[Negli ultimi giorni mi è capitato di incrociare il blog di Germano Monti, vicinoriente.wordpress.com. Vi si trovano un buon numero di post da leggere assolutamente, ne consiglio la lettura. Gli ho chiesto, anche, di poterli riportare qui, e lui ha detto di sì. Questo è il primo pezzo (leggete un antefatto del 4 agosto 2011 qui)].

“Mi sono detto che, dopo quello che mi avevano lasciato vedere, per me fosse finita”

Questa è una storia che vale la pena di essere raccontata, più che per i suoi contenuti, per la personalità dell’involontario protagonista ed anche perché ci parla dello scarso spessore morale di certi nostri “antagonisti”.

Pierre Piccinin è un professore belga che ha effettuato diversi viaggi nel Vicino Oriente, specialmente in Egitto ed in Libia. Qualche mese fa, è stato ampiamente citato dai vari network italiani che sostengono il regime siriano, perché – dopo un viaggio in Siria – aveva autorevolmente smentito le “menzogne della propaganda occidentale” su quello che stava avvenendo nella regione. Subito dopo il suo soggiorno in Siria, Piccinin raccontò al quotidiano turco Hurriyet di “avere constatato in prima persona il modo in cui le autorità si stanno comportando con i manifestanti, in cui non ha riscontrato nessuna brutalità o repressione sanguinosa, come invece sostiene l’opposizione, vedendo piuttosto tentativi di disperdere le manifestazioni con l’uso di gas lacrimogeni e mai con le armi, salvo in casi particolari e rari. Ha piuttosto constatato come le forze governative si attengano in modo rigoroso all’ordine di non usare le armi per evitare ferimenti, per quanto possibile”. E ancora, nella stessa intervista, lo studioso belga si preoccupò di mettere in guardia dal ruolo sospetto giocato dall’Osservatorio siriano per i diritti umani, che manipola le fonti di informazione e fuorvia l’opinione pubblica, soprattutto in Europa, riportando notizie false ed esagerate e distorcendole o modificandone il contenuto, per trasmettere un’immagine falsa e fuorviante, costantemente tesa ad accusare le autorità governative e fornire un’immagine “immacolata” dell’opposizione.
Rilanciate dal Ministero dell’Informazione siriano, le dichiarazioni di Piccinin sono state prontamente ed ampiamente diffuse in Italia dai siti neofascisti al soldo di Assad e dalla rete dell’integralismo cattolico, ma anche da siti e giornalisti “di sinistra”.
Sventura (o giustizia?) ha voluto che il Prof. Piccinin si recasse nuovamente in Siria, nei giorni scorsi, per approfondire le sue conoscenze. Lo scorso 15 maggio il belga è in Siria, proveniente – con regolare visto – dal Libano. A Damasco, noleggia una vettura e si reca prima ad Homs e poi verso Talbisseh, una località sotto il controllo dei ribelli. Qui, incontra alcuni combattenti dell’Esercito Siriano Libero, notando che sembrano molto meglio organizzati di quanto pensasse in precedenza. Osserva anche che gli ufficiali sono sbarbati di fresco, cosa singolare per dei fanatici islamisti. Il 17 maggio, Piccinin raggiunge Tall Kalakh, località al confine con il Libano; qui viene fermato ad un posto di blocco e preso in carico da un’auto dei servizi segreti siriani, ammanettato e portato in un edificio a Tall Kalakh, dove, secondo le sue stesse parole, inizia la discesa all’inferno.

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Tanto per cominciare, al professore vengono sequestrati tutti gli effetti personali, cellulare compreso. Trattenuto – sempre in manette – per due ore in una baracca surriscaldata dal sole, Piccinin viene poi trasferito ad Homs e gettato in prigione, dove la sua solida fiducia sull’assenza di brutalità da parte della sicurezza siriana comincia a vacillare. Mentre i poliziotti lo interrogano su quello che hanno scoperto sulla sua chiavetta USB (alcune foto di insorti scattate a Talbisseh), Piccinin vede i corpi di detenuti che vengono riportati morti dagli interrogatori e nota che nell’ufficio ci sono degli aghi, unghie strappate e sangue: “c’erano delle persone sdraiate nei corridoi. All’inizio, loro chiudevano la porta dell’ufficio, ma poi non hanno più fatto attenzione alla mia presenza. Mi sono detto che, dopo quello che mi avevano lasciato vedere, per me fosse finita“. Nel racconto – trasmesso da tv belghe e francesi – la voce di Piccinin si fa tremante : “(…) Portano i cadaveri, continuamente. (…) Iniziano ad attaccare le persone nei corridoi, poi passano all’elettricità, poi le picchiano a morte. Le persone erano lasciate morte nei corridoi. E’ la catena della tortura”.
Il primo interrogatorio, comunque, è piuttosto tranquillo, si svolge in inglese e Piccinin capisce di essere sospettato di essere un agente segreto francese. La notte, invece, il professore viene pestato di santa ragione.
Il 18 maggio, il prigioniero viene portato a Damasco, nella sede della Sicurezza nel quartiere di Qazzaz, dove il 10 maggio l’esplosione di un’auto imbottita di tritolo aveva provocato 55 morti. “Le celle erano piene e le persone urlavano tutta la notte”, racconta, e di nuovo giù botte.
Il 19 maggio, Piccinin è trasferito nel carcere di Bab al-Musalla, dove alcuni detenuti organizzano una colletta, pagano una guardia e riescono a fargli fare una telefonata con un cellulare: avverte un suo amico, che allerta immediatamente le autorità del Belgio. Un diplomatico belga,  Arnt Kennis, arriva da Amman per negoziare la sua liberazione, e la sera del 22 maggio Piccinin è trasferito in una camera di sicurezza dell’aeroporto di Damasco, da dove, il giorno successivo, verrà espulso e potrà raggiungere Bruxelles.

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Ora, il professor Piccinin è piuttosto incazzato con il regime siriano, e possiamo ben comprenderlo. Non dice più di non aver riscontrato “nessuna brutalità o repressione sanguinosa”. Anzi, dagli schermi delle televisioni belghe e francesi, reclama a gran voce un “intervento umanitario” contro il regime del terrore del clan Assad.
Vorrei dedicare questa storia a tutti quelli che si abbeverano a certe fonti informative, purtroppo anche “di sinistra”, che prendono per Verità di Vangelo le veline del regime di Assad e le contrabbandano come “controinformazione”. Avverto anche una certa preoccupazione per alcuni campioni di questa “controinformazione”: se gli capitasse di fare un giro in Siria, senza essere embedded in qualche delegazione di amici del regime, facciano attenzione. Dopo tanto antimperialismo, potrebbero ritrovarsi anche loro ad invocare l’intervento umanitario, come lo sventurato Piccinin.

 

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. “Mi sono detto che, dopo quello che mi avevano lasciato vedere, per me fosse finita” Questa è una storia che vale la pena di essere raccontata, più che per i suoi contenuti, per la personalità dell’involontario protagonista ed anche perché ci parla dello scarso spessore morale di certi nostri “antagonisti”. Pierre...