Non ho fatto in tempo ad annunciare l’arrivo di nuovi “file” da Wikileaks che l’Espresso ha pubblicato un gruppo di e-mail che riguardano i rapporti fra Finmeccanica e il regime di Bashshar al-Asad dal 2008 al 2012.

Dall’Espresso:

Finmeccanica ha venduto alla Siria uno dei suoi prodotti leader: il sistema Tetra, una rete per le comunicazioni che permette conversazioni e trasmissione di dati e ha avuto un successo commerciale mondiale. E’ affidabile, sicuro e garantisce il funzionamento in qualunque situazione. Non è un apparato dichiaratamente militare, ma può diventarlo: permette comunicazioni criptate a prova di intercettazione e collega qualunque veicolo, elicotteri inclusi. Alcune componenti di Tetra, come i programmi di cifratura, sono “dual use” e l’esportazione deve essere autorizzata dal governo italiano. Il contratto con Damasco risale invece al 2008, quando il feeling tra l’Italia e la Siria era ottimo e la primavera araba lontanissima. L’accordo da 40 milioni di euro venne siglato con una società greca, la Intracom-Telecom, e prevede la fornitura di Tetra alla Syrian Wireless Organisation, l’ente del governo siriano. Le mail rivelate adesso da WikiLeaks mostrano come i rapporti con la casa madre italiana per il programma siriano siano stati intensi e continui.

Lo schema del business è semplice: Selex e la greca Intracom vendono Tetra alla Syrian Wireless Organisation attraverso la branca siriana della ditta di Atene: la Intracom Siria. Proprio da questa azienda viene inviato in magazzino un ordine per 500 radio mobili VS3000 della Selex. «Questa fornitura andrà al deposito della polizia di Muadamia», recita il messaggio, che porta la data del 7 maggio 2011. Pochi giorni prima Muadamia era stata teatro di rivolte contro la dittatura e in Siria, ormai, dilagava il fuoco della ribellione. A fine maggio 2011, i siriani si mostrano interessati «a un’espansione del 25 per cento del progetto», senza peraltro specificarne le finalità. Il 25 luglio, Selex fa sapere di essere disposta a parlarne con la Syrian Wireless Organisation.

Dalla scorsa estate i combattimenti aumentano, viene assediata la città di Hama con la morte di oltre cento civili. Da Damasco premono per avere i sistemi di cifratura Tea3, necessari per criptare le comunicazioni. Li domandano alla Selex per settimane, ma per questi apparati che possono avere impiego militare è necessario il via libera del governo di Roma. E, recitano le mail, «la decisione finale delle autorità italiane è stata rinviata a fine giugno». Quando alcune componenti da riparare vengono spedite negli stabilimenti di Firenze, i siriani ne cancellano la memoria «per ragioni di sicurezza». E’ solo una procedura di tutela della riservatezza o i terminali contenevano dati compromettenti? Certo è che, per l’assistenza tecnica, i greci indirizzano Damasco sull’Italia: «E’ meglio chiedere al venditore (Selex) perchè qui non abbiamo la necessaria esperienza con la tecnologia Selex».

Infine un messaggio del 2 febbraio 2012 annuncia l’arrivo a Damasco degli ingegneri della Selex per istruire i tecnici della Intracom Syria sull’uso di varie componenti della tecnologia Tetra, tra i cui i terminali degli elicotteri. Nell’e-mail non si specifica se si tratti di elicotteri della polizia o anche militari. I velivoli di entrambi i corpi però stanno avendo un ruolo chiave nella repressione: i mitragliamenti dal cielo contro ribelli e popolazione sono segnalati da tutti gli osservatori. Il giorno dopo nella sola città di Homs vengono massacrati 200 civili. (fonte)

Finmeccanica si difende così:

(ANSA) – ROMA, 5 LUG – Il sistema Tetra, fornito da Selex Elsag alla Siria nel 2008, ”era destinato all’impiego da parte di organizzazioni per le emergenze e il soccorso (‘public safety’). La tecnologia Tetra fornita e’ stata concepita appunto con questa finalita’, ossia per un uso esclusivamente civile e non militare. Qualsiasi altro utilizzo che ne sia stato fatto e’ fuori dal controllo di Selex Elsag”. E’ quanto si legge in una nota di Finmeccanica (fonte).

