Mentre il Congressional Research Service del Congresso secerne un rapporto sulla Siria in cui si spiega, in sostanza, che qualsiasi cosa succede in Siria è un problema, e quindi è meglio fare finta che la Siria non esista o, meglio, abbaiare alla luna, Robert Fisk scrive un articolo in cui ci racconta che l’alchimia della politica internazionale, probabilmente, renderà al-Asad immune a un cambio di regime per un bel po’ di tempo: ci sarebbe un accordo che garantisce tutti (tranne ovviamente i siriani, sarà per questo che diverse voci dell’opposizione siriana rifiutano il piano recentemente messo in piedi dalla conferenza di Ginevra dello scorso sabato).

Lo riporto qui:

Il presidente della Siria Bashar al-Assad può durare molto più a lungo di quanto credano i suoi avversari e con il tacito assenso dei leader occidentali, ansiosi di garantire nuove vie del petrolio per l’Europa attraverso la Siria prima della caduta del regime. Secondo una fonte profondamente coinvolta nella possibile transizione dal potere del partito Baath, statunitensi, russi ed europei stanno mettendo insieme un accordo che permetterebbe ad Assad di restare leader della Siria per almeno altri due anni in cambio di concessioni politiche all’Iran e all’Arabia Saudita sia in Libano sia in Iraq.

Per parte sua, la Russia si vedrebbe garantito il mantenimento della propria base militare a Tartous, in Siria, e un rapporto con qualsiasi governo emerga alla fine a Damasco con il sostegno dell’Iran e dell’Arabia Saudita. La recente concessione della Russia – che Assad può non essere essenziale in una futura struttura di potere in Siria – fa parte di una nuova visione dell’occidente che può accettare la presidenza di Assad in cambio di un accordo che prevenga un’ulteriore caduta nella guerra civile.

Informazioni dalla Siria suggeriscono che l’esercito di Assad stia “subendo una batosta” dai ribelli armati, che comprendono forze sia islamiste sia nazionaliste; si ritiene che almeno 6.000 soldati siano stati assassinati o uccisi in combattimento da quando ha avuto inizio, 17 mesi fa, la ribellione contro Assad.  Ci sono anche rapporti non confermati che ogni settimana sino a mille combattenti siriani sono in addestramento da parte di mercenari in Giordania in una base usata dalle autorità occidentali per esercitazioni del proprio personale di sicurezza ‘antiterrorismo’.

I negoziati USA-Russia – facili da negare e in qualche modo celati cinicamente dietro le attuali reciproche accuse di Hillary Clinton e del suo omologo russo, Sergei Lavrov – significherebbero che le superpotenze riconoscerebbero l’influenza iraniana sull’Iraq e i suoi rapporti con i suoi alleati Hezbollah in Libano, mentre l’Arabia Saudita – e il Qatar – sarebbero incoraggiati a garantire i diritti dei mussulmani sunniti in Libano e in Iraq. L’emergere di Baghdad come centro del potere sciita ha causato grande angoscia in Arabia Saudita, il cui sostegno alla minoranza sunnita in Iraq ha sin qui condotto soltanto a divisioni politiche.

Ma il vero oggetto delle conversazioni tra le potenze mondiali s’incentra sulla determinazione dell’occidente ad assicurare petrolio, e in particolare gas, dagli stati del Golfo senza dipendere dalle forniture di Mosca. “La Russia può chiudere il rubinetto all’Europa quando vuole, e ciò le dà un potere tremendo,” afferma la fonte. “Stiamo discutendo di due percorsi fondamentali per il petrolio verso l’occidente:  uno dal Qatar e dall’Arabia Saudita attraverso la Giordania, la Siria e il Mediterraneo verso l’Europa, e un altro dall’Iran attraverso il sud sciita dell’Iraq e la Siria al Mediterraneo e all’Europa. Quello che conta è questo. E’ per questo che saranno pronti a lasciare Assad ancora per altri due anni, se necessario. Sarebbero perfettamente felici di ciò.  E la Russia avrà un posto nella nuova Siria.”

