In un interessante articolo suggerito dal blog Sirialibano si trova un’analisi sull’islam politico in Siria. Fra le varie conclusioni troviamo che i Fratelli Musulmani siriani non sono gli unici attori in quel campo e che, anzi, questi si devono confrontare con organizzazioni ben più radicate sul terreno.

L’articolo, inoltre, osserva che il terrorismo qaidista, così come formazioni che ad al-Qaida si ispirano, non ha avuto seguito in Siria, anche per l’attenzione prestata fino ad oggi dal regime in funzione repressiva.

Le autobomba lanciate contro gli edifici della sicurezza siriana, che hanno provocato probabilmente ben più di quaranta morti, ha le modalità proprie di un attacco suicida di matrice alqaidista. Ma vi sono legittimi dubbi sulla paternità dell’attentato, diverse cose non suonano come dovrebbero. La prima è certamente il tempismo con cui il Governo siriano ha attribuito le responsabilità (1 minuto dopo!), la seconda è la rivendicazione da parte dei suddetti Fratelli Musulmani siriani, dimostratasi falsa. La terza è che, in termini più generali –come dimostrano gli eventi libici–, al-Qaida preferisce in questo periodo “diluirsi” in un jihadismo di diverso genere, che implica il combattimento vero e proprio più che l’azione dimostrativa. Il tutto con l’aiuto dei paesi del Golfo, in primo luogo il Qatar.

Nelle conclusioni di questo interessante “Uncharted Waters: Thinking Through Syria’s Dynamics” di Crisis Group, si spiega di come la vicenda siriana –per ora senza sbocchi– stia scivolando verso una polarizzazione sempre più marcata delle posizioni, indotta dal regime per serrare le file, e verso una “internazionalizzazione” del conflitto, essendo la Siria una pedina delicatissima negli equilibri geopolitici regionali.

Un’internazionalizzazione che porta i diversi attori in campo a prendere le proprie precauzioni per garantirsi un posto al sole nella Siria futura, chi puntando ancora su al-Asad (Hezbollah, Russia, Iran), chi su un nuovo assetto.

E se abbiamo visto Hillary Clinton accennare a una minaccia estremista all’interno della nuova Siria, abbiamo registrato la presenza di jihadisti di professione sulla frontiera turco-siriana. Oggi DEBKAfile, non usando come al solito alcun condizionale e vendendo il tutto come realtà incontrovertibile, dedica un lungo articolo a quest’ultimo tema.

Quanto vi sia di allarmistico nell’articolo è da stabilire. Il concetto chiave consolidato, però, sembra riassunto nel titolo: “Il Qatar costruisce una forza armata sunnita formata da terroristi libici e iraqeni contro al-Asad” , alla cui testa c’è l’ormai famosissimo jihadista libico, Abd el-Hakim Belhaj, con la quiescienza turca e il silenzio americano.

Per chiudere: le due cose, l’attacco alqaidista agli edifici della sicurezza siriana e la milizia jihadista non sarebbero opera della stessa mano, ma sono spia del fatto che la stagnazione della crisi siriana porta con sé grandi pericoli. Quanto sia “obbligato” il silenzio americano –ovvero se sia legato a una forma di opportunità politica che potrebbe essergli fatale– è fatto anch’esso da stabilire. Sappiamo però che militari americani-NATO sarebbero schierati su un’altra frontiera, quella con la Giordania, in funzione logistica.

La mia idea è che nel campo degli attori internazionali che lavorano per far cadere al-Asad si mescolino interessi regionali (Qatar, Turchia e paesi del Golfo) che seguono una loro agenda e interessi globali (Stati Uniti) che ne seguono un’altra. E che non sempre le due agende segnino gli stessi appuntamenti.

 

Lorenzo DeclichIn 30 secondiabd el-hakim belhaj,al-qaida,americani,bashshar al-asad,hillary clinton,paesi del golfo,qatar,siria,terrorismo,turchia
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