iraq a guida sciita, a tutto detrimento della parte “sunnita” dell’Iraq che, invece, ha come referente le petromonarchie del Golfo.

Elie Chalhoub scrive anche, e soprattutto, che Qatar e Arabia Saudita non hanno preso bene la notizia dell’iniziativa iraqena e hanno tentato più volte di farla saltare perché ritengono che ciò “tolga dalle loro mani” l’affaire Siria e vada a tutto vantaggio –in termini più generali– del nemico iraniano. E in effetti qualche giorno fa, come riporta al-Jazeera, gli iraniani si sono mostrati favorevoli al nuovo piano, aggiungendo che “ciò che va bene ad al-Asad va bene anche a noi”.

Bypassare gli “amici del Golfo” e strutturare un rapporto positivo con un referente degli iraniani? Dare a questo Iraq un ruolo di intermediazione che smorza il protagonismo delle petromonarchie? Non sarebbe una brutta idea, ma ora riversiamoci sul campo.

Alle notizie, interpretate nei modi più originali dai complottisti di mezzo mondo, sulla presenza in Siria di mercenari-jihadisti prezzolati, corrispondono –la corrispondenza è anche cronologica– le dichiarazioni di Hillary Clinton, lo scorso 6 dicembre sull’evoluzione della situazione siriana: il Segretario di Stato americano invitava le opposizioni siriane a costruire una Siria “libera e tollerante”, evidentemente preoccupata per possibili derive estremiste proprio nel momento in cui si accertava –la notizia è stata riportata in tutte le salse– la presenza di un famoso jihadista libico legato al Qatar, Abd el-Hakim Belhaj, alla frontiera turco-siriana.

Forse la via Iraqeno-iraniano-russa è quella individuata come preferibile dall’Amministrazione americana. E tutto sommato, se le riflessioni del sottoscritto e di al-Akhbar fossero sensate, la notizia non sarebbe da accogliere negativamente.

 

Lorenzo DeclichIn 30 secondiarabia saudita,iran,iraq,paesi del golfo,qatar,relazioni internazionali,rivolta,siria,stati uniti
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