Il dilemma del pacifista
Ieri, di fronte alla stazione Ostiense (Roma), si riunivano un migliaio di persone per una manifestazione organizzata dal Consiglio Nazionale Siriano in Italia.
Chiedevano la fine dei massacri, libertà per la Siria, la caduta del regime.
Contemporaneamente un gruppo di persone della rete No War manifestava davanti all’Ambasciata saudita.
Chiedevano di fermare l’aggressione alla Siria da parte di agenti esterni (Qatar, Arabia Saudita, NATO, al-Qaida) e dicevano “no alla guerra umanitaria”.
La prima era una manifestazione “di popolo” nel senso che c’erano molti siriani, c’erano bandiere rosse e bandiere della pace.
La seconda era una manifestazione “d’opinione” nel senso che non c’erano tutti questi siriani, non c’erano bandiere ma insegne pacifiste sì.
I pacifisti erano in entrambe le manifestazioni, due generi di pacifisti diversi –pare– che avevano due opinioni diverse sul pacifismo. C’è una polemica dietro.
Come scrive Emanuele Giordana:
Tutto è cominciato con un messaggio di Flavio Lotti il 10 febbraio scorso che invitava il pacifismo italiano ad aderire a una manifestazione, domenica prossima a Roma, indetta dalla sezione italiana del Consiglio Nazionale Siriano (Cns), importante gruppo – forse il più noto – dell’opposizione al regime di Assad. Lotti, coordinatore della Tavola della pace, spiegava che la situazione è circondata da un’informazione che spesso diventa “strumento di guerra” ma che se “abbiamo bisogno di capire, riflettere, discutere” è anche necessario “agire”. Alla manifestazione hanno aderito i gruppi più importanti del movimento: Libera, Articolo21, Cgil, Arci, Acli, Beati, Terra del Fuoco e molti altri.
Nelle stesse ore, una sessantina di associazioni non meno pacifiste, capeggiate da Peacelink, una delle più antiche formazioni arcobaleno italiane, diffondeva un Appello nel quale, citando “una crescente campagna mediatica spesso basata su resoconti parziali e non verificabili”, chiedeva all’Onu di “agire immediatamente per fermare ogni tentativo di intervento militare straniero contro la Siria e di favorire una vera mediazione”. Apparentemente le cose non sembrano in contraddizione ma solo qualche giorno dopo i distinguo sono venuti alla luce.
Con una “Lettera aperta” sul 19 febbraio” una decina di associazioni e reti (tra cui Peacelink ovviamente ma anche Ong importanti come “Un ponte per”) si sono dissociate “nettamente dalla manifestazione indetta dal Cns” non potendo “condividere le ragioni di quanti aderiscono a quella piattaforma”. Il motivo è il rifiuto del rischio di “un’altra guerra ‘umanitaria’ che, come in Libia, sotto la pretesa di proteggere i civili ha scatenato invece la ferocia dei bombardamenti”. I firmatari ritengono poi che il contestatissimo veto di Russia e Cina alla risoluzione Onu del 4 febbraio abbia scongiurato questa “minaccia”. Spaccatura insomma: gli uni per evitare di essere al solito accusati di stare zitti (“Dove sono i pacifisti”? è il refrein di chi li detesta), gli altri per il timore che un eccesso di pressione finisca a tradursi in un ennesimo conflitto (fonte).
Se avessi dovuto scegliere (ovvero: se nella vita avessi modo di gestire il mio tempo come voglio, cosa che non è) a quale manifestazione andare, avrei avuto seri problemi.
Il Consiglio Nazionale Siriano è solo una delle opposizioni, la più forte all’estero, la più legata al movimento dei Fratelli Musulmani siriani: gente che non trovo simpaticissima e che, in questo momento, sta facendo bene i propri conti per guadagnarsi una posizione di rilievo nella nuova Siria.
Tuttavia è l’organizzazione che più in Italia ha saputo catalizzare l’attenzione, in un panorama sordo e cieco. Come dice ancora Giordana:
Non si se avete letto della diatriba sulla manifestazione per la Siria che si tiene a mezzogiorno oggi a Roma. Ho deciso di andarci. Ci sono mille buoni motivi e molti distinguo da avanzare e tutto quel che volete, ma una strage in atto è una strage in atto. Può darsi che sfilare non serva a fermarla ma, certo, stare a casa non la ferma di sicuro. Ci vado e spero che serva a qualcosa. Con tutto il tempo, dopo, per discutere come andare avanti (fonte).
Dall’altra parte, sapendo come vanno a finire “gli aiuti esterni” in situazioni del genere, ci sono validissime ragioni per chiedere la non-ingerenza di potenze straniere in Siria.
Ma considerare “salvifico” il veto di Russia e Cina senza esercitare uno straccio di critica agli interessi in Siria di questi due efferati e repressivi regimi rischia di inficiare la critica agli “aggressori esterni”. Anche Cina e Russia, dal mio punto di vista, sono aggressori esterni: conducono la loro battaglia con mezzi diversi dai loro antagonisti, ma la loro attitudine è simile.
Inoltre non mandare neanche una frasetta di critica ad al-Asad è vergognoso. I morti che fa al-Asad sono meno morti di quelli che fa l’Esercito di Liberazione della Siria o chi per lui?
In breve, sarei andato ad ambedue le manifestazioni e a nessuna delle due, e questo mi porta a un ragionamento sui pacifisti.
Il fatto è che la pace in questo momento non è il problema.
Il problema in questo momento è la libertà, la democrazia, la giustizia sociale.
Il problema è il presente della Siria, luogo in cui si consuma una carneficina di gente pacifica, e anche il futuro della Siria, luogo sul quale tutti gli attori locali e non stanno facendo i loro conti usando diverse armi.
Fare un ragionamento sulla Siria chiedendosi “qual’è la posizione giusta di un pacifista in questa situazione?” è un esercizio estetico di cui, davvero, nessuno ha bisogno.
https://in30secondi.altervista.org/2012/02/20/il-dilemma-del-pacifista/In 30 secondipacifisti,siria
molto giusto.
