Dai dati sul voto ai partiti:

  1. vince il partito di Mahmud Jibril che, come sottolineano in molti, è un “ex” di Gheddafi nella misura in cui collaborò con i Gheddafi in diverse occasioni. A questo proposito vorrei far notare che i generi di “collaborazione” di Jibril con i Gheddafi sono molto simili a quelli che essi ebbero con esponenti dell’odierno partito “islamista” del Wasat, che da queste elezioni è uscito con una sonora sconfitta. L’islamista amico del Qatar Ali al-Sallabi, che questo blog ha più volte monitorato nelle sue evoluzioni politiche, e il suo sodale “arabo-afghanoAbd el-Hakim Belhaj, anch’egli amicissimo dei qatariti, furono i protagonisti, insieme a Sayf al-Islam Gheddafi, dell’ormai famoso programma di riconciliazione che portò fuori dal carcere centinaia di appartenenti al Libyan Islamic Fighting Group (LIFG). Sayf al-Islam per diversi anni fu impegnato nell’arduo compito di dare alla Libia un volto “più democratico” (qualcosa bisognava fare se si volevano fare affari veri) e per questo strinse contatti a destra e a sinistra. La Libia è ancora gheddafiana nel senso che fino all’altro ieri la maggior parte delle persone che oggi si affacciano alla politica vivevano in Libia e non stavano in prigione. Molti degli stessi membri del Consiglio Nazionale di Transizione sono ex. Semplice paragone (senza voler dare dei fascisti agli ex di Gheddafi): quanti fascisti c’erano nell’Italia del dopoguerra?  Erano tutti veri fascistoni?
  2. la vittoria nell’assegnazione dei seggi ai partiti non significa automaticamente la vittoria completa: i portavoce di Giustizia e Costruzione, il partito dei Fratelli Musulmani libici, afferma che riprenderà molto del terreno perduto nell’elezione dei candidati “indipendenti” che, in realtà, dipendono un bel po’ dai partiti. Insomma: bisognerà andare fino in fondo alla conta per dare una valutazione definitiva;
  3. in diverse circoscrizione vincono, o arrivano secondi, partiti chiaramente locali. Questa è l’espressione del carattere composito della politica libica oggi, una politica che effettivamente “nasce” con queste elezioni. Il dato non è da sottovalutare.

E’ ovvio che dopo decine e decine di anni di gheddafismo la Libia sia gheddafizzata ma ciò, dal mio punto di vista, non autorizza nessuno a dire che “ha vinto il fantasma di Gheddafi” o che “se Tripoli non sarà islamista è anche merito della Jamahiriya“.

Gheddafi, è vero, combatte “i Fratelli Musulmani” ma non “i musulmani”, anzi: come tanti suoi omologhi nella regione, cerca di “sussumere” l’afflato religioso dei libici nella sua retorica e nella sua politica (vi ricordate l’inno nazionale libico sotto Gheddafi?).

Ciò significa che oggi, forse, non vincono i Fratelli Musulmani, ma non che la Libia sia un paese dove l’islam, inteso come forza spirituale prima ancora che religiosa, è fondamentale (non è facile, mi rendo conto, immaginare che sul pianeta la gente crede ancora davvero in uno o più dei. E che, addirittura pratica una religione. Eppure è così: l’eccezione, anzi, è l’Europa “secolarizzata”).

Si dirà, invece, che perde la principale struttura organizzativa dell'”l’islam politico”, e su questo, sono d’accordo: molti “meriti” li ha Gheddafi che,  ricordiamolo,  è stato il primo a chiedere al mondo di dare la caccia a Osama bin Laden (che lo aveva minacciato di morte), a metà degli anni ’90, quando gli americani  e tutti gli altri di Osama si curavano ben poco.

Vista la lotta senza quartiere di Gheddafi all’islam politico, anzi, mi vien quasi da dire che i Fratelli Musulmani libici hanno ottenuto un ottimo risultato.

Comunque: nelle analisi che ho letto sul voto libico ciò che trovo poco piacevole, al di là dei diversi orientamenti, è la sottovalutazione del votante libico.

