Se si dimette un Viceministro di al-Asad
Oggi un Viceministro siriano si è “unito ai ribelli”.
Non voglio speculare sulle sue motivazioni (i ministeri del petrolio nei paesi arabi sono spesso uno Stato nello Stato, con importanti contatti da paese a paese).
Ma questa notizia resta molto importante:
- Assad ha una base sociale, questa base sociale è rappresentata nel suo governo. Se si dimette solo un vice ministro non è determinante, se iniziano ad essere parecchi è un sintomo evidente che la base sociale di Assad gli sta voltando le spalle. Gli uomini di governo, sopratutto in una dittatura, rappresentano l’unica “opposizione” possibile, e sono gli unici a poter utilizzare i mezzi di media ufficiali per diventare popolari. Quindi sono spesso capaci di crearsi una loro base di potere, oppure rappresentano “abusivamente” minoranze (etniche, religiose ecc.) garantendo la pace sociale e portando al centro le istanze della periferia con pratiche di patronage e di clientelismo.
- In Libia il regime è caduto proprio perché una moltitudine di ex ministri e ministri, diplomatici, magistrati, ambasciatori, giornalisti di regime, generali, burocrati, ecc. ecc. gli hanno voltato le spalle. La rivoluzione libica è stata anche una lotta interna al regime, il CNT alla nascita era pieno zeppo di “riformisti” degli anni ’90-2000, figure di primo e secondo piano del governo, spesso legate a Saif al-Islam Gheddafi, spesso legati al Ministero del petrolio, talvolta “emarginati” da Gheddafi che li considerava troppo potenti o indipendenti. Nelle mie corrispondenze li definivo “badogliani” ed il loro ruolo effettivamente ha ricordato per molti aspetti quello dei “badogliani” italiani. Il PNF si è svuotato l’8 settembre, migliaia e migliaia di fascisti divennero afascisti o addirittura antifascisti moderati dalla sera alla mattina. Questo fu determinante per isolare Mussolini e i suoi neo-fascisti della RSI e per permettere agli antifascisti “doc” di tornare all’assalto. Inoltre contribuì in maniera quasi determinante nel produrre uno scollamento tra il regime e la borghesia industriale ed agraria che fino ad allora lo aveva sostenuto strenuamente (ed anche questo in parte si è verificato in Libia, dove il CNT “garantiva” -con un successo molto parziale diremmo con il senno di poi- che la nuova Libia sarebbe stata liberale e non dominata dall’altra opposizione, molto forte militarmente come il PCI in Italia negli anni ’40, che era quella religiosa salafita o meno e quella berbera/regionale).
Nulla di tutto ciò è ancora successo in Siria. Il regime, fino ad ora, è sempre apparso monolitico. O al massimo ha visto perdere consenso nella sua base sociale e nella base del partito, sopratutto secondo coordinate geografiche, etniche, religiose, generazionali e di classe. Ovvero: vero meno sostegno al sud-ovest, meno curdi, meno sunniti, meno giovani e meno reclute dell’esercito, oltre, sopratutto meno contadini-operai-disoccupati-sottocupati sostengono il regime rispetto al 2001, mentre l’erosione di consensi al nord-ovest tra arabofoni, sciiti, di mezzà età, ufficiali superiori dell’esercito e funzionari dello stato, borghesi ed imprenditori è stata si avvertibile, ma dall’impatto ancora piuttosto modesto).
Piccola aggiunta:
In Libia l’opposizione era (sto semplificando) tripartita. C’erano i giovani neo-laureati sotto occupati che sono stati il vero motore della prima rivolta, ma che non sarebbero stati capaci di vincere.
C’erano quelle che potremmo definire, usando le categorie sociologiche di Bonomi, “comunità di rancore”, ovvero i figli di 40 anni di repressione e di epurazioni, i parenti dei fucilati e gli esiliati, le loro famiglie, concentrati sopratutto in alcune zone (non a caso Misurata, i centri berberi dentro e fuori i Nafusa, la Cireanica), disuniti politicamente su tutto (le vittime di Gheddafi andavano dai salafiti ai socialisti) ma desiderosi di una cruenta vendetta (che hanno poi ottenuto). Loro erano la potenza militare, non a caso spesso i comandanti più in vista della rivoluzione erano esiliati o ex incarcerati.