Il punto, a mio parere, è nella definizione e negli biettivi del pacifismo. Fino a qualche decennio fa (credo esattamente prima del biennio 91-92), il pacifismo mirava ad evitare (semplifico) guerre fra nazioni. è in sostanza l’obbiettivo per cui l’ONU sarebbe stato creato.
Ma quando si tratta di conflitti interni o guerre civili, il pacifismo tout-court entra in crisi, o meglio la questione non è più di sua competenza (come effettivamente in teoria non sarebbe nemmeno compito dell’ONU). Soprattutto perché qualsiasi presa di posizione presuppone lo schierarsi da una o dall’altra delle parti in conflitto, mentre il non schierarsi (in favore della “Pace” metafisicamente intesa) appare come un pilatesco atteggiamento da dio sulla nuvoletta.
D
@Darmius
Con un’aggiunta, il pacifismo radicale ha ancora un senso, in quanto rifiuto totale della violenza.
Probabilmente è un’utopia, infatti ha riguardato più movimenti religiosi (sopratutto cristiani e buddisti) che movimenti politici (il pacifismo socialista si opponeva alle guerre tra stati e all’imperialismo, non alla guerra di classe o alle guerre d’indipendenza).
è quindi una scelta etica, sopratutto personale e legata ad una visione trascendente del mondo (“io non commetterò il peccato di violenza”).
Resta però per i pacifisti il problema delle “guerre intestine”, in cui rientra anche il discorso di come rovesciare un regime senza ricorrere alla violenza.
In questo i ragazzi di Tunisi e de il Cairo, di piazza delle perle e, in maniera assolutamente sorprendente vista la cultura tradizionale di quelle zone, quelli yemeniti, hanno dato una dimostrazione al mondo di come sia possibile fare una rivoluzione utilizzando metodo nonviolenti, poco violenti o a-violenti.
Altri movimenti che si suole accumulare alle primavere arabe non hanno dimostrato questa maturità organizzativa e questa capacità di creare nuovi strumenti e metodi di lotta.
Si è visto in Libia e in si vede oggi in Siria.
Ovviamente non è “colpa loro”, il livello di repressione era diverso in ogni paese (le guerre si fanno in due), ed i regimi hanno tentato di utilizzare la violenza militare per stroncare il movimento (con un certo successo iniziale in ambedue i casi).
Il punto è che, visti i risultati, le rivoluzioni più sono pacifiche più sembrano funzionare.
Certo questi sistemi hanno conosciuto anche dei fallimenti, si pensi ad esempio alla rivolta “verde” iraniana di 3 anni fa.
Ma è meglio fallire senza distruggere il paese, e pensare a come ricominciare, o vincere dopo anni di massacri?
Da qui si giunge ad una seconda riflessione “sharpiana”, cosa dovrebbe fare l’opposizione siriana per ricondurre la sua lotta nei binari “pacifisti” e tendenzialmente vincenti?
E sopratutto cosa dobbiamo fare noi per favorire questa svolta senza essere o apparire eurocentrici, saccenti, imperialisti culturali?
Non ho risposte a queste domande.
Infatti hai ragione Valerio, ma io mi concentravo sul pacifismo in Italia o comunque fuori dalla scena del conflitto (e questo mi sembrava l’argomento) e non sulla non-violenza ideologicamente intesa.
Anche io se dovessi fare una rivoluzione qui, preferirei farla non violenta. Però non so se sarei capace di, o anche solo idealmente pronto a, partire per Damasco e distendermi su una piazza per prendere randellate. E non so nemmeno se questo sia il miglior consiglio da dare ai siriani. Posto che non ne ho molti altri di consigli, il dilemma rimane.
Hasta siempre
D
Lorenzo Declich, lei scrive:
1 “Il Consiglio Nazionale Siriano è solo una delle opposizioni, la più forte all’estero, la più legata al movimento dei Fratelli Musulmani siriani: gente che non trovo simpaticissima e che, in questo momento, sta facendo bene i propri conti per guadagnarsi una posizione di rilievo nella nuova Siria.”
– Il problema non è se le siano simpatici o meno i Fratelli Musulmani (mi scusi ma i siriani hanno diritto ad essere governati da chi è simpatico a loro, non a lei), il problema è se il CNS rappresenti i siriani. Basta una minima indagine per sapere che il CNS nasce al di fuori della Siria, in Turchia, da un fuoriuscito del CNSCD, il Coordinamento dei siriani pacifici che comprendeva tutte le opposizioni al regime, compresi i Fratelli Musulmani. Basta un’altra piccola indagine (ma se vuole le fornisco i link) per sapere che il CNS ha stretto un legame con l’esercito libero siriano per il quale invoca l’invio di armi. Dunque, come può un pacifista manifestare al fianco dei rappresentanti del CNS? Non può, non dovrebbe. Membri del CNSCD sono già stati aggrediti al Cairo dal CNS; Ossamah Al Tawil, membro del CNSCD in Italia, è stato minacciato dal CNS, e anche per questo non ha manifestato col CNS. Non vuole che ad Assad si sostituisca un altro organismo antidemocratico che non ammette opposizioni e che, sembra quasi un inciso, lo ripeto: non rappresenta i siriani, e con ogni probabilità è eterodiretto. Conosce Ossamah Al Tawil? Le consiglio di leggere la sua intervista, è in rete l’articolo più illuminante sulla situazione in Siria. La trova qui.
http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/noguerra/NotizieCommenti_1328967644.htm
2. Ma considerare “salvifico” il veto di Russia e Cina senza esercitare uno straccio di critica agli interessi in Siria di questi due efferati e repressivi regimi rischia di inficiare la critica agli “aggressori esterni”. Anche Cina e Russia, dal mio punto di vista, sono aggressori esterni: conducono la loro battaglia con mezzi diversi dai loro antagonisti, ma la loro attitudine è simile.”