I libici – ritengo – si sono fatti i loro conti e hanno votato per coloro che pensavano potessero assicurare alla Libia un futuro migliore.

Mi rendo conto che dire una cosa del genere oggi in Italia fa quasi ridere: la nostra “democrazia matura” ha ridotto la “dignità” dell’esercizio elettorale ai minimi termini e quindi noi pensiamo – postmoderni de facto come siamo – che le elezioni siano inutili, o quasi.

Cosa che invece, evidentemente, molti libici – a giudicare dall’orgoglio che sbandieravano  mostrando le loro dita inchiostrate –  non pensano.

Quanto a Jibril, semplicemente, non ha “affrontato” più di tanto il tema dell'”islamità” in politica, dando per scontato che avrebbe tenuto conto di quel forte portato spirituale islamico presente nella popolazione, e facendo intuire che nulla, nella sua futura gestione, avrebbe portato a una sua elisione.

Il fatto che vi fossero formazioni dell’islam politico in lizza non significa che le formazioni che gli si opponevano dovessero per forza essere “anti-islamiche”.

Evidentemente l’agenda dei libici era un’altra, e le formazioni dell’islam politico libiche (ce n’erano tre) non hanno trovato elementi di polemica e/o rivendicazione sufficienti per divenire protagonisti.

Non dimentichiamoci che la Libia è un paese petrolifero, un paese che ha molti soldi pro-capite, almeno virtualmente: forse i libici vogliono semplicemente un miglior tasso di redistribuzione della ricchezza petrolifera, e Jibril su questo sembra essere il più affidabile.

Insomma: è possibile che dei credenti musulmani possano pensare che l’islam politico “non è la soluzione”, oppure dobbiamo sempre e comunque legare “il musulmano” a un’idea della politica in terre musulmane in cui al centro ci deve per forza essere l’islam?

E’ necessario, poi, ricordare che queste elezioni fanno parte di un percorso che, oggi, abbiamo visto iniziare: il Congresso Generale Nazionale, eletto con queste elezioni, eleggerà un’Assemblea costituente, che scriverà la Costituzione, che sarà sottoposta a referendum. Sei mesi dopo la sua approvazione dovrebbe poi tenersi  un secondo giro elettorale per eleggere l’Assemblea Nazionale definitiva: è forse anche per dire integralmente “sì” a questo percorso che i libici non hanno votato formazioni dell’islam politico? (continuiamo però a mettere i nostri “se”: se i risultati saranno confermati).

Quindi: Jibril governerà, ma il processo costituente della nuova Libia è appena all’inizio, ma passiamo al programma/progetto di Jibril.

Stando alle prime dichiarazioni Jibril non andrà in coalizione con i Fratelli Musulmani. Ritengo che questi, prima di tutto, si confronterà con altre forze politiche, quelle forze che, come scrivevo in principio, hanno un radicamento locale.

Fra di esse vi sono forze portatrici di un’impostazione meno “neoliberiste” di Jibril, più incentrate sulle tematiche della giustizia sociale, oltre che su interessi locali.

Bisognerà capire quanto questo elemento stempererà l’allineamento di Jibril ai dettami delle organizzazioni economiche/finanziarie internazionali.

In questo senso è importante rilevare che proprio in questi giorni, chissà perché, il Fondo Monetario Internazionale ha fatto capolino in Libia.

Prevede una crescita del 116,6% nel 2012, il dato è chiaramente viziato dal fatto che c’è stata una guerra.

Nel 2013 la crescita prevista è invece del 16%: non male, direi.

Dovrebbero esserci margini per un lavoro fatto bene, sempre che si riescano a disarmare le milizie e che la corruzione non dilaghi.

Ovviamente la priorità è la ricostruzione.

Vedremo anche come si comporterà Jibril con i berberi.

Ovviamente l’FMI non risparmia toni allarmati, ma parla di obiettivi da raggiungere “a medio termine”: i libici dovrebbero essere lasciati in pace, almeno dall’FMI, almeno per qualche anno.

 

 

 

Lorenzo DeclichFuori misuraL'età della politicaelezioni,libia,libyan islamic fighting group,mahmud jibril
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