La risposta di Finmeccanica ci racconta essenzialmente due cose.

La prima ha a che vedere con l’autenticità delle mail che, vista l’esistenza di una “risposta”, sembra confermata.

La seconda riguarda l’ipocrisia di fondo di Finmeccanica, che si riferisce al 2008 quando i documenti testimoniano una relazione che si protrae fino al 2012.

Finmeccanica, pilatescamente, fa presente che la propria tecnologia sarebbe destinata “per un uso esclusivamente civile”, laddove sappiamo che la tecnologia, in sé, è “neutra”.

Come sottolineano a Giornalettismo:

L’Espresso, partner di Wikileaks ha censito buona parte di queste comunicazioni, ma in fondo basta un delle liste che vi sono riportate, come quella per fornitura di radio alla polizia di Muadamia del maggio 2009, evidentemente propedeutica al suo impegno nella successiva repressione, per provare senza ombra di dubbio che quello di Finmeccanica è stato, ed è ancora, un contributo alla spietata repressione da parte del regime siriano (fonte).

Lo stesso metro lo si poteva applicare già tre anni fa, quando:

Finmeccanica firma un accordo del valore di 300 milioni di euro, per la realizzazione di un grande sistema di protezione e sicurezza dei confini libici, in particolare quelli che guardano verso Niger, Ciad e Sudan da dove arriva il grosso dei migranti dall’africa subsahariana. La sicurezza dei confini sarà dunque affidata a sensori elettronici e Finmeccanica, in un comunicato, specifica che «la prima tranche di 150 milioni di euro è già operativa» e che Selex «addestrerà gli operatori, i manutentori ed assicurerà le opere civili necessarie» (fonte).

Quel sistema non ha nulla di “militare”, ma serve a Gheddafi per individuare con più efficienza  i disperati che tentano l’attraversata del deserto per arrivare sul Mediterraneo.

Quella “linea di confine” che verrà tracciata dai sensori elettronici è in mezzo al deserto e oltre a essa i profughi dell’area sub-sahariana vengono ricacciati senza pietà.

 

 

Moriranno di sete e continueranno a morire, ma Selex non c’entra niente, e nemmeno il Governo italiano.

Come scrivevo al tempo:

Abbiamo un rapporto fantastico con la Libia, abbiamo un Trattato di amicizia italo-libico. Loro ci tengono i rifugiati che vorrebbero venire da noi. Ce li torturano prima che arrivino da noi. E noi, con riconoscenza, gli costruiamo muri elettronici anticlandestino.

Sì, perché quel trattato prevede, clausole economiche riguardo alla “collaborazione nella lotta all’immigrazione clandestina”:

Articolo 19
Collaborazione nella lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata, al traffico di stupefacenti, all’immigrazione clandestina
1. Le due Parti intensificano la collaborazione in atto nella lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata, al traffico di stupefacenti e all’immigrazione clandestina, in conformità a quanto previsto dall’Accordo firmato a Roma il 13/12/2000 e dalle successive intese tecniche, tra cui, in particolare, per quanto concerne la lotta all’immigrazione clandestina, i Protocolli di cooperazione firmati a Tripoli il 29 dicembre 2007.
2. Sempre in tema di lotta all’immigrazione clandestina, le due Partì promuovono la realizzazione di un sistema di controllo delle frontiere terrestri libiche, da affidare a società italiane in possesso delle necessarie competenze tecnologiche. Il Governo italiano sosterrà il 50% dei costi, mentre per il restante 50% le due Parti chiederanno all’Unione Europea di farsene carico, tenuto conto delle Intese a suo tempo intervenute tra la Grande Giamahiria e la ‘Commissione Europea.
3. Le due Parti collaborano alla definizione di iniziative, sia bilaterali, sia in ambito regionale, per prevenire il fenomeno dell’immigrazione clandestina nei Paesi di origine dei flussi migratori.