– Il veto di Cina e Siria è evitato con ogni probabilità un’altra Libia. Non a caso, visto quel che è successo là con le loro astensioni, stavolta le due potenze asiatiche hanno pensato di opporsi in modo forte. L’ONU inoltre non ha manco considerato la proposta di delibera della Russia, e quindi è scattato il veto. Il punto è che l’ONU non vuol ammettere che a far violenze sui civili non è solo il regime. Al Tawil a nome del CNSCD le ringrazia per il veto che avrebbe aperto la via all’ingerenza esterna. Russia e Cina sono alleate della Siria di Assad, quindi non si capisce come possano essere aggressori esterni. Il suo ragionamento è illogico. Si può considerare il regime di Assad antidemocratico ma di certo non una ingerenza esterna.
3. “Inoltre non mandare neanche una frasetta di critica ad al-Asad è vergognoso. I morti che fa al-Asad sono meno morti di quelli che fa l’Esercito di Liberazione della Siria o chi per lui?”
– Sono d’accordo, ci voleva anche una frase di condanna dei crimini fatti dal regime, io l’avrei portata. Ma secondo lei perché i manifestanti legati a Peacelink e alla Rete No War si sono concentrati sui crimini dell’esercito libero siriano e sulle ingerenze esterne? La contingenza mi sembra chiara: non è certo sottolineando i crimini di Assad – cosa che fan già media occidentali e arabi, addebitandogliene anche di inventati – che si evita una nuova Libia.
4. “In breve, sarei andato ad ambedue le manifestazioni e a nessuna delle due, e questo mi porta a un ragionamento sui pacifisti. Il fatto è che la pace in questo momento non è il problema. Il problema in questo momento è la libertà, la democrazia, la giustizia sociale.”
– La pace non sarebbe il problema primo se non ci fossero ingerenze già in atto dall’esterno. Il problema per la Siria, in questo momento, mi permetta di nuovo, non dovrebbe essere lei a stabilirlo, ma i siriani: cosa vogliono dunque i siriani?
5. “Il problema è il presente della Siria, luogo in cui si consuma una carneficina di gente pacifica, e anche il futuro della Siria, luogo sul quale tutti gli attori locali e non stanno facendo i loro conti usando diverse armi.”
– Carneficina di gente pacifica ad opera di una guerra civile tra un regime dispotico repressivo e degli armati rappresentanti solo una piccola fazione di popolazione, per lo più integralista religiosa, e con infiltrati qaedisti, truppe jihadiste libiche e probabilmente anche arabiche con “consiglieri occidentali” (con la Turchia sede logistica del tutto).
E’ certamente un bel problema. Ma il primo dovere da rispettare è quello della non ingerenza. Il secondo è capire cosa vuole la maggior parte dei siriani. Da quel che so io, era favorevole a una rivoluzione nonviolenta che voleva riforme democratiche progressive, e in questo senso la rivoluzione armata, scatenata anche dalla repressione del regime, sia chiaro, ha compromesso questa lotta popolare.
Diamo quindi la voce ai siriani, prima di tutto, non siamo noi a dover decidere per loro. Interroghiamoci su cosa vogliono loro, senza preconcetti.
– Il problema non è se le siano simpatici o meno i Fratelli Musulmani (mi scusi ma i siriani hanno diritto ad essere governati da chi è simpatico a loro, non a lei), il problema è se il CNS rappresenti i siriani.
> ho spiegato che “è solo una delle opposizioni”, mi sembrava di essere stato chiaro. In più non rinuncio a dire chi mi sta simpatico e chi no per evitare che mi si accusi di simpatizzare per l’uno o per l’altro (è avvenuto spesso).
Basta una minima indagine per sapere che il CNS nasce al di fuori della Siria, in Turchia, da un fuoriuscito del CNSCD, il Coordinamento dei siriani pacifici che comprendeva tutte le opposizioni al regime, compresi i Fratelli Musulmani.
> ma poi l’opposizione si divide
Basta un’altra piccola indagine (ma se vuole le fornisco i link) per sapere che il CNS ha stretto un legame con l’esercito libero siriano per il quale invoca l’invio di armi.
> appunto
Dunque, come può un pacifista manifestare al fianco dei rappresentanti del CNS?
> questo è un problema estetico. E’ un problema di “un pacifista” non è il problema della Siria. Di qui, comunque, la citazione delle motivazioni di Giordana.
Non può, non dovrebbe. Membri del CNSCD sono già stati aggrediti al Cairo dal CNS; Ossamah Al Tawil, membro del CNSCD in Italia, è stato minacciato dal CNS, e anche per questo non ha manifestato col CNS. Non vuole che ad Assad si sostituisca un altro organismo antidemocratico che non ammette opposizioni e che, sembra quasi un inciso, lo ripeto: non rappresenta i siriani,
> o ne rappresenta una parte, probabilmente piccola
e con ogni probabilità è eterodiretto.
> di qui il mio cenno ai Fratelli Musulmani, che in Siria, come dimostrano diversi studi, non hanno l’appeal che hanno altrove
Conosce Ossamah Al Tawil? Le consiglio di leggere la sua intervista, è in rete l’articolo più illuminante sulla situazione in Siria. La trova qui.
http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/noguerra/NotizieCommenti_1328967644.htm
La leggo, grazie. Se una cosa non ho fatto in questo articolo è citare il CNSCD (avevo esaurito il tema spiegando che il CNS non è l’unica opposizione). Me ne scuso e invito tutti a leggere l’articolo.
– Il veto di Cina e Siria è evitato con ogni probabilità un’altra Libia.
> Ma è un risultato “laterale” rispetto agli interessi di Cina e Russia in Siria: questo voglio dire. Quindi non è il caso di “incensare” Cina e Russia che, a casa loro, non esitano a usare armi e repressione. Anche qui c’è un problema di “estetica”. Se appoggiamo uno o un altro in base a prese di posizione momentanee dovute a interessi “altri”, non facciamo che “atteggiarci”, senza esercitare una critica approfondita. Comunque non sono così sicuro che un’attacco NATO genererebbe un’altra Libia. Avrebbe infatti implicazioni se possibile anche peggiori. Il contesto geopolitico è completamente diverso, molto più complicato e molto più delicato. Non credo che la NATO possa permettersi di fare una no-fly zone in Siria. Al di là dei veti di Russia a Cina. Detto ciò io sarei assolutamente contro, ma non per i motivi di Russia e Cina.
