Le conseguenze dell’instabilità siriana
Ci si è concentrati molto sul contesto internazionale che ha determinato la situazione siriana, il mantra delle ingerenze straniere ha fatto il giro di boa più volte.
Turchia, Iran, “Occidente”, Israele, Arabia Saudita, Qatar, Cina, Russia, vecchie e nuove guerre fredde.
Si è capito che una Siria instabile è stata considerata “il male minore” per molti.
Ma ora che il conflitto fa il salto di qualità e si allunga è il momento di fare reverse, domandandosi cosa implica per il Medioriente un Siria instabile.
La notizia più paradossale in merito l’ho trovata su Press Tv, televisione iraniana.
Un parlamentare iraqeno, Hakem al-Zameli, collega il crescente “allarme terrorismo” in Siria con l’impennarsi dell’instabilità in Iraq.
Non il contrario: non è l’instabilità iraqena ad aggiungere gocce di caos in Siria. E’ l’instabilità siriana a generare maggiore entropia in Iraq, il paese instabile per antonomasia.
E’ chiaro che c’è una connessione diretta fra gli eventi in Siria e la persistente insicurezza in Iraq. Quelli che operano assassini e attentati in Iraq sono le stesse persone che sono oggi implicate in assassini e attentati in Siria.
Dice il parlamentare.
Sì, d’accordo, la fonte è iraniana, il parlamentare è probabilmente un “megafono” degli iraniani, ma nel gioco di specchi, al netto, il pensiero del parlamentare iraqeno disegna un quadro non improbabile.
Si pensi al flusso di profughi fra Siria Iraq, che oggi è in direzione opposta a quello precedente.
https://in30secondi.altervista.org/2012/07/31/le-conseguenze-dellinstabilita-siriana/In fiammeiraq,siria,terrorismo
Io aggiungerei però una riflessione sull’instabilità irachena e il suo peso sulle vicende siriane.
Nel 2000-2002 vi fu la “primavera di Damasco”, sorse il social forum siriano, la sinistra laica e progressista si riorganizzò, iniziarono a muoversi molti percorsi di opposizione alla famiglia Assad (in una repubblica che il potere passi di padre in figlio non è mai bello, si tratti di Egitto, Siria o Singapore) e contemporaneamente il giovane dittatore sembrò meno repressivo del padre.
Poi arrivò la guerra americana sull’Iraq.
Tutto si fermò.
Non appena la guerra irachena divenne un conflitto confessionale i siriani si spaventarono molto. Meglio tenersi Assad che diventare come l’Iraq? Molti probabilmente lo pensarono. Sopratutto le minoranze religose (e in Siria sono tutti “minoranze”, visto che i sunniti sono maggioranza relativa).
Inoltre arrivarono quasi due milioni di profughi.
La repressione del dissenso aumentò, mentre il regime giocava con gli jiadisti.
Senza l’instabilità irachena provocata dalla sciagurata guerra americana forse la rivoluzione siriana sarebbe finita da un sacco e non sarebbe stata violenta, forse il regime si sarebbe sciolto un po’ alla volta con riforme e alla fine l’opposizione avrebbe dato l’ultima spallata. Ovviamente la storia non si fa con i se e i forse, ma questa è una mia ipotesi controfattuale nemmeno troppo campata in aria.
Era proprio questo il “gioco di specchi” cui accennavo. Pensando anche al fatto che il regime di Damasco fomentava l’instabilità in Iraq “allevando” qaidisti durante l’occupazione americana.
Oggi si confrontano nell’area la strana “pax iraniana” in cui vivevano l’Iraq e la Siria prima della guerra civile siriana (di cui è portavoce, credo, il parlamentare iraqeno) in conseguenza al ritiro americano dall’Iraq, e il nuovo “modello di instabilità” siriana, cui partecipano gli attori internazionali, molto simile all’instabilità iraqena sperimentata con l’occupazione USA, i cui rischi sono probabilmente maggiori. Si veda ad esempio la “nuova” questione curda così come descritta da Lorenzo Trombetta su Limes. Si veda anche il rischio, non so quanto reale, di “spartizione di fatto” del territorio siriano (montagna alawita e annessi, un’area “sunnita”, curdi).
Mi scuso, forse in questi giorni sono un po’ confusionario, spero si sia capito cosa voglio dire.