Mentre, come scrivevo al tempo, il Protocollo precedente al Trattato, che data 2007:

  1. NON prevedeva le iniziative di cui al comma 2, art. 19 del Trattato o meglio: non prevedeva una tale ripartizione delle spese e delle responsabilità;
  2. Il comma 2, come anche ho sottolineato qui, impegna l’Italia, NON l’Europa e l’Europa ha CHIARAMENTE detto che il modello di Trattato firmato fra Italia e Libia NON è il modello di Trattato che l’Europa auspica;
  3. faceva esplicito riferimento al “rispetto delle Convenzioni internazionali vigenti”, cosa che il Trattato NON fa;
  4. parlava di “cooperazione nella lotta contro le organizzazioni criminali dedite al traffico di esseri umani e allo sfruttamento dell’immigrazione clandestina”, NON parlava di “lotta all’immigrazione clandestina”

Tornando alla Siria fa rabbrividire l’ultima esternazione del nostro Ministro degli esteri, Giulio Terzi, al riguardo del conflitto siriano:

(AGI) – Roma, 5 lug. – “Non si devono armare i ribelli” siriani: ad affermarlo e’ stato il ministro degli Esteri, Giulio Terzi, in un’intervista a Panorama. “L’Italia non ha mai pensato di incoraggiare gruppi islamici presenti in Siria, ne’ di armare l’opposizione. Per noi bisogna seguire l’esempio del Dialogo nazionale libanese: riunirsi tutti attorno a un tavolo (al quale Assad ormai non si potra’ sedere). In Libano sta funzionando, in Siria toglierebbe elementi alla retorica del regime”, ha osservato il titolare della Farnesina. Alla domanda se ci si potesse fidare dell’opposizione siriana, Terzi ha risposto cosi’: “E’ gia’ difficile fidarsi degli amici nei momenti di pace, figurarsi di questi interlocutori in situazioni di conflitto”. (AGI) .

La cosa è mostruosa non tanto per il concetto in sé – non armare i ribelli siriani e spingere verso il dialogo è una posizione in sé condivisibile – quanto per il fatto che, contemporaneamente, veniamo a sapere che un’azienda di Stato de facto aiuta il regime siriano ad ammazzare gli inermi.

E, sebbene i documenti pubblicati ci dicano che il regime è evidentemente in difficoltà dal punto di vista logistico tanto da dover incrementare l’uso di strumenti di comunicazione mobile, sappiamo che il regime stesso ha una cura non certo improvvisata del proprio apparato repressivo (si veda ad esempio qui).

Cosa ha da dire Giulio Terzi in merito? Per ora tace, ma l’ipocrisia, questa seconda ipocrisia, rimane, e ci ci aiuta ad allargare lo sguardo, cioè a valutare la vicenda in un quadro più ampio.

E’ il momento di ritirare fuori un vecchio articolo di Bassam Haddad, redattore della rivista online Jadaliyya. Il 23 novembre 2010, un mese prima che, immolandosi nel fuoco, Mohamed Bouazizi desse inizio alle proteste, sfociate in rivolta e poi in rivoluzione in Tunisia, scriveva un articolo in quattro puntate dal titolo Neo-liberal pregnancy and zero-sum Elitism in the Arab world, che trattava proprio del “caso-Siria”:

Sotto la superficie, dietro alle quinte stiamo assistendo al lento ma deciso emergere di un fortissimo nesso di potere fra l’elite politica ed economica in gran parte del mondo arabo. Molto più a fondo dei dibattiti ordinari di ogni giorno sul “matrimonio fra potere e denaro” in paesi come l’Egitto e la Siria questa intersezione è portata avanti con costanza da funzionari dello Stato e uomini d’affari che tendono a massimizzare i profitti, o anche solo a mantenere le loro posizioni, ma soprattutto con l’emergere di  una nuova politica economica (con link globali) che insiste sulla protezione dei mercati (e non delle comunità) e sul mettere in sicurezza l’accumulazione del capitale. La ratio di questo fenomeno e differente nei diversi paesi arabi e tocca altri paesi ex (semi)socialisti “in via di sviluppo”, ma la sua esistenza e il suo impatto solo ineludibili […] Il nesso crescente fra elite politiche ed economiche, le sue basi, origini e prospettive non promette nulla di buono in quanto a una via d’uscita da questa sorta di spirale verso il basso, da questa bomba sociale a orologeria.