Non a caso, visto quel che è successo là con le loro astensioni, stavolta le due potenze asiatiche hanno pensato di opporsi in modo forte.
> per seguire i propri interessi nell’area
L’ONU inoltre non ha manco considerato la proposta di delibera della Russia, e quindi è scattato il veto.
> d’accordo
Il punto è che l’ONU non vuol ammettere che a far violenze sui civili non è solo il regime.
> questa è una cosa da verificare, non credo che il motivo sia questo. Credo che il motivo siano le pressioni che l’ONU riceve.
Al Tawil a nome del CNSCD le ringrazia per il veto che avrebbe aperto la via all’ingerenza esterna.
> ne prendo atto
Russia e Cina sono alleate della Siria di Assad, quindi non si capisce come possano essere aggressori esterni.
> si capisce immaginando una Siria in cui loro non hanno le stesse posizioni privilegiate
Il suo ragionamento è illogico.
> grazie, davvero.
Si può considerare il regime di Assad antidemocratico ma di certo non una ingerenza esterna.
> secondo me fai confusione fra attori esterni, ingerenza e aggressione nel senso che ho definito prima. Al-Asad e i suoi amici russi e cinesi sono due cose diverse. L’ingerenza non è aggressione. Laddove per aggressione intendo attacco agli interessi dei siriani e non a quelli del regime siriano.
– Sono d’accordo, ci voleva anche una frase di condanna dei crimini fatti dal regime, io l’avrei portata. Ma secondo lei perché i manifestanti legati a Peacelink e alla Rete No War si sono concentrati sui crimini dell’esercito libero siriano e sulle ingerenze esterne? La contingenza mi sembra chiara: non è certo sottolineando i crimini di Assad – cosa che fan già media occidentali e arabi, addebitandogliene anche di inventati – che si evita una nuova Libia.
> ma non sottolineandoli si omette un elemento fondamentale nell’analisi. Quanto alle “invenzioni” ho sottolineato più volte in questo blog lo “scontro di propagande” in atto. Il post più riuscito è senz’altro questo: http://in30secondi.altervista.org/?p=14097
– La pace non sarebbe il problema primo se non ci fossero ingerenze già in atto dall’esterno. Il problema per la Siria, in questo momento, mi permetta di nuovo, non dovrebbe essere lei a stabilirlo, ma i siriani: cosa vogliono dunque i siriani?
> Credo che vogliano essere liberi, prima che in pace. Altrimenti non avrebbero fatto quello che hanno fatto. E sottolineo che l’hanno fatto “pacificamente” per molto tempo, prima che il conflitto –e questa è una vittoria di al-Asad– si internazionalizzasse.
– Carneficina di gente pacifica ad opera di una guerra civile tra un regime dispotico repressivo e degli armati rappresentanti solo una piccola fazione di popolazione, per lo più integralista religiosa, e con infiltrati qaedisti, truppe jihadiste libiche e probabilmente anche arabiche con “consiglieri occidentali” (con la Turchia sede logistica del tutto).
> a Homs bombardano i quartieri. E questo è solo uno degli esempi di carneficina perpetrata ai danni di gente che manifesta pacificamente per la propria libertà. Tanta gente, a mani nude. Questi per te non valgono niente? Non dico che devi prendere per veri i numeri forniti dalle organizzazioni anti-regime, ti chiedo di aprire prendere visione delle migliaia di documenti che testimoniano l’esistenza di un grande movimento d’opinione in ampissima parte pacifico. E te lo dico io che, non per farmi bello, sono stato il primo in Italia a parlare dei jihadisti libici in Siria, dei “consiglieri occidentali” e qaidisti veri o presunti iraqeni/giordani (vai a confrontare le date se non ci credi).
E’ certamente un bel problema. Ma il primo dovere da rispettare è quello della non ingerenza.
> ripeto non è, o almeno non era, una guerra civile. Le “analisi” sulla non ingerenza sono incomplete se non sono sostanziate da un’analisi “storica” del movimento siriano.
Il secondo è capire cosa vuole la maggior parte dei siriani. Da quel che so io, era favorevole a una rivoluzione nonviolenta che voleva riforme democratiche progressive,
> appunto
e in questo senso la rivoluzione armata, scatenata anche dalla repressione del regime, sia chiaro, ha compromesso questa lotta popolare.
> ecco
Diamo quindi la voce ai siriani, prima di tutto, non siamo noi a dover decidere per loro. Interroghiamoci su cosa vogliono loro, senza preconcetti.
> penso di averti risposto e penso che, esclusi gli “estetismi” di “un pacifista”, siamo anche d’accordo.
ps ho letto l’articolo succitato ed è davvero importante.
http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/noguerra/NotizieCommenti_1328967644.htm
La ringrazio Lorenzo delle sue risposte.
So di avere usato un linguaggio spesso aggressivo e quindi apprezzo la gentilezza e l’intelligenza che ha mostrato nel rispondermi – l’esperienza di 9 anni di discussioni su blogs di internet mi ha convinto che un interlocutore onesto, affidabile, interessato ad approfondire i discorsi nel merito più che a “beccarsi” con altri blogger si caratterizza da nome e cognome esposti e risposte a interventi critici ma documentati con il tono delle sue.
Tre controrisposte:
– Correggo un mio giudizio troppo forte: più che illogico,considero una forzatura il suo considerare quel che fanno Russia e Cina una ingerenza esterna.
– Su quel che vogliono i siriani: credo il regime sia sostenuto da una minoranza di persone, tuttavia la maggioranza silenziosa non è detto sostenga le proteste pacifiche più del regime. E’ possibile che il sostegno al regime sia maggiore di quel che pensiamo. Se non ricordo male ho letto pure sondaggi (ovviamente da prender con le pinze) del Qatar attribuirgli la maggioranza assoluta.
