Oggi li chiamiamo genericamente salafiti, e hanno in comune con i wahhabiti della prima ora (il cui braccio erano gli Ikhwan del Najd del XVIII secolo) questo particolare: distruggono edifici e simboli religiosi altrui, intimidendo le relative comunità religiose.

Nel mondo hanno fatto scalpore le immagini di questi personaggi che profanano le tombe dei soldati cristiani ed ebrei in Libia, che distruggono una grande croce in un cimitero di guerra.

Ma in Libia hanno anche distrutto diversi santuari di quelli che con un termine un po’ improprio chiamiamo “santi” e che invece sono esponenti dell’islam storico locale, principalmente appartenenti a confraternite sufi (mistiche), venerati soprattutto nella fascia nordafricana.

E in Libia hanno anche distrutto le moschee dell’esigua minoranza ibadita, una comunità musulmana di antiche origini e ormai quasi totalmente integrata nel panorama di un islam a stragrande maggioranza sunnita, che lì vive in pace da secoli e secoli.

E in Egitto hanno attaccato la comunità sciita, la comunità baha’i, hanno distrutto santuari e moschee dedicate a “santi” tradizionali o rette da confraternite sufi, oltre a distruggere chiese.

E in Tunisia, questa è la notizia di oggi, attaccano il santuario di una “santa” musulmana del XII-XIII secolo, Saida Manouba.

Quando parliamo di “persecuzioni” dovremmo fare caso a questi “particolari”. Non basta dire che “i cristiani” in Medio Oriente e Nord Africa sono a rischio. A rischio è, più in generale, la libertà religiosa.

E la mano che agisce è sempre la stessa.

Lorenzo DeclichIn 30 secondiegitto,ibaditi,libia,moschee,santuari,sufi,tunisia
Oggi li chiamiamo genericamente salafiti, e hanno in comune con i wahhabiti della prima ora (il cui braccio erano gli Ikhwan del Najd del XVIII secolo) questo particolare: distruggono edifici e simboli religiosi altrui, intimidendo le relative comunità religiose. Nel mondo hanno fatto scalpore le immagini di questi personaggi che...