Ad aprile raccontavo di come il governo del Pakistan –nonostante il paese non ne senta il bisogno–, sia entrato nel giro del mercato halal (cioè “islamicamente permesso”).

Da gennaio in quel paese entrerà in ruolo un programma per l’accredito di cibo halal, destinato in primo luogo all’esportazione.

Come scrivevo qui (repetita iuvant):

L’esempio forse più pregnante di “deculturazione gastronomica”, o se preferite di scippo del proprio tradizionale modo di mangiare in favore di un nuovo paradigma basato sull’etichettatura, viene dal Pakistan, un paese in cui, fino ad ora, non era mai posto il problema del cibo halal, essendo musulmana la stragrande maggioranza della popolazione.

Lo scorso aprile Karachi ha dato il benestare per la nascita di una Regional Inspection & Certification Agency RI&CA, un’organizzazione pakistana privata che fornisce certificazioni halal in Pakistan e all’estero . La RI&CA fa parte di International Halal Integrity (IHI) — di stanza in Malesia –un’autority sulle merci halal riconosciuta dall’Organizzazione della Conferenza Islamica (OIC), la lobby economica a guida saudita con sede a Jedda. La RI&CA nasce sotto gli auspici  della Jamia Binoria Aalamia, un’università islamica pakistana e apre, anche, un nuovo settore professionale, con relativo percorso educativo, quello degli auditors competenti in Legge islamica e in specifiche tecniche ed etiche: queste persone dovranno dire “cosa sia halal e cosa non lo sia”. Gli standard sono quelli ICCI-IHI (la Islamic Chamber of Commerce and Industry della IHI).

Siamo di fronte a un’operazione di mercato tesa a far entrare il Pakistan, tramite un’agenzia privata, nel giro del commercio mondiale di cibo halal. Nella presentazione di RI&CA si legge: “la Malesia ha 45 agenzie per la certificazione halal, l’Indonesia ne ha approvati 40 mentre i paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo ne hanno 52. E il Pakistan?” e, in chiusura, si indicano “cibi sospettati” di non essere halal e che RI&CA promette di studiare per dare al consumatore la certezza che mangerà halal. Fra questi ci sono anche due varietà di cibo in uso in Pakistan da centinaia di anni (gutka e katakat) e che i pakistani, certamente, non percepiscono come haram.

Questa tabula rasa di un passato locale, con la sua identità, crea un mondo di merci “accettabili”  e identitarie su basi assolutamente aleatorie: l’industria del cibo halal immerge il consumatore in un universo di vaghezza e incertezza il cui unico punto fermo è rappresentato dalla fiducia che il consumatore stesso dà ai “padroni del vapore” quando appongono un’etichetta sul loro prodotto.

Lorenzo DeclichIslamercatohalal,islamercato,pakistan
Ad aprile raccontavo di come il governo del Pakistan --nonostante il paese non ne senta il bisogno--, sia entrato nel giro del mercato halal (cioè 'islamicamente permesso'). Da gennaio in quel paese entrerà in ruolo un programma per l'accredito di cibo halal, destinato in primo luogo all'esportazione. Come scrivevo qui (repetita...