– Su quel che succede, la mia impressione è che a bombardare i quartieri non sia solo il regime ma frange di insorti armati. Ne ho parlato sull’articolo mio postato nel mio blog. Da quello le segnalo per esempio l’intervista di S. Cattori, http://www.silviacattori.net/article2800.html
– Come Peacelink (io sono un redattore del sito) abbiamo sottoposto ai capi dei pacifisti marcianti il 19 con il CNS i documenti che compromettono il CNS con gli insorti armati e l’intervista di Ossamah – senza risposta adeguata. Nelle discussioni delle mailing list si è precisata la linea da tenere verso la Tavola della Pace, coordinamento molto discusso e criticato dei pacifisti, guidato dal sempre più filopieddino e poco rappresentativo dei pacifisti F. Lotti. Consideriamo l’adesione alla manifestazione del 19 un grave segno di disfacimento della realtà pacifista. La Fiom è stata sensibile alle obiezioni di molti, e si è dissociata da quella manifestazione, sostenuta anche dalla CGIL.
– Con Ossamah ora sono in contatto personalmente, e probabilmente la sua opinione comparirà ancora sul web in siti di Peacelink o in essi collegati, come http://www.ildialogo.org.
Lorenzo Galbiati
redattore di Peacelink
Su Homs:
‘We live in fear of a massacre’; The only British newspaper journalists inside the besieged Syrian enclave of Baba Amr reports on the terrible cost of the uprising against president Assad; Loyalties of ‘desert rose’ tested
Marie Colvin and Paul Conroy in Homs
20 February 2012
Sundaytimes.co.uk
They call it the widows’ basement. Crammed amid makeshift beds and scattered belongings are frightened women and children trapped in the horror of Homs, the Syrian city shaken by two weeks of relentless bombardment. Among the 300 huddling in this wood factory cellar in the besieged district of Baba Amr is 20-year-old Noor, who lost her husband and her home to the shells and rockets. “Our house was hit by a rocket so 17 of us were staying in one room,” she recalls as Mimi, her three-year-old daughter, and Mohamed, her five-year-old son, cling to her abaya. “We had had nothing but sugar and water for two days and my husband went to try to find food.” It was the last time she saw Maziad, 30, who had worked in a mobile phone repair shop. “He was torn to pieces by a mortar shell.” For Noor, it was a double tragedy. Adnan, her 27-year-old brother, was killed at Maziad’s side. Everyone in the cellar has a similar story of hardship or death. The refuge was chosen because it is one of the few basements in Baba Amr. Foam mattresses are piled against the walls and the children have not seen the light of day since the siege began on February 4. Most families fled their homes with only the clothes on their backs. The city is running perilously short of supplies and the only food here is rice, tea and some tins of tuna delivered by a local sheikh who looted them from a bombed-out supermarket. A baby born in the basement last week looked as shellshocked as her mother, Fatima, 19, who fled there when her family’s single-storey house was obliterated. “We survived by a miracle,” she whispers. Fatima is so traumatised that she cannot breastfeed, so the baby has been fed only sugar and water; there is no formula milk. Fatima may or may not be a widow. Her husband, a shepherd, was in the countryside when the siege started with a ferocious barrage and she has heard no word of him since. The widows’ basement reflects the ordeal of 28,000 men, women and children clinging to existence in Baba Amr, a district of low concrete-block homes surrounded on all sides by Syrian forces. The army is launching Katyusha rockets, mortar shells and tank rounds at random. Snipers on the rooftops of al-Ba’ath University and other high buildings surrounding Baba Amr shoot any civilian who comes into their sights. Residents were felled in droves in the first days of the siege but have now learnt where the snipers are and run across junctions where they know they can be seen. Few cars are left on the streets. Almost every building is pock-marked after tank rounds punched through concrete walls or rockets blasted gaping holes in upper floors. The building I was staying in lost its upper floor to a rocket last Wednesday. On some streets whole buildings have collapsed — all there is to see are shredded clothes, broken pots and the shattered furniture of families destroyed. It is a city of the cold and hungry, echoing to exploding shells and bursts of gunfire. There are no telephones and the electricity has been cut off. Few homes have diesel for the tin stoves they rely on for heat in the coldest winter that anyone can remember. Freezing rain fills potholes and snow drifts in through windows empty of glass. No shops are open, so families are sharing what they have with relatives and neighbours. Many of the dead and injured are those who risked foraging for food. Fearing the snipers’ merciless eyes, families resorted last week to throwing bread across rooftops, or breaking through communal walls to pass unseen. The Syrians have dug a huge trench around most of the district, and let virtually nobody in or out. The army is pursuing a brutal campaign to quell the resistance of Homs, Hama and other cities that have risen up against Bashar al-Assad, the Syrian president, whose family has been in power for 42 years. In Baba Amr, the Free Syrian Army (FSA), the armed face of opposition to Assad, has virtually unanimous support from civilians who see them as their defenders. It is an unequal battle: the tanks and heavy weaponry of Assad’s troops against the Kalashnikovs of the FSA. About 5,000 Syrian soldiers are believed to be on the outskirts of Baba Amr, and the FSA received reports yesterday that they were preparing a ground assault. The residents dread the outcome. “We live in fear the FSA will leave the city,” said Hamida, 43, hiding with her children and her sister’s family in an empty ground-floor apartment after their house was bombed. “There will be a massacre.” On the lips of everyone was the question: “Why have we been abandoned by the world?” Ban Ki-moon, the secretary-general of the United Nations, said last week: “We see neighbourhoods shelled indiscriminately, hospitals used as torture centres, children as young as 10 years old killed and abused. We see almost certainly crimes against humanity.” Yet the international community has not come to the aid of the innocent caught in this hell. Abdel Majid, 20, who was helping to rescue the wounded from bombed buildings, made a simple plea. “Please tell the world they must help us,” he said, shaking, with haunted eyes. “Just stop the bombing. Please, just stop the shelling.” The journey across the countryside from the Lebanese border to Homs would be idyllic in better times. The villages are nondescript clusters of concrete buildings on dirt tracks but the lanes are lined with cypresses and poplar trees and wind through orchards of apricot and apple trees. These days, however, there is an edge of fear on any journey through this area. Most of this land is