Ieri ho avuto il privilegio di conoscere Imed Soltani, che in questi giorni fa da portavoce, in Italia, all’associazione tunisina La terre pour tous.

La sua e altre 153 famiglie tunisine, raccolte attorno all’associazione, cercano notizie dei loro parenti scomparsi durante il viaggio verso l’Europa o, anche, una volta arrivati in Europa.

L’associazione è nata nel 2011, con la rivoluzione tunisina.

Prima, come sottolinea Imed, le persone scomparivano lo stesso, ma non se ne poteva parlare.

Nella Tunisia di Ben Ali l’argomento era tabù perché il dittatore doveva presentarsi come il perfetto gestore dei flussi migratori.

Non era possibile che qualcuno sparisse, che il vulnus degli “accordi bilaterali” fra Tunisia e paesi europei venisse alla luce.

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Oggi la situazione è cambiata, ma non è migliorata.

La terre pour tous si occupa di documentare le sparizioni, costruisce i propri dossier su ogni scomparso, e prova a sollecitare le istituzioni – in particolar modo quelle tunisine ma anche quelle italiane.

I rappresentanti dell’associazione talvolta registrano qualche vittoria: vengono ricevuti, vengono ascoltati, in Tunisia si sono formate anche commissioni di inchiesta.

Ma poi il tutto passa in cavalleria.

Sembra quasi che basti il gesto di prestare attenzione per risolvere una situazione che invece quel gesto non risolve affatto.

Anzi, alla lunga rende peggiore l’attesa.

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L’associazione non si occupa soltanto di chiedere la verità ma anche di dare supporto alle famiglie degli scomparsi.

Supporto legale, dunque, ma anche e soprattutto psicologico, perché una sparizione non è una morte – cui alla fine ci si rassegna.

Confrontandosi con la sparizione di un proprio caro la speranza si mette a fare a pugni con il silenzio che c’è intorno.

E le sicurezze cadono, si inizia ad avere paura di non essere creduti, si cerca in ogni volto una persona, il mondo si popola di fantasmi.

I familiari degli scomparsi chiedono di sapere la verità.

“Ditemi che è morto, ma ditemelo”.

Perché loro lo sanno, e lo sappiamo anche noi, che molti di loro sono morti.

Ma vivere senza averne conferma vuol dire avvertire quella perdita ogni giorno.

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I desaparecidos del Mediterraneo sono scomodi.

Dietro alle loro sparizioni ci sono fatti e pratiche che nessuno vuole sapere ma che sappiamo essere lì.

Morti in mare senza nome, fosse comuni sulla sponda sud.

Sono il lato oscuro delle “politiche di salvataggio” che tante celebrazioni ricevono ogni giorno.

Parlarne ci espone alla vergogna, ci ricorda quanto inumano è ciò che la Fortezza fa per “difendersi”.

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“Cosa fareste voi se vi capitasse una cosa simile?”

Questa frase ci ha detto ieri la madre di un ragazzo scomparso.

Faremmo esattamente ciò che fa lei: cercheremmo in tutti i modi di ritrovarlo, vivo o morto.

E forse rimarremmo isolati in questa ricerca se non ci fosse una associazione come La terre pour tous.

Raramente ho trovato una ragione più valida per fare un’associazione, per creare attorno ad essa una comunità.

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Al termine dell’incontro Imed ci ha chiesto se è stato efficace nella sua esposizione.

Ci ha detto che ha una responsabilità di fronte a tutti gli altri familiari degli scomparsi, quella di far sapere con chiarezza qual è il problema di queste famiglie, e come l’associazione lo sta affrontando.

“Devono sapere che non sono venuto qui a fare il turista, devono sapere che sto lavorando bene”.

Il fatto non è secondario, ha a che vedere con il supporto psicologico e con la comunità di cui parlavo prima.

Per queste famiglie è importante anche solo sapere che noi siamo a conoscenza del loro dramma, che cerchiamo almeno di capirlo, che siamo con loro.

Anche qui ho vissuto una sensazione rara: quella di capire cosa la solidarietà può fare.

 

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Ieri ho avuto il privilegio di conoscere Imed Soltani, che in questi giorni fa da portavoce, in Italia, all'associazione tunisina La terre pour tous. La sua e altre 153 famiglie tunisine, raccolte attorno all'associazione, cercano notizie dei loro parenti scomparsi durante il viaggio verso l'Europa o, anche, una volta arrivati...