Cibo halal in Italia: la guerra dei certificatori e altre vergogne
Una storia per certi versi divertente, per altri no.
La scrive AnnaMaria Aisha Tiozzo , che Martino Pillitteri sul Sole24ore definisce “consulente di marketing islamico e di certificazioni religiose” per YallaItalia, un “blog delle seconde generazioni”. Io la riporto, con commento.
Durante l’ ultima edizione di Cosmoprof a Bologna, sono stata riconosciuta e fermata da un’azienda che si dichiarava “preoccupatissima” per una questione halal.
Non avrei dato peso alla cosa, se nei giorni successivi altre aziende non avessero chiamato per sottopormi inquietanti domande su quello che e’ stato buffamente definito da un imprenditore “controllo di polizia halal”.Questi i fatti.
In febbraio la ditta A, certificata da un ente di certificazione halal italiano B, riceve via fax una richiesta in inglese (!) di una presunta autorita’ internazionale halal (presunta in quanto le aziende stesse dichiarano di non essere riuscite a risalire ad un indirizzo della supposta sede saudita (!) dell’ ente), riconducibile ad un ente di certificazione C italiano con sede a Bari. A quanto pare “competitor” (che brutto questo termine quando si parla o si dovrebbe parlare di religione…) dell’ente B.
La “presunta autorità” (ho letto il fax, vedi oltre) è questa “Halal International Authority” che effettivamente sul suo sito da ben poche spiegazioni di sé.
Puoi contattarli, puoi vedere diversi video che riguardano solo l’Italia, tranne uno, che si riferisce all’inaugurazione del quartier generale del World Halal Food Council di Jakarta, è tratto da Press TV, e non cita in nessuno modo la HIA, sebbene altre fonti citino l’Italia nel network del WHFC.
Cos’è questo WHFC? E’ un organismo nato nel 1999 in Indonesia (for dummies: il paese musulmano più popoloso al mondo) che, dopo aver tolto e poi reinserito la parola “food” nella propria denominazione, si ripresenta questo gennaio con le seguenti visioni, missioni e impegni (traduco dal sito):
Visione e missione
- unità e forza dell’organizzazione
- il WHFC è nato nel 1999
- ottenere uno standard mondiale per aderire alla Shari`a islamica
- salvaguardare gli interessi della comunità musulmana
- tutti i membri devono riconoscersi e rispettarsi
- costanza nel seguire le linee guida
- lottare per ottenere un unico sistema mondiale halal
Impegno dei membri
- adottare e implementare lo standard WHFC
- proteggere l’interesse del WHFC
- rimanere leali al WHFC
- non danneggiare la reputazione del WHFC
- unità e forza dell’organizzazione
Si tratta dunque di un’organizzazione che, sebbene abbia nella sua denominazione la parola “mondo”, non è mondiale e che opera in regime di concorrenza, come tante altre organizzazioni: non detiene il Verbo del mercato halal anche se nella sua “visione” vorrebbe.
Al meeting di gennaio erano presenti i delegati di diversi paesi, ma ciò non significa che ad esso fossero presenti le realtà più importanti di quei paesi, né che quelli siano paesi in cui il mercato halal va per la maggiore.
Ecco l’elenco dei paesi di provenienza delle delegazioni: Stati Uniti, Belgio, Svizzera, Germania, Olanda, Italia, Spagna, Polonia, Turchia, Brasile, Australia, Nuova Zelanda, Taiwan, Malesia, Filippine, Singapore.
La HIA esibisce sul suo sito una quantità di loghi di organizzazioni e/o entità più o meno conosciute di cui è partner: il suddetto WHFC, ICCI (Islamic Chamber of Commerce and Industry, la Majelis Ulema Indonesia (cioè l’organizzazione che ospita nei suoi uffici il WHFC), la Lega Islamica Mondiale (che col cibo non ha moltissimo a che fare).
Esibisce anche loghi che recitano “halal made in Italy, halal made in Egypt, halal made in Saudi”.
Tutti questi loghi non rimandano a link e il sito, in generale, non fornisce indicazioni circostanziate: potrei averlo messo in piedi io.
