Insieme ai cristiani, gli ‛alawiti costituiscono la più consistente minoranza confessionale della Siria (circa il 12% della popolazione, oltre 2 milioni di abitanti). Originari delle montagne che circondano la città costiera di Ladhakīa (Latakia), vivono attualmente nei principali centri urbani del paese – Damasco, Hamā, Homs e Latakia – mentre gruppi numericamente inferiori vivono nel Libano settentrionale – 50 mila persone, circa il 1,4% della popolazione totale, il cui stanziamento nella provincia settentrionale dell’’Akkār risale agli inizi degli anni Cinquanta, quando alcuni clan provenienti dalle montagne costiere siriane si spostarono verso i fertili altopiani libanesi – e nella Turchia meridionale (conosciuti come aleviti).

La sedentarietà degli ‛alawiti spiega quanto essi siano legati alla terra, piuttosto che ai vincoli di sangue: l’‛alawita si riferisce soprattutto al suo villaggio di provenienza, che, in questo modo, acquista una valenza sociale, oltre che geografica. La struttura della comunità si poggia sulla famiglia (’ahl), dove naturalmente domina l’autorità patriarcale. La famiglia fa parte di un clan (‛ašīra, pl. ‛ašā’ir) che raggruppa più nuclei familiari, mentre a loro volta i clan si riuniscono in una tribù (qabīla, pl. qabā’il), che condivide comuni legami di alleanza e solidarietà.

Ogni tribù è dominata da un anziano (šaykh), che funge da autorità non religiosa. La maggior parte delle tribù ‛alawite siriane sono infine raggruppate in federazioni (hilf, pl. ’ahlāf).

Tipologicamente sciiti, gli ‛alawiti sono tuttora considerati – da taluni esponenti dell’ortodossia sunnita – come eretici o non musulmani. Quest’interpretazione ha il suo fondamento nella fatwà emessa da Ibn Taymiyya (m. 1328), con cui furono legittimate le persecuzioni contro tutte le sette eretiche dell’Islām.

La dottrina ‛alawita è, infatti, complessa e presenta elementi islamici, accanto ad altri di origine cristiana, zoroastriana e, persino, pagana. In ogni caso, i credenti – i ğuhhāl (gli ignoranti) – sanno ben poco delle dottrine segrete della setta e solo un piccolo gruppo di iniziati può accedere alla Verità, attraverso tre gradi di iniziazione.

La dottrina religiosa comprende, quindi, i cinque pilastri dell’Islām (’arkān al-islām) e il ğihād, considerati come simboli, piuttosto che come obblighi del credente. I nusayrī riprendono anche il concetto della trinità (‛AMS), formata da al-Ma‛nà – l’essenza divina, che è ‛Alī -, al-Ism (il Nome), ossia Muhammad e il Bāb (la Porta), che è Salmān, un liberto persiano del Profeta, personaggio teologico importante per molte sette esoteriche islamiche. Quindi, ‛Alī ha creato Muhammad, questi Salmān e Salmān i Cinque Puri, ai quali si deve la creazione del mondo.

Storicamente parlando, dopo il brevissimo periodo di prosperità durante la dominazione hamdānide, gli ‛alawiti ripiegarono nuovamente sulle montagne attorno ad Aleppo e Latakia, discriminati sia dalla maggioranza della popolazione sunnita, sia dai cristiani locali. Per secoli praticarono la pastorizia e la coltivazione del tabacco, rimanendo in perenne conflitto con le autorità centrali e regionali, fino alla caduta dell’impero ottomano e al conseguente mandato francese nel paese (1920-1946).

In quanto minoranza isolata – sia socialmente che geograficamente – dal resto della popolazione sunnita, una buona parte della comunità ‛alawita si prestava perfettamente ai progetti coloniali: in cambio di assoluto appoggio politico e militare – come l’arruolamento nelle Troupes du Levant – al governo mandatario, i francesi concessero alla minoranza ‛alawita uno stato autonomo (1925-1942), con Latakia come capitale, e permisero ai rappresentanti dei clan più autorevoli di partecipare all’amministrazione dello stato autonomo, fungendo da tramite tra le autorità straniere e la popolazione locale.

A ogni modo, la comunità ‛alawita fu profondamente segnata dal regime mandatario: da un lato, i suoi membri ne uscirono più istruiti, grazie anche all’esperienza nella pubblica amministrazione e nelle file dell’esercito. Dall’altro, alle tradizionali accuse di eresia, si unirono anche quelle di collaborazionismo con i francesi. Furono i sentimenti di rivalsa e la forte determinazione sempre più crescente tra i giovani, che permisero alla generazione successiva di riscattare la propria posizione sociale, attraverso il conseguimento della laurea – in università siriane ed estere – o la carriera militare.

Nel 1963, con l’avvento al potere del partito Ba‛th, si intensificò il reclutamento dei giovani ‛alawiti nei ranghi dell’esercito e del partito, tendenza che continuò anche negli anni successivi, fino al 1970, quando il potere passò definitivamente nelle mani della famiglia ‛alawita degli al-’Asad.

Inizialmente, Hāfez al-’Asad non ostentò la sua appartenenza al clan ‛alawita, cercando di accreditarsi come il presidente di tutti i siriani e legittimandosi così nei confronti di tutta la popolazione – a maggioranza sunnita. Più volte, infatti, il neoeletto presidente si mostrò in pubblico nell’atto di pregare insieme alle più alte autorità religiose sunnite, mentre nel 1973 egli chiese all’imām sciita libanese Mūsà al-Sadr di emettere una fatwà che dichiarasse gli ‛alawiti membri della galassia sciita.

Questi tentativi puramente formali di ottenere una legittimazione all’interno della società siriana furono fallimentari e, difatti, negli anni a venire il regime di Damasco fu più volte esposto agli attacchi dell’opposizione islamica sunnita, guidata dai Fratelli musulmani. Fu solo con la sanguinosa repressione di Hamā (febbraio 1982), che al-’Asad riuscì a stroncare qualsiasi tentativo di resistenza interna contro il suo potere.

29/set/2009 8.11
Lorenzo DeclichIn 30 secondialawiti,siria
Insieme ai cristiani, gli ‛alawiti costituiscono la più consistente minoranza confessionale della Siria (circa il 12% della popolazione, oltre 2 milioni di abitanti). Originari delle montagne che circondano la città costiera di Ladhakīa (Latakia), vivono attualmente nei principali centri urbani del paese - Damasco, Hamā, Homs e Latakia -...