essentially what its residents call “Syria hurra”, or free Syria, patrolled by the FSA. Nevertheless, Assad’s army has checkpoints on the main roads and troops stationed in schools, hospitals and factories. They are heavily armed and backed by tanks and artillery. So a drive to Homs is a bone-rattling struggle down dirt roads, criss-crossing fields. Men cluster by fires at unofficial FSA checkpoints, eyeing any vehicle suspiciously. As night falls, flashlights waved by unseen figures signal that the way ahead is clear. Each travelling FSA car has a local shepherd or farmer aboard to help navigate the countryside; the Syrian army may have the power, but the locals know every track of their fields. I entered Homs on a smugglers’ route, which I promised not to reveal, climbing over walls in the dark and slipping into muddy trenches. Arriving in the darkened city in the early hours, I was met by a welcoming party keen for foreign journalists to reveal the city’s plight to the world. So desperate were they that they bundled me into an open truck and drove at speed with the headlights on, everyone standing in the back shouting “Allahu akbar” — God is the greatest. Inevitably, the Syrian army opened fire. When everyone had calmed down I was driven in a small car, its lights off, along dark empty streets, the danger palpable. As we passed an open stretch of road, a Syrian army unit fired on the car again with machineguns and launched a rocket-propelled grenade. We sped into a row of abandoned buildings for cover. The scale of human tragedy in the city is immense. The inhabitants are living in terror. Almost every family seems to have suffered the death or injury of a loved one. Khaled Abu Salah, an activist who took part in the first demonstrations against Assad in Homs last March, sat on the floor of an office, his hand broken and bandages covering shrapnel wounds to his leg and shoulder. A 25-year-old university student, who risked his life filming videos of the slaughter of Baba Amr residents, he narrowly escaped when he tried to get two men wounded by mortar fire to a makeshift clinic. He and three friends had just taken the wounded to the clinic, which was staffed by a doctor and a dentist, and stepped away from the door when “a shell landed right at the entrance”, he recalled last week. “My three friends died immediately.” The two men they had helped were also killed. Abu Ammar, 48, a taxi driver, went out to look for bread at 8am one day last week. He, his wife and their adopted daughter had taken refuge with two elderly sisters
after their home was hit by shells. “When I returned the house was obliterated,” he said, looking at all that remained of the one-storey building. Only a few pieces of wall still stood. In the ruins a woman’s red blouse was visible; bottles of home-made pickled vegetables were somehow unscathed. “Dr Ali”, a dentist working as a doctor, said one of the women from the house had arrived at the clinic alive, but both legs had been amputated and she died. The clinic is merely a first-floor apartment donated by the kindly owner. It still has out-of-place domestic touches: plasma pouches hang from a wooden coat hanger and above the patients a colourful children’s mobile hangs from the ceiling. The shelling last Friday was the most intense yet and the wounded were rushed to the clinic in the backs of cars by family members. Ali the dentist was cutting the clothes off 24-year-old Ahmed al-Irini on one of the clinic’s two operating tables. Shrapnel had gashed huge bloody chunks out of Irini’s thighs. Blood poured out as Ali used tweezers to draw a piece of metal from beneath his left eye. Irini’s legs spasmed and he died on the table. His brother-in-law, who had brought him in, began weeping. “We were playing cards when a missile hit our house,” he said through his tears. Irini was taken out to the makeshift mortuary in a former back bedroom, naked but for a black plastic bag covering his genitals. There was no let-up. Khaled Abu Kamali died before the doctor could get his clothes off. He had been hit by shrapnel in the chest while at home. Salah, 26, was peppered with shrapnel in his chest and the left of his back. There was no anaesthetic, but he talked as Ali inserted a metal pipe into his back to release the pressure of the blood building up in his chest. Helping tend the wounded was Um Ammar, a 45-year-old mother of seven, who had offered to be a nurse after a neighbour’s house was shelled. She wore filthy plastic gloves and was crying. “I’m obliged to endure this, because all children brought here are my children,” she said. “But it is so hard.” Akhmed Mohammed, a military doctor who defected from Assad’s army, shouted: “Where are the human rights? Do we have none? Where are the United Nations?” There were only two beds in the clinic for convalescing. One was taken by Akhmed Khaled, who had been injured, he said, when a shell hit a mosque as he was about to leave prayers. His right testicle had had to be removed with only paracetamol to dull the pain. He denounced the Assad regime’s claim that the rebels were Islamic extremists and said: “We ask all people who believe in God — Christians, Jews, Muslims to help us!” If the injured try to flee Baba Amr, they first have to be carried on foot. Then they are transferred to motorbikes and the lucky ones are smuggled to safety. The worst injured do not make it. Though Syrian officials prohibit anyone from leaving, some escapees manage to bribe their way out. I met refugees in villages around Homs. Newlywed Miriam, 32, said she and her husband had decided to leave when they heard that three families had been killed and the women raped by the Shabiha militia, a brutal force led by Assad’s younger brother, Maher. “We were practically walking on body parts as we walked under shelling overhead,” she said. Somehow they made it unscathed. She had given an official her wedding ring in order to be smuggled out to safety. Abdul Majid, a computer science student at university, was still shaking hours after arriving in a village outside Homs. He had stayed behind alone in Baba Amr. “I had to help the old people because only the young can get out,” said Majid, 20, wearing a leather jacket and jeans. He left when his entire street fled after every house was hit. “I went to an army checkpoint that I was told was not too bad. I gave them a packet of cigarettes, two bags of tea and 500 Syrian pounds. They told me to run.” Blasts of Kalashnikov fire rang out above his head until he reached the tree line. He said the soldiers were only pretending to try to shoot him to protect themselves, but his haunted eyes showed he was not entirely sure. If the Syrian military rolls into Baba Amr, the FSA will have little chance against its tanks, superior weaponry and numbers. They will, however, fight ferociously to defend their families because they know a massacre is likely to follow any failure, if the past actions of the Assad regime are anything to go by. The FSA partly relies on defections from Assad’s army