Ed infine c’era una “comunità di timore”, ovvero una classe politica in parte “riformista e liberale” cresciuta all’interno del regime, che stava perdendo potere e temeva di essere sacrificata nella porssima epurazione (a cui si mescolavano maneggioni come Jalil, Younus e altri vecchi volponi della politica di regime, che erano in crisi con Gheddafi), questi ultimi sono stati i dirigenti del CNT e li ho definiti “Badogliani”.
In Siria manca completamente proprio questo terzo gruppo, mentre abbonda il secondo. Questo perché dal 1973 in Siria non si è più fatta un’epurazione del partito al governo, e quella del ’73 resta piuttosto un’eccezione (in Libia invece erano state 5-7 tra maggiori e minori, dal ’69 ad oggi).
Quindi il partito era ed è piuttosto compatto e chi ne fa parte si sente sicuro.
Mentre le “comunità di rancore” sono tutte interne alla vecchia opposizione mille volte repressa e sconfitta (islamisti, socialisti, nasseriani, liberali, curdi ecc.), semplicemente il numero dei rancorosi, dopo 50 anni di regime, ha raggiunto livelli molto elevati, con figli e nipoti cresciuti nel ricordo dei vecchi torti subiti e mai saldati.
Anche qui i “giovani” (spinti però, più che altrove, dalle condizioni difficili dell’economia e sorpatutto dell’agricoltura, con un diffuso malcontento contadino) hanno fatto saltare il banco, aggregandosi alla cosidetta “primavera araba”, e dando coraggio alle mille “comunità di rancore” di mettersi in moto.
Però queste sono e restano divise, e nemmeno provano (come in Libia) a far finta (sottolineo “finta”) di avere un programma comune liberal-democratico.
Non esite un solo organo rappresentativo di tutte le forze d’opposizione siriane, ed anzi nel territorio accanto al SNC (a guida islamista e sponsorizzato dall’occidente) e alle organizzazioni tradizionali della sinistra (NCC, Syrian National Rally ecc.) si sta aggiungendo un terzo soggetto di comitati di base assai difficile da valutare per mancanza di informazioni trasparenti.
E in aggiunta a tutti questi c’è l’esercito siriano libero che non è nato da un’ammutinamento di un pezzo dell’esercito regolare (come in parte è avvenuto in Libia) attorno al quale si è provveduto ad addestrare le reclute civili, ma dalle defezioni individuali e con l’aiuto della Turchia. E che ormai si propone quasi come una quarta forza politica. Pur senza riuscire ad addestrare eventuali nuove reclute e quindi, anche qui a differenza della Libia, senza riuscire a crescere operativamente e numericamente.
è anche per questo che non si bombarda in Siria, perchè le forze militari ribelli non sono in grado di prendere il potere non appena qualcuno gli sfonda un po’ di porte a suon di bombe. (ed anche in Libia ci sono voluti circa 6 mesi perché le reclute fossero doverosamente addestrate e rese in grado di combattere un po’ peggio, ma competitivamente, dei regolari rimasti fedeli a Gheddafi).
Vedo che anche voi, comunque, applicate il modello libico. C’è poco da fare: l’approccio alla questione siriana è di tipo libico, se non altro come riferimento per una comparazione. Il segretario generale della Nato, d’altra parte, l’aveva detto: “il modello di intervento in Libia è perfetto ed efficace: pronto per essere applicato ad altre realtà”.
Detto, fatto. Quando hai il martello ogni problema diventa un chiodo.
Zerco, a dire il vero c’è anche una comparazione con l’Italia. E cmq è vero che per la NATO c’è un modello libico. Si vedano le mail di Stratfor, specialmente quella che fa riferimento a forze militari straniere già presenti in dicembre.
Io in realtà puntavo, con la comparazione, a evidenziare le differenze.
Poi l’approccio internazionale alla questione ha alcune similitudini, purtroppo.
Ma anche qui, esistono delle differenze, perché che la Libia e la Siria siano quasi agli opposti estremi, come modello di sviluppo nel mondo arabo, è un fatto noto e risaputo anche nelle cancellerie occidentali.
Ed è anche per questo che spero che il “problema siriano” non diventi un chiodo per il martello NATO.
Lo è già. Hai altre speranze?
