Lo scorso 8 ottobre a Roma una ventina di militanti di Forza Nuova ha fatto irruzione al Maxxi, il museo nazionale delle arti del XXI secolo, durante la mostra “Nome in codice: Caesar. Detenuti siriani vittime di tortura”. Le fotografie esposte, che documentanoalcuni dei crimini del regime di Bashar al-Assad, avrebbero urtato la sensibilità politica del gruppo, definite “intollerabile mistificazione” che inquinerebbe “la mente del popolo” con “palesi bugie”.

Il fatto è che quelle foto sono vere, e che i crimini contro l’umanità di Bashar al-Assadsono sotto gli occhi di tutti. Così come è vero anche che gli organizzatori hanno faticato non poco, autofinanziandosi, per far sì che questa documentazione – già esposta al Parlamento Europeo due anni fa e in tante altre sedi istituzionali europee – arrivasse in Italia.

Tuttavia, ad opporsi alla mostra non sono stati solo i fascisti: gli assadisti italiani sono un peculiare miscuglio di personaggi e gruppi provenienti dai più svariati retroterra culturali e ideologici.

L’ultima fiammata degli assadisti italiani l’abbiamo vista nei giorni seguenti alla distruzione, da parte degli aerei russi, del convoglio umanitario dell’ONU diretto ad Aleppo — città assediata dalle truppe del regime siriano e dai loro alleati.

Le immagini dell’assedio hanno fatto il giro del mondo, rivelando a chi non lo sapeva quali sono i metodi coi quali Damasco e i suoi alleati fanno la guerra in Siria. Ma così come i russi hanno cominciato a negare, per gli assadisti l’attacco è stata sostanzialmente una messa in scena, prima di esser derubricato a episodio da paragonare ad altri contesti.

“Guardate cosa fanno i sauditi in Yemen con l’aiuto degli americani. Fanno 130 morti durante una festa di matrimonio,” li si sentiva dire. Ma perché mai dovremmo dimenticare il convoglio umanitario di Aleppo, ponendo un’equivalenza con il bombardamento saudita in Yemen? Finiremmo per dimenticarci di entrambe le cose.

Possiamo discutere quanto vogliamo del comportamento degli americani in Siria, in Medio Oriente e nel mondo. Possiamo fare una storia dell’imperialismo americano, costellata di fatti terribili e intollerabili. Tuttavia dobbiamo aprire un altro capitolo, avendo sempre in mente che l’infamia di uno non cancella quella di un altro, e che non esistono imperialismi migliori degli altri.

Esempio: radendo al suolo la Cecenia a partire dalla metà degli anni Novanta, Putin non ha combattuto contro l’imperialismo americano. Anzi, quando dovette finire il lavoro, all’inizio del nuovo millennio, lo si poteva vedere andare a braccetto con gli americani: tutto il mondo – e quindi anche i russi – diceva di fare la “guerra al terrore.” E ai russi fu dato semaforo verde in Cecenia.

C’è chi, però, fa un ragionamento definito “campista”: si immagina che esista questo “Grande Imperialista americano” da sconfiggere, e che quindi tutti gli altri – cioè il campo opposto – siano i ‘buoni’, o che comunque servano la causa e dunque vadano bene.

Nella realtà, però, questi campi non esistono.

Pensiamo a Bashar al-Assad. Il suo curriculum, in questo contesto, è fra i peggiori: un numero ormai infinito di fonti ci racconta di ciò che succede nelle sue prigioni, della sua strategia di sterminio e mutamento demografico nelle aree di guerra, della determinazione con cui cerca in tutti i modi di rimanere al potere, giungendo a radere al suolo intere città e/o a farle cadere per fame con l’aiuto dei suoi partner — russi, iraniani, Hezbollah, milizie sciite irachene.

Sono i soli fatti per i quali verrà ricordato, eppure sembra che nel presente questo non basti per avere di lui un giudizio negativo: c’è una parte di opinione pubblica mondiale che è disposta a credere alle panzane più impresentabili pur di continuare a considerarlo un campione dell’aggressione imperialista americana. E chi ha seguito le tragiche vicende della Siria dall’Italia, pascolando mestamente nel praticello dell’informazione nazionale, non ha potuto fare a meno di avere a che fare con questo fenomeno fin a subito — cioè dal 2011 in poi.

In questi ultimi tempi, infatti, l’amore per Bashar al-Assad è riuscito negli anni ad allineare fascisti, alcuni comunisti, alcuni pacifisti, persino leghisti e – da ultimi – alcuni grillini. Ma com’è potuto succedere?

Innanzitutto, bisogna dire che nell’area di estrema destra non c’è solo Forza Nuova; da quella parte stanno più o meno tutti con Assad.

C’è Casapound, che ultimamente ha tappezzato le città di manifesti in cui Assad è definito “la migliore difesa dell’Europa contro il terrorismo,” ma che opera da tempo in maniera capillare sul territorio: con la sua onlus Sol.id (Solidarité – Identités), e spesso in collaborazione con il Fronte Europeo per la Siria, organizza viaggi nelle aree sotto il controllo del regime, porta aiuti e fa propaganda assadiana nelle scuole, spesso indisturbata.