because it does not accept civilians into its ranks, though they perform roles such as monitoring troop movements and transporting supplies. But it has become harder for soldiers to defect in the past month. Abu Sayeed, 46, a major- general who defected six months ago, said every Syrian military unit was now assigned a member of the Mukhabarat, the feared intelligence service, who have orders to execute any soldier refusing an order to shoot or who tries to defect. The army, like the country, may well be about to divide along sectarian lines. Most of the officers are members of the Alawite sect, the minority Shi’ite clan to which the Assad family belongs, while foot soldiers are Sunni. The coming test for the army will be if its ranks hold if ordered to kill increasing numbers of their brethren. The swathe of the country that stretches east from the Lebanon border and includes Homs is Sunni; in the villages there they say that officers ordering attacks are Alawites fighting for the Assad family, not their country. The morale of Assad’s army, despite its superiority, is said to be low as it is poorly paid and supplied, although this information comes mostly from defectors. “The first thing we did when we attacked the house was race to the refrigerator,” said a defector. Thousands of soldiers would be needed to retake the southern countryside. Hafez al- Assad, Bashar’s father and former president, crushed his problems with Islamic fundamentalists in 1982 by shelling the city of Hama into ruins and killing at least 10,000 men, women and children. So far his son appears to have calculated that a similar act would be a step too far for his remaining allies of Russia, China and Iran. For now it is a violent and deadly standoff. The FSA is not about to win and its supplies of ammunition are dwindling. The only real hope of success for Assad’s opponents is if the international community comes to their aid, as Nato did against Muammar Gadaffi in Libya. So far this seems unlikely to happen in Syria. Observers see a negotiated solution as perhaps a long shot, but the best way out of this impasse. Though neither side appears ready to negotiate, there are serious efforts behind the scenes to persuade Russia to pull Assad into talks. As international diplomats dither, the desperation in Baba Amr grows. The despair was expressed by Hamida, 30, hiding in a downstairs flat with her sister and their 13 children after two missiles hit their home. Three little girls, aged 16 months to six years, sleep on one thin, torn mattress on the floor; three others share a second. Ahmed, 16, her sister’s eldest child, was killed by a missile when he went to try to find bread. “The kids are screaming all the time,” Hamida said. “I feel so helpless.” She began weeping. “We feel so abandoned. They’ve given Bashar al-Assad the green light to kill us.” Asma, the British-born wife of President Bashar al-Assad, may well be feeling a sense of divided loyalty as the violence continues in the Syrian city of Homs. Her family are from the area, which has been a focal point for many of the recent protests against her husband’s regime and the Syrian army’s brutal response. Despite growing up in Acton, west London, Asma visited her family’s home in Homs every year throughout her childhood. She is also a Sunni Muslim, unlike her husband, who comes from the country’s minority Shi’ite community. Asma, 36, has been criticised for displaying an “ostrich attitude”, keeping a low profile as the conflict has intensified. She has refused to comment on the way her husband’s regime has used tanks
and other lethal means to crush protesters. In an email sent earlier this month, her office merely said: “The first lady’s very busy agenda is still focused on supporting the various charities she has long been involved with as well as rural development and supporting the President as needed.” The daughter of a consultant cardiologist and a retired diplomat, Asma was born in London. She attended a Church of England state school in Acton and gained a BSc in computer science and a diploma in French literature from King’s College London. She went on to work for Deutsche Bank and married Assad in Syria in 2000. Now a mother of three, she was once described by Vogue as a “rose in the desert”. In Homs, the beleaguered people may now take a different view.
Su Homs prosegue la controinformazione di Silvia Cattori
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«DA MISURATA SIAMO VENUTI A LIBERARE LA SIRIA!».
Homs nell’inferno dei gruppi armati
Le immagini che ci arrivano da Homs sono inquietanti: mostrano una città deserta, devastata dai combattimenti. Dallo scorso 6 febbraio, non avendo potuto ristabilire le comunicazioni, abbiamo perso ogni contatto coi nostri corrispondenti (*).
24 FEBBRAIO 2012 | TEMI (S.CATTORI) : RUOLO DELLA STAMPA MANIPOLAZIONE DELL’OPINIONE, MENZOGNE DI STATO SIRIA
Homs, ormai, non è altro che un sinistro campo di battaglia dove i soldati governativi affrontano gruppi armati che, secondo testimonianze indipendenti sulla vera natura della ribellione, sparano cannonate alla cieca per seminare terrore e morte, facendo poi credere essere unicamente le forze del governo a martellare la città.
I media occidentali continuano, da parte loro, a menzionare come prova le dichiarazioni dei Comitati locali che diffondono la propaganda degli «oppositori» armati, in coordinamento con l’Osservatorio siriano dei Diritti dell’Uomo, con base a Londra, un organo creato e finanziato dalle forze alleate con la ribellione [1].
Per capire quanto succede in Siria, non è dunque possibile fare affidamento sull’Osservatorio siriano o sui blogger che sono parte integrante di questa ribellione; tantomeno sugli inviati speciali che constatiamo essere sistematicamente anima e corpo dalla parte degli «oppositori» armati, che loro qualificano come «eroi», e che presentano la battaglia che divide il popolo siriano in una luce del tutto manichea: da una parte l’opposizione che «lotta per la democrazia», dall’altra il terribile dittatore.
Ora, le cose non stanno così. Come è stato da ultimo dimostrato da un recente sondaggio nonché dalle massicce manifestazioni di sostegno al veto russo e cinese all’Onu, la grande maggioranza del popolo siriano non vuole questa rivolta armata che cerca unicamente di legittimare le potenze della Nato e taluni Stati arabi – notoriamente grandi paladini della democrazia – come il Qatar.
Se si deve parlare di «eroi» in Siria, allora si deve fare riferimento a tutte le parti che soffrono, e non solamente agli «eroi» che riconosce l’Occidente…
Quanti missili Milan sono stati consegnati ai ribelli?
Sono numerosissimi i cittadini siriani che si appellano al loro presidente affinché le forze governative intervengano. A Homs soprattutto, dove la situazione è allarmante per ampi settori della popolazione, presi in ostaggio da questi gruppi che occupano intere zone della città – i quartieri di Baba Amr, Khaldiyeh, Karm el-Zeytoun – dove le persone chiamano da mesi Damasco affinché li soccorra [2].
