Questo appunto non riguarda il mondo islamico contemporaneo se non in maniera latente.

Però è necessario, perché negli ultimi tempi sono andato incontro a miriadi di personaggi strani, che inneggiano alla “controinformazione” in opposizione ai “media mainstream”.

Allora. Dire “contro-qualcosa” è per certi versi come dire “post-qualcosa”.

Entrambi i prefissi fanno riferimento a qualcosa da cui si differenziano ma, contemporaneamente, in cui si identificano.

La posizione “post-qualcosa” ci segnala che la cosa cui ci si riferisce dipende da qualcosa che c’era prima.

I post-moderni non sono individui che agiscono in un contesto integralmente nuovo. Essi si muovono “dopo” la modernità, ma non sappiamo cosa realmente facciano se non ritenersi diversi da ciò che c’era prima.

I post-moderni sono persone subalterne per antonomasia. Il loro orizzonte è retrogrado, retrospettivo, negativo nel senso che negano il presente descrivendolo per sottrazione, e non hanno una visione del futuro.

La posizione “contro-qualcosa” è simile. Il “contro-potere”, ad esempio, è un costrutto in cui alcuni, che non hanno il potere, si organizzano per creare un qualcosa che vi si opponga, utilizzando strumenti atti ad andarvi “contro”.

Anche il contro-potere è subalterno per antonomasia. Nel momento in cui questi contro-poteristi distruggessero il potere diventerebbero a loro volta i campioni di ciò contro cui vanno, il potere stesso.

E veniamo alla controinformazione.

Il concetto implica, di nuovo, una subalternità irriducibile.

Si prende “un discorso” fatto dal “mainstream” e lo si “decostruisce”, dimostrando che è falso o tendenzioso.

Ma facendo questo si dimostra, sempre che ci si riesca, che qualcosa è falso o tendenzioso, non si dà un’informazione su cosa succede.

Il risultato è che per avere un’informazione si ricorre comunque “al mainstream” perché è il mainstream a produrre e la controinformazione a chiosare.

Fare controinformazione in questo senso significa scontrarsi con “l’informazione mainstream” giocando al suo gioco e sapendo di perdere.

E dunque, paradossalmente, questa attitudine rafforza l'”informazione mainstream” stessa, perché viene temporalmente “dopo” il “mainstream” e in conseguenza ad esso.

Che il mondo dell’informazione sia stracolmo di magagne, propagande, mistificazioni, superficialità, scorrettezza è un dato assodato.

E fare continuamente “critica della notizia” o “critica dell’informazione” è essenziale.

Ma rimane “il mondo dell’informazione” sia che i suoi attori siano corretti o meno, siano pagati per dire qualcosa invece che un’altra etc. etc.

Estrarre informazioni dal mondo dell’informazione per fare “controinformazione” è semplicemente demenziale.

L’aspirazione, invece, sarebbe quella di fare la propria informazione, lasciandosi dietro il “contro”, senza curarsi delle eventuali “sovrapposizioni” che inevitabilmente si generano nel farlo.

Solo in questo modo si conserva la propria indipendenza, che è l’unico valore sensato nel campo dell’informazione.

Un esempio. Ho iniziato a parlar male del Qatar e di al-Jazeera svariate centinaia di secoli fa.

Continuo a parlarne male.

Quando ho iniziato a parlarne in molti pensavano che al-Jazeera fosse “un bell’esperimento” e che il Qatar fosse niente più che “un piccolo emirato dove in fondo stanno tutti bene”.

Oggi a parlar male di al-Jazeera e del Qatar ci sono decine e decine di controinformatori.

Hanno iniziato a parlarne male a partire dalla guerra in Libia, cioè con svariate centinaia di migliaia di anni di ritardo, in ragione della loro opposizione “alla guerra” o “all’imperialismo”.

E presumibilmente quando il problema della guerra e dell’imperialismo si sposteranno altrove – ora il centro della “battaglia di controinformazione” è in Siria ma domani potrebbe spostarsi, che so, in America latina – smetteranno di parlare di al-Jazeera e del Qatar.

Ma al-Jazeera e il Qatar continueranno ad esistere, presumibilmente, e presumibilmente continueranno a fare ciò che facevano prima della Libia.