Mi ci sono messo di punta, come si suol dire, e ho trovato un newletter della HIA del gennaio 2012.
Si presenta così:
I due loghi che vedete in alto sono quello della HIA, a sinistra, e quello di Halal Italy, a destra.
Al termine del Newsletter si trova finalmente qualche indirizzo:
Come vedere i riferimenti sono a una sede di Bari e a una sede di Milano, ma il sito indicato non è quello della HIA, bensì quello di Halal Italy.
Andando sul sito di Halal Italy compare una finestra che ci informa, fra le altre cose, del fatto che la HIA è anche conosciuta come Halal Italy.
Che, insomma, HIA e Halal Italy sono praticamente la stessa cosa, il ché è confermato dal comparire di entrambi i loghi nella pagina di Halal Italy.
Nella pagina di benvenuto del sito di Halal Italy, in esordio, si legge che:
HALAL ITALY AUTHORITY Ente di Certificazione Halal è l’Organo UFFICIALE ed UNICO di Certificazione di Qualità Halal in Italia in rappresentanza dell’Autorità Internazionale di Certificazione Islamica, la HALAL INTERNATIONAL AUTHORITY (HIA), che è Autorità indipendente riconosciuta dalle Organizzazioni Governative, Organizzazioni non Governative, Associazioni dei Consumatori Halal e dalle Autorità e Rappresentanze Religiose dell’Islam nel mondo.
Cioè, in altre parole: Halal Italy e Halal International Authority sono praticamente la stessa cosa ma l’una riconosce l’altra in base a credenziali assolutamente discutibili. Anche l’ufficialità e l’unicità di questo organo sono assai discutibili.
Solo nel secondo paragrafo si spiega che la HIA è riconosciuta dal MUI e dal JAKIM che sono rispettivamente le autorità indonesiana e malese per la certificazione halal.
Di certo due organizzazioni importanti nel panorama del mercato halal ma allo stesso tempo organizzazioni nazionali.
Definirsi “authority internazionale” in base al fatto che due organismi nazionali ti hanno riconosciuto è a dir poco depistante.
Inoltre, a quanto mi risulta, l’unico organismo per la certificazione halal che abbia avuto un riconoscimento a livello istituzionale è Halal Italia, un’organizzazione concorrente che esibisce a sua volta i propri loghi, le fonti della propria autorità etc. (segui i link per leggerne) e che risulta ai miei occhi altrettanto fumosa, ma per motivi parzialmente diversi.
Interessante notare che il sito di Halal Italia ha per indirizzo halalitalia.org ma che esiste un altro sito halalitalia.info, di un “Movimento Halal in Italia”. Questo sito è praticamente vuoto (nella sezione “chi siamo” non c’è scritto niente) se non nella sezione delle news, molte delle quali fanno riferimento alla HIA o a Halal Italy.
Sul sito di Halal Italy, comunque, compaiono altri loghi, in numero maggiore rispetto al sito della HIA. I video, invece, sono praticamente gli stessi. Ma proseguiamo con Tiozzo:
Il fax, inviato all’azienda ed in cc al dipartimento di ispezione e controllo di un denominato ente halal consumer (facente anche esso parte dell’ ente C) ed ai dipartimenti di controllo e sorveglianza degli sharia board dell’ente C in Europa (pure! mancano ovviamente gli indirizzi….), annuncia un’attivita’ di ispezione e controllo ed intima alla azienda di mettere a disposizione documenti, uffici, personale,ecc. Intima inoltre di comunicare una data per accogliere questa ispezione entro 3 settimane dal fax stesso, pena, udite udite, l’inizio delle procedure di disqualifica, risultanti nella pubblicazione sui media e nell’avvio di azioni legali.
Questa HIA, insomma, che è praticamente una scatola vuota, si mette a fare ispezioni in base ad un’autorità autoproclamata. E usando anche toni perentori, agitandosi molto.
Tra gli illeciti piu’ palesi, l’uso in calce di loghi di associazioni internazionali stimate e riconoscibili le quali, interpellate, si dichiarano estranee a detta iniziativa. Quanto c’e’ di halal in questo tipo di azioni maldestre?