I diplomatici che stanno tuttora discutendo questi piani andrebbero ovviamente trattati con un certo scetticismo. Una cosa è sentire i leader politici che scorticano il regime siriano per le sue violazioni dei diritti umani e per i massacri e una cosa totalmente diversa è rendersi conto che i diplomatici occidentali sono ben pronti a mettere la cosa da parte in funzione del proverbiale “quadro più vasto” che, come al solito in Medio Oriente, significa forniture e di petrolio e di gas. Sono pronti a tollerare la presenza di Assad fino alla fine della crisi, piuttosto che insistere affinché la sua partenza sia l’inizio della fine. Gli statunitensi apparentemente dicono la stessa cosa. Ora la Russia ritiene che la stabilità sia più importante dello stesso Assad.

E’ chiaro che Bashar al-Assad avrebbe dovuto procedere a estese riforme dopo la morte, nel 2000, di suo padre Hafez. In quella fase, secondo dirigenti siriani, l’economia siriana era in una situazione molto migliore di quella della Grecia di oggi. E le voci più sensate che influenzavano la dirigenza di Assad venivano lentamente private del loro potere. Un dirigente vicino al presidente lo ha chiamato durante il picco dei combattimenti dello scorso anno per dirgli che “Homs sta bruciando”. La reazione di Assad è consistita nel rifiutare, in seguito, qualsiasi conversazione con quel dirigente insistendo perché gli fossero trasmessi soltanto SMS. “Assad non ha più potere personale su ciò che accade in Siria,” afferma l’informatore. “Non è perché non vuole; semplicemente ci sono troppe cose che avvengono in tutto il paese perché un uomo solo mantenga i contatti con tutto.”

Quella che Assad sta ancora sperando, secondo veterani dell’esercito arabo, è una soluzione di tipo algerino. Dopo la cancellazione delle elezioni democratiche in Algeria il suo esercito e i suoi generali – ‘le pouvuoir’ per gli algerini – hanno combattuto una guerra spietata contro i guerriglieri ribelli e islamisti in tutto il paese nel corso di tutti gli anni ’90, usando torture e massacri per conservare il potere governativo ma lasciando una scia stimata di 200.000 morti nel loro stesso popolo.

In mezzo a questa crisi, l’esercito algerino inviò effettivamente una delegazione a Damasco per imparare dall’esercito siriano di Hafez el-Assad come aveva distrutto la ribellione islamista a Hama, al costo di fino a 20.000 morti, nel 1982. La guerra civile algerina – notevolmente simile a quella che oggi affligge il regime di Assad – mostrò molte delle caratteristiche dell’attuale tragedia in Siria: bambini con le gole tagliate, famiglie massacrate da misteriosi ‘gruppi armati’ semi-militari, intere città bombardate dalle forze governative.

E, cosa molto più interessante per gli uomini di Assad, l’occidente continuò ad appoggiare il regime algerino con armi e incoraggiamento politico per tutti gli anni ’90 facendo nel frattempo mille storie per i diritti umani. Le riserve di petrolio e di gas dell’Algeria si dimostrarono più importanti dei morti civili, proprio come ora il regime di Damasco spera di far affidamento sul desiderio dell’occidente di petrolio e di gas attraverso la Siria affinché siano tollerate altre uccisioni. I siriani dicono che Jamil Hassan, il capo dei servizi segreti dell’aviazione siriana, sia ora il principale ‘assassino’ del regime, non invece il fratello di Bashar, Maher, alla cui Quarta Divisione è forse dato troppo credito per la soppressione della rivolta. Di certo non è riuscita a reprimerla.

L’occidente, nel frattempo, deve trattare con il contatto della Siria, Mohammed Nassif, forse il consigliere politico più vicino ad Assad. Resta comunque la domanda se Bashar al-Assad – in qualunque misura non sia in grato di controllare gli eventi militari sul campo – afferri davvero l’epica importanza politica di quel che sta avvenendo nel suo paese. Prima della ribellione, i leader europei e turchi furono sbalorditi nel sentirgli affermare che forze sunnite della città di Tripoli, nel nord del Libano, stavano tentando “di creare uno stato salafita” che avrebbe minacciato la Siria. Come sia venuta in testa ad Assad questa straordinaria affermazione – basata presumibilmente sui pettegolezzi di un agente dei servizi segreti – è rimasto un mistero.

 

Lorenzo DeclichFuori misuraIn fiammecomunità internazionale,siria
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