Foto via pagina Facebook di Casapound Italia

C’è poi Zenit, associazione dalle “radici culturali che si rifanno al fascismo” e che lavora con Casapound; e Contro Tempo, una “comunità di militanti” di stampo fascista già scoperta ad aggredire studenti di liceo colpevoli di scendere in piazza per chiedere libertà e diritti umani in Siria.

I fascisti italiani, tuttavia, sono parte di una realtà europea ben più ampia. Germano Monti, che sul suo blog Vicino Oriente si dedica da tempo a disegnare questo particolare tipo di geografia, scriveva già nel 2012:

“Gli stretti legami esistenti fra il regime di Assad e l’estrema destra europea non sono un mistero per nessuno: in Francia, a lavorare per Assad troviamo Frederick Chatillon (un passato da neonazista ed attualmente braccio destro di Marine Le Pen), lo storico negazionista Robert Faurisson ed il comico Dieudonnè, passato anni fa dalla sinistra all’estrema destra. In Italia, oltre agli squadristi di Controtempo ed al quotidiano Rinascita Nazionale, gli alleati del regime di Assad sono i rossobruni del circuito di Eurasia e di Stato e Potenza, oltre ad altre sigle afferenti al network internazionale di ‘eurasiatico’, strutturato da Mosca a Lisbona, ed il cui principale ideologo è il russo Alexander Dugin, traduttore degli scritti di Julius Evola.”

Il collegamento tra fascisti e Siria, insomma, non è nuovo e ha radici abbastanza evidenti. Il tipo di fascinazione è chiaro, nel loro caso: il nazional-socialismo e l’anti-atlantismo, lo schiacciarsi sulla putiniana “Eurasia,” trovando in organizzazioni e partiti siriani filo-governativi un referente perfetto.

Meno scontata è invece l’adesione di diversi soggetti che si autodefiniscono “comunisti” o “di sinistra.”

Qui si torna indietro alla guerra fredda, quando la Siria stava con l’Unione Sovietica. Fra gli specchietti per le allodole con cui gli assadisti attraggono alcuni gruppi ci sono infatti i passati “socialisti”: “la Siria è un paese socialista,” dicono, dove il partito al potere (Ba’ath) garantisce laicità, istruzione, redistribuzione.

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A poco serve ricordare che dal 2001 la Siria – sebbene poi le leve del sistema economico siano rimaste nelle mani del clan di Assad – ha inaugurato una fase neoliberista. E a poco serve spiegare come questa fase abbia determinato, nell’arco di un decennio, un tragico impoverimento della popolazione e un’epocale e forzata urbanizzazione di milioni di persone.

A sostegno della tesi sulla Siria “laica e socialista” si cita anche il fatto che nel paese, oltre al Ba’ath, c’è anche un partito comunista — ignorando tutte le formazioni comuniste che ad Assad si oppongono, così come tutti i comunisti morti nelle carceri di Assad. Così, quello che era il contentino dato dal regime degli Assad (prima di Bashar c’era Hafez, suo padre) all’Unione Sovietica, diventa la prova che la Siria si erge – oggi come ieri – a bastione della lotta anticapitalista.

Niente di più falso, e mentre scriviamo Assad e i suoi soci fanno affari, specialmente con gli iraniani: il fatto che microscopici partiti comunisti sparsi per il mondo – compreso quello americano – abbiano abboccato all’amo rende il tutto ancora più credibile agli occhi di chi vuol credere.

Seguendo il filo del “campismo” di cui sopra troviamo poi quei gruppi pacifisti che, a un certo punto, hanno pensato alla pace come a qualcosa che non potesse prescindere dalla battaglia contro l’imperialismo americano.

Alla ricetta, qui, è bastato aggiungere un pizzico di retorica anti-israeliana, dipingendo Assad come il campione della lotta contro Israele, sebbene il regime abbia fatto fuori migliaia di profughi palestinesi residenti in Siria in questi anni – che hanno solidarizzato con la rivoluzione siriana – e non abbia sparato un colpo verso Israele negli ultimi decenni.

Anche qui mantenere le posizioni significa chiudere gli occhi di fronte a evidenze chiarissime. Voci palestinesi, come quella della giovane Budour Hassan, sono totalmente ignorate, e si preferisce ascoltare vecchi arnesi collusi col regime di Damasco.

L’influenza di questo approccio nel mondo del pacifismo ha reso impossibile negli anni passati un confronto serio sul tema della Siria. Questi pacifisti si sono fatti sentire bene soltanto quando sembrava, nel 2013, che Obama volesse procedere a un attacco in forze — cioè sostanzialmente dichiarando guerra all’indomani dell’attacco chimico alla periferia di Damasco, nella Ghouta, a causa del quale morirono almeno 1200 civili.

