Lo studioso di islam, l’islamista, viene assalito da quello che può definirsi un “orientalismo sociologico”, ovvero la ricaduta nella società dell’orientalismo colto, la percezione che le persone hanno dell'”oriente”, cui la denominazione “islamista” immediatamente rimanda. Questi deve assolvere prima di tutto alla funzione di enciclopedia, meglio se organizzata in ordine alfabetico. Il suo sapere – sembra – deve ordinarsi in una sequela di nozioni il più possibile erudite il cui scopo è rispondere alla seguente urgenza occidentale: “Scusa, mi togli una curiosità?”. Ricordo ancora un mio coetaneo medievista incontrato sull’eurostar dirmi: “C’è bisogno di voi: noi spesso non sappiamo che pesci prendere con questo islam e non c’è nessuno che ci dica qual’è la cosa giusta”. Un’enciclopedia, insomma, al servizio di medievisti, giornalisti, contemporaneisti etc.

Si dà per scontato che l’islamista debba sempre rispondere quando gli si chiede che cos’è il blu maomettano o il grano saraceno o l’alchimia, perchè la bandiera turca porta una mezzaluna, quali siano le caratteristiche del tessuto damascato, chi siano i finanziatori occulti di al-Jazeera o altre televisioni satellitari, cosa dice la Legge islamica a riguardo dell’aborto, quanti siano gli abitanti del Kurdistan siriano, cosa vuol dire “khdiourye”, ovvero “una frase che usava sempre il mio fidanzato algerino”. E così via, in una sorta di intervista infinita, in una sorta di raccolta di mirabilia orientali. Al punto che l’islamistica spesso finisce per credere che quello sia in definitiva il suo ruolo culturale, cadendo in una trappola che lo inchioda definitivamente nelle pastoie dell’Orientalismo.

La cosa assume anche sfumature offensive, quando non si è in grado di rispondere prontamente. L’islamista è screditato, non viene più interrogato perchè tanto “non serve a niente”. Ma il problema non sta in lui quanto in ciò che si ritiene che egli debba sapere. Spesso poi la domanda è mal posta, nel senso che in sé contiene già in sé un vizio di forma, un pregiudizio, un luogo comune “orientalista”. Il “curioso” pensa che se l’islamista ha scelto di studiare “cose così strane” ha il compito non solo di spiegare ma anche di “giustificarsi”. Il primo non si rende conto di aver chiesto implicitamente al secondo di avallare una impostazione errata. E sembra quasi una colpa il fatto di usare “due minuti” per correggere l’errore.

Come se non bastasse l’islamista è poi il ricettacolo di tutte le diffidenze arcane e ataviche di questa base sociologica occidentale. In molti casi sembra che l’islamista si “metta dalla parte del nemico”, sia “contro la democrazia e i diritti umani” o comunque si sia cacciato in una posizione che “giustifica” le efferatezze di un dittatore o sottoscrive le deficienze di un popolo o ritiene che una regione “debba rimanere sottosviluppata”. Ciò avviene in particolar modo nel caso in cui il “curioso” si sia formato da sè, per comodità, delle categorie comparative “islam-occidente”. Il topos più conosciuto è quello riguardante la “guerra santa”, un’espressione che, nata “contro” l’islam al tempo delle crociate, è divenuto di uso comune per definire un un concetto islamico come il jihad.

E poi: come reagire ad affermazioni come: “tutto sommato il velo islamico è molto simile a quello che si mettevano le donne del sud fino a pochi anni fa”? Implicitamente questa è una frase razzista sia nei confronti delle donne musulmane che delle donne del sud, ma non c’è modo di spiegarlo in maniera breve.

Una difficoltà ulteriore nasce poi quando il “soggetto” dell’indagine è a sua volta “orientalizzato” alla maniera occidentale, ovvero è così subalterno al discorso occidentale da aver assunto in via definitiva le caratteristiche che gli sono attribuite dall’esterno. La cosa accade molto più spesso di quanto non si pensi perchè, vista la sua subalternità, il soggetto del discorso si identifica in maniera oppositiva e quindi speculare rispetto all’occidente. L’islamista, a quel punto, appare lui stesso come uno che “assolve il cattivo”: preso com’è dal “fascino per l’oriente” e troppo chiuso nella sua libresca torre d’avorio, è incosapevolmente “balzato dall’altra parte della barricata” e viene considerato come un burattino.

Altro retro-problema, derivato dal precedente, è che l’islamista deve sempre prendere una posizione politica. Non è possibile non dichiarare a priori il proprio essere pro o contro Khomeini, Saddam Hussein, Bin Laden e compagnia. Se, messosi sulla difensiva, l’islamista decide di avere un profilo basso – quasi quietisticamente accettando questo stato di cose e scoprendosi un conservatore – cade in trappole ancora più rischiose.

Negli anni ho cercato di rispondere all’urgenza di uscire dallo steccato. Mai ne sono uscito davvero, anche se della marginalità mi sono fatto una ragione. E l’unica cosa che tengo sempre a mente quando parlo di islamistica è: “chiudi in trenta secondi”. Per trenta secondi, infatti, un ascoltatore ti segue, oltre quella soglia ti derubrica, ti classifica in una delle categorie di cui sopra.