In Italia sembra ormai in atto la “guerra halal”, che rischia purtroppo di ridicolizzare un’esigenza religiosa molto seria e sentita.
Ci si domanda perche’ un ente, che lega la sua immagine ad associazioni commerciali, consorzi, camere di commercio pugliesi e a consolati onorari come quello dei Paesi Bassi (che c’ azzeccano?), senta la necessita’ di azioni che giocano sull’ignoranza delle aziende italiane e sulla facile, troppo facile spendibilita’ (anche a fini non proprio ortodossi ) della parola “internazionale “.Nell’ attesa che il governo italiano si occupi della protezione dei consumatori islamici e non solo della certificazione come opportunita’ commerciale (e per inciso, sottolineano alcuni enti di certificazione italiani, non favorendo un solo centro rispetto ai numerosi presenti in italia, ma garantendo a tutti le medesime opportunita’), lo stesso centro di certificazione halal barese annuncia tra le sue attivita’ una riunione a settembre con le associazioni consumatori.
Speriamo almeno che sia per scusarsi.
Be’, adesso è venuto il momento di togliermi un sassolino dalla scarpa.
Lo scorso 30 giugno 2011 scrissi un post in cui confondevo Halal Italia e Halal Italy. La confusione era nata perché sul sito di Halal Italy avevo trovato la presentazione di una conferenza stampa (ora cancellato dal sito ma potete leggerlo qui) di “Presentazione protocollo di intesa tra Camera di commercio Italo- Orientale e Halal Italy per favorire le esportazioni verso oriente” nella quale si faceva riferimento a entità e organizzazioni che si trovano alla base del progetto concorrente, Halal Italia (l’organizzazione citata è il COREIS, Comunità Religiosa Islamica):
Il prodotto deve essere identificato con il logo dell’ente certificatore. Gli interessati ricevono innanzitutto il disciplinare tecnico di Certificazione Halal dal Comitato Etico della Comunità Religiosa Islamica nel quale sono espresse tutte le linee guida per la certificazione. In particolare i prodotti e i processi produttivi devono essere conformi alle normative italiane ed europee in tema di igiene e sicurezza alimentare. In seguito all’ispezione e alle indicazioni scritte dell’ispettore, l’azienda è in grado di mettersi in regola apportando le necessarie modifiche nella produzione. Dal confronto diretto tra azienda e rappresentanza islamica ha inizio una seria collaborazione per ottenere un prodotto di qualità, tipico della tradizione italiana, ma certificato Halal. Non sono pochi i consumatori non musulmani che acquistano i prodotti Halal perché ritenuti sicuri e garantiti sotto l’aspetto qualitativo.
Un tal Omar Gattieri me lo fece presente, nei commenti, affermando (tutto maiuscolo):
SI PREGA DI CORREGGERE L’ARTICOLO DA LEI SCRITTO, IN QUANTO L’ACCORDO FIRMATO CON LA CAMERA DI COMMERCIO ITALO ORIENTAEL DI BARI, E’ STATO FIRMATO CON HALAL ITALY (WWW.HALALITALY.ORG), CHE OPERA DA ANNI IN ITALIA NEL MERCATO DEL HALAL, CHE E’ LA FILIALE ITALIANA DELL’AUTORITA’ INTERNAZIONALE DI CERTIFICAZIONE, SVILUPPO, ACCREDITAMENTO E TUTELA DEL MERCATO HALAL, E NON CON HALAL ITALIA, COME DA LEI INDICATO NELL’ARTICOLO. SI PREGA PERTANTO DI PROVVEDERE IMMEDIATAMENTE ALLE CORREZIONI NECESSARIE.
GRAZIE.
Ed io risposi nel testo nel modo che segue:
* Visto che qui arrivano proteste [vedi commenti] vi spiego il legame esistente fra Coreis, Halal Italia e Halal Italy.
Il pezzo che ho citato sopra lo trovate sul sito di Halal Italy.
Il “Comitato Etico della Comunità Religiosa Islamica” che vi si cita è del Coreis.
La cosa è spiegata sul sito di Halal Italia.