Fare informazione in base a un’agenda, anzi in base a una “controagenda”, chiamandola “controinformazione”, genera un sapere deficiente, un sapere disconnesso, frazionato, inutile e controproducente.

Vi lasco con le “parole sante” di Slavoj Zizek (scritte dopo l’11 settembre), sperando che capiate il nesso fra esse e ciò che ho appena scritto:

Il pericolo che l’Occidente sta attraversando nella sua “guerra al terrorismo” era stato, ancora una volta, percepito con precisione da Chesterton che, proprio nelle ultime pagine di Ortodossia (uno dei capolavori della propaganda cattolica), segnalò la contraddizione fondamentale insita nella critica pseudo-rivoluzionaria della religione: i critici cominciano accusando la religione di essere la forza dell’oppressione che minaccia la libertà degli uomini, ma nel combattere la religione sono costretti a rinnegare proprio la libertà, sacrificando così precisamente quello che volevano difendere. La vittima finale del rifiuto teoretico e pratico della religione da parte degli atei non è tanto la religione (che continua imperturbata la sua esistenza) ma quella libertà che si vorrebbe minacciata dalla religione: l’universo radicale dell’ateo, una volta privo di riferimenti religiosi, diventa il grigio universo del terrore egualitario e della tirannide:

Uomini che cominciano a combattere la Chiesa per amore della libertà e dell’umanità finiscono col combattere anche la libertà e l’umanità pur di combattere la Chiesa … Conosco un tale che per la mania di provare che non ci sarà sopravvivenza individuale dopo la morte retrocede sulle sue posizioni fino a sostenere che egli non ha esistenza individuale neppure ora … Ho conosciuto persone che, per dimostrare che non c’è giustizia divina, dimostravano che non ci può essere la giustizia umana … Noi non ammiriamo — e giustifichiamo appena — il fanatico che devasta questo mondo per amore dell’altro; ma che dire del fanatico che devasta questo mondo in odio dell’altro? egli sacrifica l’esistenza dell’umanità alla non esistenza di Dio: non offre le sue vittime sull’altare, ma semplicemente le sacrifica per dimostrare che l’altare è inutile e che il trono è vuoto … Coi loro dubbi orientali intorno alla personalità, essi non ci danno la certezza che non avremo una vita individuale dopo la morte, ma ci danno la certezza che noi non avremo una vita felice o completa in questo mondo … Il laicismo non ha distrutto le cose divine: ha distrutto le cose non divine — se questo può essere un conforto per esso (Chesterton 1909, pp. 206-208)

La prima cosa che oggi dovremmo aggiungere è che tutto questo vale anche per i sostenitori della religione: quanti difensori fanatici della religione hanno cominciato attaccando in modo feroce la cultura secolare del loro tempo per finire col combattere la religione stessa, venendo meno a qualsiasi esperienza religiosa significativa? E non sta accadendo che — con una perfetta corrispondenza […] i combattenti per la democrazia sono così desiderosi di osteggiare il fondamentalismo antidemocratico per finiranno per combattere libertà e democrazia se questo servirà a combattere il terrorismo? Dedicano una tale passione a dimostrare che il fondamentalismo non cristiano è la minaccia principale alla libertà da sostenere l’idea che dobbiamo limitare la nostra libertà qui e ora, nelle nostre cosiddette società cristiane. Se i “terroristi” sono pronti a devastare questo mondo per amore dell’altro, coloro che combattono il terrorismo sono pronti a devastare il loro mondo democratico per odio dell’altro musulmano. Alter e Derschowitz hanno un amore così profondo per la dignità umana che sono pronti a legalizzare la tortura — la degradazione totale della dignità umana — per di difenderla… E non vale lo stesso argomento anche per il disprezzo postmoderno delle grandi Cause ideologiche, per l’idea che, nella nostra epoca post-ideologica, invece di provare a cambiare il mondo dovremmo reinventare noi stessi, il nostro intero universo, impegnandoci in nuove forme di pratica soggettiva? […] Il risultato finale della soggettivizzazione globale non è la sparizione della “realtà oggettiva”, ma la sparizione della nostra stessa soggettività.

Slavoj Zizek, Benvenuti nel deserto del reale, Meltemi, 2003, pp. 89-90