Quando muore qualcuno ci si affretta a riconsiderarne i lati controversi. “E’ morto”, si pensa, merita un buon necrologio. Questo è ciò che Vittorio Zucconi fa con Samuel Huntington all’indomani della sua morte (Repubblica, 28 dicembre 2008, p. 27). Zucconi ricorda che lo studioso non era un neocon, né un sostenitore della guerra in Iraq, che anzi rimase isolato nel campo conservatore. Addirittura Bush evitò di usare la formula “scontro di civiltà” proprio per non assimilare il proprio discorso a quello di Huntington (o forse proprio perché doveva “sembrare buono”).

Diamo atto a Zucconi di aver voluto sollevare Huntington dell’accusa di aizzatore di scontri di civiltà, di aver dato all’uomo un profilo umano. Ma notiamo, allo stesso tempo, che dare atto ad un accademico di non essere un guerrafondaio né un sostenitore di questo o quel corso politico, non lo rende immune dalle critiche riguardo alle sue teorie. In altre parole, le “teorie della storia” come quelle di Huntington non si misurano sulle buone o cattive intenzioni di chi le formula: il fatto che – come sottolinea Zucconi – l’accademico desiderasse “mettere in guardia” il mondo sui rischi di uno “scontro di civiltà”, non significa che lo scontro di civiltà sia un concetto valido.

Ed è proprio questo il punto. Inquadrare l’attentato dell’11 settembre, e tutto il resto, all’interno di una dinamica di “scontro di civiltà” è sbagliato. Altrove abbiamo sottolineato quanto piuttosto esso debba essere inserito in uno scenario di lotte fra elites politico-economiche più o meno capaci di proselitismo.
E rifiutare, come a detta di Zucconi fece Huntington, di inserire l’evento nell’impianto della teoria, rende la stessa assolutamente inutile. A che serve una teoria se non è capace di rendere conto degli eventi? E se l’11 settembre non era l’evento su cui misurare la teoria, su quali altri eventi avremmo dovuto misurarla? Inoltre, se non vi sono stati eventi del genere significa che questo scontro non c’è mai stato, che è stato solo immaginato?

Nell’articolo Zucconi cita Huntington, da lui stesso intervistato: “Nessuna profezia è capace di avverarsi da sola, tutto dipende da come la gente reagisce alla profezia stessa. Mi spiego: negli anni Cinquanta e Sessanta molti leader politici intelligenti, diversi diplomatici ed esperti militari prevedevano l’inevitabilità di una guerra atomica fra Stati Uniti e Unione Sovietica. La guerra non avvenne perché quella profezia fu presa così sul serio da provocare una serie di rimedi preventivi e contromisure: politiche di controllo degli armamenti, una linea rossa di comunicazione d’emergenza tra la Casa Bianca e il Cremlino, più alcune regole di comportamento che bene o male furono seguite dalle due superpotenze durante la guerra fredda. Nel mio scontro delle civiltà ho indicato alcuni conflitti che all’epoca apparivano minori e ho avvertito il pericolo che essi degenerassero fino a diventare grandi conflitti. Concludevo quel libro proprio esortando i governi ad agire per prevenire quello scenario”

Insomma, dobbiamo pensare che “la messa in guardia” di cui parla Huntington – e con lui Zucconi – abbia funzionato. Ma una domanda a questo punto si impone: quali sarebbero stati i provvedimenti delle Nazioni, dei Popoli, delle Civiltà o di qualche altro soggetto, generico o meno, per evitare lo scontro? Mettendo da parte l’incongruità del paragone (una guerra nucleare era facilmente prevedibile – non chiamerei “profezia” una previsione basata sul fatto che a Hiroshima e Nagasaki erano state sganciate bombe nucleari che avevano provocato la fine della seconda guerra mondiale e che l’Unione Sovietica aveva poco dopo iniziato a produrre armi atomiche) osserviamo che durante la Guerra Fredda successe l’esatto contrario di ciò che – per quanto ne sappiamo – è successo fra l’amministrazione americana e il brand “al-Qaida” e derivati a partire dal 2001 a oggi: entrambi non hanno fatto altro che accendere lo scontro, l’uno con l’uso delle armi in Iraq e Afghanistan, l’altro con messaggi, proclami e attentati. Il “dialogo” non vi è mai stato, la mediazione nemmeno. E, nonostante questo, lo “scontro di civiltà”, nelle dimensioni pensate da Huntington, non è mai partito (fortunatamente).

Tanto più che gli attori erano già in campo ben prima che Huntington “mettesse in guardia” l’umanità (anche se il primo messaggio di Bin Laden, curiosamente, è del 1994, un anno dopo il famoso articolo su “Foreign Affairs”), e che le altre cosiddette “civiltà” in odore di “scontro” con l’Occidente – seguendo il concetto “The West and the Rest” dello stesso Huntington -, prima di tutto la Cina, non sembrano aver dichiarato guerra a nessuno. Anzi, è ormai chiaro che le elites economiche, abbiano trovato il modo di fare in Cina i propri affari, senza ovviamente porsi problemi di “civiltà”.

Insomma, cosa rimane dello scontro di civiltà così come Huntington lo ha descritto? La risposta è solo una: niente. O meglio: rimane uno strumento per individuare chi, con i propri mezzi limitati o con propositi malevoli, lo fomenta. E’ una teoria grossolana e sbagliata nelle premesse, capace di agitare gli animi di menti semplici più che mettere in guardia popoli, istituzioni, apparati o spiegare in maniera adeguata processi di cambiamento molto complicati. E chi, in questi anni, ne è rimasto affascinato (come me, lo riconosco) non deve far altro che ammettere di essersi sbagliato, di aver seguito – in maniera più o meno consapevole – la chimera di ridurre fenomeni e problemi complessi e bisognosi di analisi lunghe e faticose, a un facile gioco intellettuale, a una “teoria della storia” di natura deduttiva, per di più figlia minore di elaborazioni ben più ponderose, a loro volta pericolosamente riduzionistiche.

Esco da queste riflessioni con un certo fastidio: per quanto tempo ancora il mondo accademico, e in cascata quello dei mass media, darà in pasto a tutti noi le proprie trovate retoriche, le proprie melliflue “spiegazioni”? A quando la prossima disastrosa “profezia”? In Huntington come in Bernard Lewis vedo, nel migliore dei casi, studiosi scavalcati dagli eventi della storia, uomini vecchi, incapaci di rendere conto della realtà che li circonda con i propri datati strumenti di interpretazione.

14/feb/2009