In quel frangente, tutto il potenziale della propaganda pro-assadiana si dipanò attorno all’esercizio di stile teso a dimostrare, con una teoria del complotto, che l’attacco era stato compiuto da turchi e/o sauditi per far ricadere la colpa su Assad. Il tutto era finalizzato a coinvolgere direttamente Obama.

Uno dei tanti capolavori simili fu il tentativo di spiegare alle masse che Assad non usa i barili bomba, cioè ordigni rudimentali non direzionabili lanciati da aerei ed elicotteri sui quartieri e le città “ribelli” con l’effetto di produrre distruzione e fare quasi sempresoltanto vittime civili. A niente è servito spiegare che quest’uso è documentatissimo o, semplicemente, far loro notare che – barili bomba o meno – le città o i quartieri rasi al suolo in Siria oggi sono praticamente quelli presi di mira dal regime.

La rimozione dei fatti giunge al punto che le immagini delle distruzioni procurate dalle bombe di Assad (e dei russi) siano usate per affermare che “i terroristi” hanno reso la Siria un cumulo di macerie. E che lentamente, grazie all’operato del ‘Padre della Patria’, la vita sta tornando in quei luoghi.

Ma in Italia, a coloro che osannano Assad perché sono fascisti, o perché pensano che in questo modo si è davvero comunisti, o perché ritengono che per avere un mondo di pace giusta si possano sterminare i siriani, si associano poi altri due soggetti: leghisti e grillini.

Su di loro si deve fare un discorso a parte, perché il loro assadismo sembra essere un’indiretta conseguenza del loro stare all’opposizione in Italia: l’interesse per la Siria è relativo, solamente, si accetta come vera la propaganda assadista perché la si può usare come clava in politica estera, un dominio nel quale l’Italia di Renzi è facilmente attaccabile perché da tempo ormai rispetta la regola della latitanza o della foglia di fico, abbandonandosi a qualsiasi corrente ci trasporti in acque internazionali apparentemente calme.

Fra i due soggetti esistono alcune differenze. I leghisti arrivano all’assadismo via Putin: è per questo, per esempio, che una stella del putinismo come Giulietto Chiesa ci va a nozze — scatenando, fra l’altro, l’ira di alcuni comunisti filo-assad.

Quanto al Movimento 5 Stelle, la questione è più complessa, e questa articolazione è rivelatrice.

In Italia alcuni grillini sono assadiani doc. “Think tank” vicini al movimento comeL’antidiplomatico, per esempio, rilanciano tutta la possibile propaganda assadista che trovano in rete, aggiungedoci un tocco di complottismo in più — soprattutto nei titoli. L’ultimo in ordine di tempo: “False Flag o divertimento? I piloti Usa in Siria camuffano i loro Jet con quelli russi“.

Più ci si allontana da Roma, però, più i grillini diventano meno assadiani — i loro rappresentanti al Parlamento Europeo, ad esempio, hanno a suo tempo denunciato le torture di Assad, dopo aver visto le fotografie di Caesar.

Questo è il panorama dell’assadismo “politico” italiano — sorvolando su quello religiosodegli ultracattolici, che richiederebbe un lavoro a parte.

Sebbene talvolta si pongano formalmente in opposizione o in alternativa fra loro, i soggetti che lo animano finiscono per incontrarsi a un convegno o in una manifestazione.

Più spesso si citano a vicenda nei loro blog o sulle loro testate online. E l’entità che lavora al collegamento fra questi soggetti sono i rossobruni, la cui caratteristica principale è negare di essere rossobruni.

La cifra comunicativa di tutti questi assadisti, oltre ovviamente al complottismo, è il piagnisteo anti-mainstream. Eppure, solo per fare un esempio, abbiamo visto la giornalista – e attuale presidente Rai – Monica Maggioni stendere tappeti rossi nel 2013 a Bashar al-Assad su RaiNews24.

Abbiamo poi preso atto di ‘conversioni sulla via di Damasco’ di volti noti del giornalismo come Alberto Negri o Fulvio Scaglione. E abbiamo visto Repubblica ‘passare le veline’ del regime siriano.

Senza calcolare la schiera di giornalisti e analisti che, facendo calcoli geopolitici privi di collegamento con la realtà, o seguendo una loro misteriosa agenda, hanno in questi anni fatto finta che Bashar al-Assad fosse un politico e non un criminale.

Bene, ora mettiamoli tutti insieme, facciamogli un’ipotetica foto di gruppo e guardiamola, perché da sola dice tutto.

 

 

  • Questo articolo è apparso su Vice News https://news.vice.com/it/article/assad-siria-fascisti-sinistra-italia

 

Lorenzo Declichsyriana
Lo scorso 8 ottobre a Roma una ventina di militanti di Forza Nuova ha fatto irruzione al Maxxi, il museo nazionale delle arti del XXI secolo, durante la mostra 'Nome in codice: Caesar. Detenuti siriani vittime di tortura'. Le fotografie esposte, che documentanoalcuni dei crimini del regime di Bashar...