La loro sorte è diventata ancor più fonte d’angoscia da quando i ribelli fanno uso dei lancia-missili anticarro Milan che erano stati consegnati ai ribelli libici durante la campagna di Libia, meno di un anno fa, da Francia e Qatar. Ci possiamo ricordare come Bernard Henry Levy e Sarkozy avessero all’epoca ingannato l’opinione pubblica attribuendo alle forze fedeli a Gheddafi l’uso di questi missili Milan che mietevano vittime in Libia.
È lo stesso inquietante scenario che si ripete in Siria. I politici, le ONG e i giornalisti, fanno ancora una volta una scelta di campo a favore della guerra che gruppi strumentalizzati dalle potenze straniere provocano. Attribuiscono alle forze governative – come in passato in Libia, senza alcuna seria verifica – gli atti di barbarie perpetrati dagli «oppositori» armati che terrorizzano la maggioranza della popolazione.
Da tre settimane i commentatori ripetono che Homs è cannoneggiata unilateralmente dall’esercito siriano. Al contrario, i contingenti lealisti attaccati dai missili Milan hanno subito numerose perdite dall’inizio del loro intervento. Non è chiaro se le autorità di Damasco riusciranno a sloggiare questi gruppi dotati di armamento pesante da tutti i quartieri della città in cui si sono infiltrati.
Poteva il governo siriano non reagire?
È stato ripetutamente dimostrato – fin dall’inizio di questi combattimenti – che gli «oppositori» armati sono addestrati, inquadrati e formati da forze speciali straniere; che tra le loro fila gli oppositori hanno elementi che agiscono per conto di potenze straniere la cui presenza in Siria è lampante. La televisione siriana ha diffuso negli scorsi giorni le immagini recenti di Homs riprese da un «fotoreporter di guerra» straniero che ha seguito e filmato in un quartiere della città questi «oppositori» armati – gli stessi che i «grandi reporter» glorificano – che lanciano razzi e missili all’impazzata. Una immagine ha attirato l’attenzione: all’interno di un edificio, con le scale imbrattate di sangue, gli arredamenti distrutti, campeggiava su un muro una scritta sorprendente e dal significato pesante: «Da Misurata, dopo aver liberato la Libia, siamo venuti a liberare la Siria!».
Chi sono i responsabili dei massacri di Homs, che obiettivi perseguono?
Questi gruppi armati, le cui azioni più efferate sono attribuite ai soldati di el-Assad che li fronteggiano, sono sistematicamente presentati dalla stampa occidentale come «oppositori» che lottano per la «democrazia».
Perché i «grandi reporter» non riportano mai le testimonianze su Siriani vittime di rapimenti, torture, omicidi, da parte di questi «oppositori» armati?
Perché, ancora di recente, il presidente di “Medici senza frontiere” si è aggiunto a questa operazione di intossicazione mostrando come degne di fede le testimonianze di Siriani anonimi – col volto celato – schierati coi ribelli che attribuivano alle forze di el-Assad ed ai medici degli ospedali atti indicibili di tortura su feriti e bambini? [3]
Chi potrebbe credere essere nell’interesse di Bashar el-Assad di torturare il suo popolo, violentare bambini e ragazzine? Chi può credere che il popolo siriano continui a sostenere in maggioranza Bashar el-Assad se fosse quel torturatore sanguinario dipinto in Occidente a fini di propaganda di guerra?
Queste incessanti campagne che prendono la difesa degli oppositori violenti, e non del popolo terrorizzato e oppresso da questi ribelli, sono pericolose. Mirano a portare acqua al mulino delle potenze – Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti, appoggiate da Qatar e Arabia Saudita – che, da mesi, preparano nell’ombra il terreno per un intervento militare in Siria e non aspettano altro che il semaforo verde da parte di Obama.
Silvia Cattori
(*) Si veda: « Homs, un testimone racconta il terrore: sono gruppi armati, non è Damasco », di Silvia Cattori, 10 febbraio 2012.
(http://www.silviacattori.net/article2800.html)
Traduzione dal francese a cura di Simone Santini (24.02.2012):
http://www.clarissa.it/esteri_int.php?id=1556
Testo originale in francese (23.02.2012):
http://www.silviacattori.net/article2861.html
[1] L’Osservatorio siriano dei Diritti dell’Uomo – che raccoglie le dichiarazione manipolate dalla Siria di diversi Comitati – è stato più volte denunciato come niente altro che un volgare strumento di disinformazione al servizio della rivolta. Malgrado le numerose prove che lo attestano, rimane sulla Siria la principale fonte – insieme ai famosi «grandi reporter» – su cui si poggia tutta la stampa occidentale che giorno dopo giorno propaga quanto riferito da questo osservatorio bidone.
[2] Si veda: «Una Siriana che ha avuto il fratello ucciso a Homs dagli «oppositori», testimonia», racconto raccolto da Nadia Khost, 8 febbraio 2012. (http://www.silviacattori.net/article2790.html)
[3] Torneremo sul ruolo delle ONG che hanno contribuito ad alimentare la disinformazione che colpisce la Siria aumentando così il rischio di un intervento straniero; in particolare Amnesty international e Médecins sans frontières.
“Anche Cina e Russia, dal mio punto di vista, sono aggressori esterni”??? Qual è il tuo punto di vista sul diritto internazionale?
Se vai avanti così, allora, “gli Stati Uniti non furono mai in guerra col Vietnam”, “L’Unione Sovietica fu chiamata legittimamente in Afghanistan da Najibullah”, “La Legione Straniera fu costretta a proteggere i franco-algerini”, “L’ambasciata cinese a Belgrado faceva spionaggio per i serbi”…
Il mio punto di vista è, l’ho già spiegato forse, quello dei dimostranti che muoiono come mosche da mesi.
E’ anche il mio, che mi dice allora che Burhan Ghalioun, Abdul Halim Khaddam, Riad Al Asaad e tutti i governi e i mezzi di informazione che hanno riconosciuto ufficialmente questi signori stanno facendo morire come mosche da mesi i dimostranti veri e sono più colpevoli di Bashar al Assad. Credo che anche tu la pensi così e sono pertanto sicuro che la dimostrazione alla stazione ostiense sia l’ultima nel mondo alla quale vorresti partecipare.