Se c’è qualcosa di sbagliato in tutto ciò mi si spieghi perché Halal Italy fa copiaincolla da un articolo che ritiene contenere errori.
Nel caso io non c’entro nulla e, anzi, invito quelli di Halal Italy a fare più attenzione nel curare i propri interessi.
E invito quelli della Camera di Commercio Italo Orientale di Bari a esplorare meglio il magico mondo degli impicci halal italiani.
Quelli di Halal Italy dovrebbero anche spiegarmi la seguente frase che compare sul loro sito:
HALAL ITALY AUTHORITY è inoltre riconosciuta in Italia, sotto il profilo giuridico religioso, dal Consiglio Superiore Islamico in Italia, somma Autorità di studi islamici in Italia, nonché dalla Comunità Islamica in Italia
Perché non esiste in Italia alcun Consiglio Superiore Islamico, dunque esso è ben lontano dall’essere “Autorità di studi islamici in Italia”.
Invece la Comunità Islamica in Italia sembra essere una scatola vuota. Se a qualcuno interessa, andatevela a vedere:
COMUNITA` ISLAMICA IN ITALIA
Via Bernardo Quaranta, 54
20139 MILANO (MI)
tel.: 0256814848Entrambi le entità compaiono solo in relazione a Halal Italy.
Dai, ragazzi, manifestatevi, sono pronto, prontissimo a smentire.
Inoltre, nei commenti, aggiunsi:
Sharif Lorenzini, Mohamed Elkafrawy, Fabio Spilotros, Carmen Vocaturo
https://in30secondi.altervista.org/2012/03/28/cibo-halal-in-italia-la-guerra-dei-certificatori-e-altre-vergogne/Fuori misuraIslamercatocoreis,halal,halal italy,islam,italia
A questo punto si inserì il giocoso e sarcastico Mizam, uno dei migliori lettori che un blogger possa mai immaginare di avere, e anche un buon musulmano, a quanto so:
E poi:
E poi:
E infine:
Omar Gattieri rispondeva poi:
Ero sincero, ovviamente. E il mio errore era assolutamente giustificato da quanto avevo trovato sul sito di Halal Italy. Inoltre non sono mai stato tenero con il COREIS che ritengo essere un’accolita di lobbisti che speculano sul fatto di avere la cittadinanza italiana (la stragrande maggioranza dei musulmani residenti in Italia, caro Ministro Riccardi, non ha la cittadinanza e quindi può contare poco o niente nella costruzione di un modello di convivenza davvero funzionante) e contemporaneamente essere musulmani.
Essendo sincero non seguii il consiglio di smettere, anche perché quello più che un consiglio suonava come una minaccia.
Risposi:
A questo punto interveniva Ibrahim Gabriele Lungo che scriveva:
Ecco, la cosa per un po’ finì così. Mi sembrò di aver fatto informazione, pur avendo sbagliato.
Il mio post aveva scatenato una discussione, non avevo censurato nessuno, avevo messo in dubbio le mie affermazioni, insomma tutto a posto.
E invece no, perché qualche tempo dopo, il 12 luglio, mi arrivò da Altervista (in quel momento pubblicavo su altervista, non su globalist) la seguente comunicazione:
Pensare a Mizam come a un insultatore dell’islam mi ha fatto davvero incazzare.
Ma non potevo negare che l’errore vi fosse (seppur provocato), anche se avevo usato la policy di tenerlo in chiaro proprio per evidenziare gli errori che avevo commesso.
Risposi ad Altervista che avrei cancellato il post e lo feci, ma mi rimase il veleno.
Oggi scopro che il mittente di quel messaggio era appunto un rappresentante del “movimento halal in Italia”, cioè quell’organizzazione che ha messo in piedi il sito-scatola-vuota di cui sopra.
Ovviamente mi ero ripromesso di tornare alla carica una volta avuti elementi per farlo.
Ora lo faccio, grazie anche al pezzo di Yalla Italia.
Non so se siano peggio quelli di Halal Italia o quelli di Halal Italy. Entrambi, però, vivono e prolificano grazie all’improvvisazione delle iniziative dei governi italiani su temi importanti.
Sveglia, cari.