Cosa significa “elitismo a somma zero”?

Il “gioco a somma zero” è un gioco in cui si vince nella misura in cui qualcun altro perde.

Tradotto in economia/politica è una situazione in cui non c’è più un “capitale sociale” o anche meglio una “comunità” che non siano collegati al meccanismo di accumulazione delle élite: nella misura in cui le élite economiche e politiche accumulano, il resto di una società perde.

La cartina di tornasole, in questa analisi, è proprio la Siria, perché quello è un paese rimasto al di fuori dal “sistema mondo”, dall’influsso delle grandi agenzie internazionali che operano nel mondo globalizzato:

 Al contrario di molti paesi in via di sviluppo, la Siria non ha relazioni vincolanti con istituzioni finanziarie internazionali come la World Bank e il Fondo Monetario Internazionale dal 1985. Tuttavia il tipo di riforme economiche interne proposte a partire dal 1986 a oggi sono simili alla maggior parte di quelle prescritte dalle istituzioni finanziarie internazionali (es. liberalizzazione del commercio, svalutazione della moneta, riforma e stretta fiscale, incoraggiamento del businnes privato). Anche se il ritmo delle riforme è più lento i suoi risultati sono stati assolutamente simili (es. alto tasso di disoccupazione accoppiato con la domanda di lavoro non qualificato, concentrazione della ricchezza, polarizzazione socio-economica, povertà in crescita, drammatica espansione del settore informale e dell’economia-ombra senza regole, leggi sul lavoro restrittive, declino dell’educazione). Come possiamo spiegare queste similitudini e la decisione di adottare le prescrizioni delle istituzioni finanziarie internazionali in un paese dove il regime si dichiara orgoglioso di sé per essere immune dai tentacoli dell’imperialismo e dal potenziale di sfruttamento della globalizzazione e delle sue istituzioni?

Qualcuno potrebbe pensare che queste “coincidenze” ci dicono che le prescrizioni delle istituzioni finanziarie internazionali suonano così bene da essere adottate volontariamente anche da paesi come la Siria, che non ha relazioni con quelle istituzioni. Ma osserviamo meglio: il fatto che queste politiche siano  adottate in paesi come la Siria non attesta la loro efficacia nel risolvere i problemi ma, piuttosto, che gli interessi delle istituzioni finanziarie internazionali coincidono con gli interessi delle elites indigene, anche se queste si autoproclamano socialiste.

I requisiti del potere e dei mercati si specchiano a livello locale: in ambedue i casi la perdita di potere delle masse attraverso l’uso di vari meccanismi e tecnologie di potere è un fatto costitutivo. L’intervento delle istituzioni finanziarie internazionali può catalizzare il processo di perdita di potere ma non sono queste necessariamente a causarlo: altri agenti, impersonali, come le relazioni di mercato in un mondo sempre più globalizzato fanno il lavoro sporco. Insomma, si può osservare che lo sviluppo del capitalismo globale coincide con lo sviluppo del capitalismo di Stato in paesi periferici.

Ecco. Finameccanica, Selex, Bashshar al-Asad, Giulio Terzi sono facce diverse dello stesso meccanismo, quel grande meccanismo che, applicando un leggero velo di ipocrisia, rende immuni, eticamente parlando, tutti quanti.

E, “indirettamente”, genera povertà, massacri e distruzioni.

Chi, in merito alla Siria, parla di imperialismi e antimperialismi, di Stati e Potenze o Repubbliche Socialiste e Gran Jamahirie,  sappia che sta abbaiando alla luna e, alla fine, è dalla parte di questo genere di “libero mercato”.

Chi pensa, infine, che quell’opposizione siriana presente a tutti i tavoli internazionali sia migliore, in materia economica, abbia un po’ di pazienza: immagino che Assange ne avrà anche per loro.

 

 

 

Lorenzo DeclichFuori misuraSyria files on airbashshar al-asad,economia,finmeccanica,italia,l'espresso,libia,selex,siria,sistema tetra,wikileaks
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