NATO e americani hanno un grosso problema ad applicare il modello libico. Ricito la mail e a questo punto la linko qui
NATO e Americani non riescono ad applicare il modello libico “perfetto” (quello di Rasmussen) perché non sono riusciti a strutturarlo nel Consiglio di Sicurezza con una risoluzione stile 1973: essa era organica al progetto, così come unificare i gruppi armati (a Tunisi o in altro modo). A questo punto stanno adattando il modello spurio (senza la copertura Onu e con alleati sul campo divisi) che prevede la “liberazione” di una città del paese, il suo riconoscimento come zona franca e il suo utilizzo come avamposto per il rovesciamento dello stato “alla Bengasi”: è stata scelta Homs perché città più vicina al confine libanese, da dove possono entrare più facilmente le armi e gli armati.
Problemi anche qui: non sono riusciti a liberare Homs e Bernard Henry Levy se ne è rimasto a casa. Se Nato e Americani “hanno un grosso problema” ciò non vuol dire che siano impegnati di meno.
Terrei anche in considerazione il fatto che tra tutti i gruppi dell’opposizione libica solo uno sparuto e (per lo più) sconosciuto collettivo anarchico di Tripoli si è opposto ai raid NATO.
Mentre moltissimi oppositori di al Assad sono contrari all’intervento, tutta l’opposizione di sinistra porgressita e i gruppi laici (che anche per questo la diplomazia NATO ignora in blocco, tra l’altro condannano anche l’embargo), alcuni comitati locali, pezzi minoritari del CNS (sono curioso di capire cosa dicono i pochi cristiano-assiri del CNS, non l’ho ancora ben capito), ecc.
Persino alcuni esponenti dell’esercito libero siriano non sono entusiasti di una no fly, anche se ufficialmente la chiedono.
(ed inoltre la stessa Turchia, impegnatissima a favore dei ribelli, ha qualche perplessità a fare il salto di qualità).
Certamente questa situazione non può durare all’infinito. Persino qualche iraniano starebbe pensando di scaricare al Assad.
Mi permetto di dire che il vice ministro che si è dimesso è un passacarte dei passacarte. Il governo in Siria, come le altre istituzioni e da dieci anni come il Baath, sono parte del potere di facciata, non del regime vero e proprio. A mio avviso la sua defezione può avere importanza a livello simbolico, ma non di più. E continuo a esser convinto che i paralleli con lo scenario libico sono a dir poco forzati.
infatti, secondo me, la notizia era non tanto che si fosse dimesso il ministro del petrolio, ma che in Siria ci fosse un “ministero del petrolio”, dato che, dati alla mano, la Siria non è proprio né un grande produttore, né un grande esportatore…
D
Si, ma non è nemmeno irrilevante.
Oscilla tra il 45 e il 55 paese esportatore al mondo.
L’Iran ad esempio esporta 3.557 milgiaia di barili al giorno (fonte wiki), l’Arabia saudita 8.184, gli Emirati Arabi 2241, la Siria 155, pur consumandone parecchio per uso interno (circa il 50%, il sistema di produzione di energia elttrica siriano pare sia vecchio, inefficente e assetato di petrolio).
La produzione mondiale è di circa 70.000 migliaia di barili al giorno, quindi le 300-320 sono “poche”.
Ovvero il petrolio siriano non incide sull’economia-mondo con un ruolo determinante e strategico.
Però son comunque soldi e interessi, con quello che vale oggi il petrolio nemmeno troppo limitati.
E poi il petrolio verrebbe soprautto dal sud-est e dalla zona al confine arabo-curdo, ovvero da una zona sensibile.
Per chi vuole trovare conferme al fatto che la Nato non vede l’ora di rovesciare a suon di bombe al Asad e che la Siria pullula di cattivoni occidentali, si legga questo. http://www.informarexresistere.fr/2012/03/09/i-giornalisti-combattenti-di-bab-amr-2/#axzz1ockVSVUY
Mi chiedo: se in questo mondo è possibile dire tutto e il contrario di tutto, ciascuno con la sua “autorevolezza”… perché continuare a fare questo mestiere? Allah Suriya Bashar w bass!
Thierry Meissan, autore dell’articolo che citi, è “embedded” anch’egli. Giusto perché tu lo sappia. Leggi il post di oggi sulla Siria, cmq. Ciao.