Truffe intellettuali fra relativismo e fondamentalismo
Nell’introduzione al piccolo saggio L’economia della truffa, John K. Galbraith parte dal presupposto che:
le opinioni condivise, che altrove ho chiamato ‘sapere convenzionale’, sono altra cosa dalla realtà; e che, non sorprendentemente, tra le opinioni e la realtà ciò che conta, alla fine, è la seconda […] in seguito a pressioni economiche e politiche e alle mode del momento, tanto l’economia quanto realtà politico-economiche ancora più vaste coltivano una versione della verità. La quale non ha necessariamente qualche rapporto con la realtà.
Galbraith, che non è un “santo” ma un “padrone del vapore”, fa luce – in campo economico – su un concetto, quello di “truffa non del tutto innocente”, cioè finalizzata al proprio tornaconto, un concetto che ben si attaglia alle riflessioni che su questo sito andiamo facendo al riguardo di “orientalismo” e “occidentalismo”. La truffa, nel nostro caso, è la seguente: si dà per scontato – è luogo comune – che nel mondo esistano diverse culture/civiltà e che esse siano messe sullo stesso piano al livello della dignità e del diritto ad esistere. Il principio – egualitario si direbbe – è corretto, ed effettivamente possiamo dirlo “vero”. Ma la realtà è un’altra. Nella realtà v’è prima di tutto un sistema economico mondiale e un unico grande mercato. La truffa sta nell’omettere che al di sopra di “culture e civiltà” non ci sia questo sistema, che ne determina e ne definisce in ampia misura le caratteristiche.
Un esempio: gli zingari sono in ogni società i “subalterni” per antonomasia. E’ molto interessante osservare quanto spia della loro condizione sia la dipendenza dalla società “economicamente egemone” che li ospita. Nell’apparire e nella sostanza della sua condizione economica lo zingaro bolognese è più “garantito” dello zingaro napoletano. Entrambi sono estremamente più garantiti dello zingaro libanese o iraniano. Eppure sono tutti zingari, sebbene la loro identità dipenda in buona misura dalla società che hanno intorno proprio perché in essa sono subalterni.
L’elemento appena descritto è evidentissimo in questo caso, meno in altri. Se però proviamo a considerare l’intero pianeta come un luogo in cui agisce un’entità economicamente egemonica renderemo conto di molte delle attuali differenze riscontrabili all’interno di raggruppamenti culturali che vengono considerati unitari e definibili tout cour attraverso alcune categorizzazioni. Questo modo di ragionare è particolarmente illuminante nel caso dei musulmani. Sono tutti musulmani ma, oltre a essere diversi fra loro per ragioni storico-culturali proprie, sono lontani fra loro anche in ordine alla posizione che occupano all’interno della mappa del potere/ricchezza mondiale. E il loro essere subalterni si scorge proprio nel constatare queste enormi diversità. Mi riferisco, ad esempio, alla biografia di un bin Laden comparata a quella di un contadino afghano.
L’affermazione del sistema economico mondiale trova diverse resistenze, più o meno consapevoli, più o meno rilevanti. Tuttavia, come è noto, gli “antagonismi”, in un sistema dominante come quello economico mondiale contemporaneo, sono una parte – che alcuni ritengono necessaria – del sistema: per definizione sono subalterni e il loro raggio d’azione non sfugge alle regole che i “protagonisti” di volta in volta scrivono. Dunque, i protagonisti del sistema economico mondiale non esitano – d’altronde divide et impera – ad usare gli antagonismi ai propri fini e, talvolta, a crearne di nuovi. In questo senso la retorica del “pericolo globale”, è parte di una strategia di affermazione che non cessa mai di lavorare.
Lungo tutto il suo saggio Galbraith sottolinea un aspetto inquietante riguardo alle truffe in atto: nessuno ne parla o comunque v’è un certo imbarazzo o reticenza nel parlarne, almeno negli ambienti economici. Gli esempi da lui portati sono molti e molto interessanti: non viene mai a galla la verità sul rapporto fra pubblico e privato (i due concetti non sono omogenei); nessuno dice mai che il “prodotto del mercato” non è affatto il frutto della domanda dei consumatori bensì ciò che i produttori ritengano debba essere la domanda dei consumatori; l’abbassamento/innalzamento dei tassi d interesse da parte delle banche centrali ha generalmente un effetto nullo sulle economie; etc.
Anche nel nostro caso nessuno parla delle truffe in atto. Non ci interessa qui fare nomi e cognomi (cosa che – comunque – non sarebbe per niente facile). Ci interessa invece sottolineare che in queste condizioni nessuno, nemmeno “loro”, dovrebbe sottrarsi a questa dura realtà. E, soprattutto, che è giunto il momento di ragionare su “culture e civiltà” in maniera diversa.
La dimostrazione che può esistere un “ragionamento ben formato” – cioè non parziale né incompleto – su “culture e civiltà” ce la fornisce Amartya Sen in “Sviluppo e libertà” (p.234):
consideriamo […] l’idea che una libertà personale estesa a tutti sia importante per costruire una buona società. In questa tesi possiamo distinguere due componenti separate, e cioè il ‘valore della libertà personale’ […] e ‘l’uguaglianza della libertà’ […] . Messe insieme, queste due componenti implicano che la libertà personale deve essere garantita a tutti e da tutti condivisa. Aristotele ha difeso a lungo il primo punto, ma escludendo le donne e gli schiavi non ha certo sostenuto il secondo; e in verità questa forma di difesa dell’uguaglianza ha un’origine molto recente.
Il discorso, in questo caso è finalizzato a spiegare che quelle che noi definiamo “le culture” contengono i valori dei diritti umani sempre e solo parzialmente e che quindi non esiste una “esclusiva” dell’Occidente nell’averli “inventati”. Amartya Sen termina con un: “alle radici delle idee liberali e democratiche moderne possiamo […] trovare degli ‘elementi costitutivi’, non degli ‘interi'”. D’altronde il concetto di “valore” è a-storico: di esso nella storia del mondo possiamo solo rintracciare “espressioni” o “esiti” senza ipocrisie. (1)
Per concludere: dovremmo iniziare a ragionare su veri o presunti antagonismi fra culture e civiltà dell’epoca contemporanea come a “una delle tante verità”, non come alla “realtà”. Inoltre, dovremmo assumere definitivamente il fatto che relativismi (far passare come “dati culturali” alcune pratiche che contraddicono i principi di dignità umana, dell’eguaglianza e della libertà) e fondamentalismi (l’Europa, l’Occidente, l’Islam “sono l’unica verità”; il “conflitto di civiltà” etc.) rappresentano un serio ostacolo alla conoscenza. I primi lasciano indietro l’idea del cambiamento, di miglioramento della condizione umana, i secondi cercano di dirigerlo e dominarlo in funzione egoistica.
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