Maometto e i suoi fratelli
Vi aspettano 30 secondi di noia, ma a volte c’è bisogno anche di questo.
Si è discusso in questo blog dell’insufficienza delle macchine nello scrivere parole e nomi arabi, e degli sviluppi di nuove tecnologie per ovviare a ciò. Ma il problema è preesistente alla comparsa dei computer, ed è semplicemente linguistico-alfabetico: l’incompatibilità dei sistemi di scrittura latino e arabo e le diverse pronuncie e ortografie delle varie lingue del mondo.
Tuttavia la sfortuna incontrata dai nomi e parole arabi nel venir trascritti in una singolare molteplicità di varianti è eccezionale.
Un esempio: il nome proprio Yūsuf (pronuncia classica: yūsuf) viene trascritto Yusuf, Yousuf, Yussuf, Yusif, Yousif, Yussef, Youssef.
Laddove il dittongo ou viene utilizzato da quelle lingue in cui il grafema /U/ non ha una pronuncia univoca (come invece l’italiano), la /S/ si raddoppia per evitare che venga pronunciata “dolce” (come nel caso della /S/ intervocalica italiana), e infine la vocale breve u dà effettivamente varianti dialettali il cui il timbro è a volte intermedio fra u e i, e dunque lo si inventa.
Ma questo non è ovviamente il solo caso, Eccone alcuni (arricchite voi l’elenco).
Partiamo dal nome dell’Arabo più famoso del mondo, il Profeta:
Muḥammad ibn `Abd Allāh (pronuncia classica: Muḥammadubnu`abdillāh).
I seguenti non sono fratelli, sono la stessa persona (ossia lo stesso nome):
Muḥammad: Mahomet, Macomet, Maometto, Muhammed, Mohammed, Mohamed, Moamed, Mhamed, Mehmet (alla turca).
ibn (figlio): bin, ben, b.
`Abd Allāh: Abdallah, Abdullah, Abdellah, Abdalla, Abdulaye (alla senegalese), Abdul, Abdouh (ipocoristici).
Ma questo era facile.
Altri esempi di nomi composti con `Abd (=”servo” o “uomo”):
– `Abd al-Raḥmān (pron. `abdurrahmān): Abdalrahman, Abd-elrahman, Abdurrahman, Abdelrahman, Abderrahmane, Abdul Rahman, Abdoul Rahman;
– `Abd al-`Azīz (pron `abdul`azīz): Abdalaziz, Abdulaziz, Abdelaziz, Abdul Aziz, Abdoul Aziz, Azziz;
– `Abd al-Naṣr (pron. `abdunnaṣr): Nassèr (!).
Tre fratelli sfortunati:
Aḥmad, Ḥāmid e Ḥamad, spesso si fondono in un unico “Amed”.
Allo stesso modo due fratelli non gemelli, Sa`īd (=”felice”) e Sayyid (=”signore”), diventano addirittura siamesi: Said.
Più fortunati i due fratelli Ḥasan e Ḥusayn:
Hasan, Hassan, Assan;
Hosein, Hussein, Ahsen, Ahseen (versione dialettale).
Fra i più bistrattati quelli della famiglia dei “din”, fra cui:
– Ṣ alāḥ al-Dīn (pronuncia classicaṣalāḥuddīn): Saladino, Saladin, Salaheddin;
– Nūr al-Dīn (pron. nūruddīn): Norandino, Nureddin, Nouredine, Nour Eddine, Nooreddin, Nuruddin, Nuroddin;
– `Alā’ al-Dīn (pron. `ala’uddīn): Aladino, Aladin, Aladdin, Alladin, Alaeddin;
– Zayn al-Dīn (pron. zeinuddīn): Zinedine.
– `Izz al-Dīn (pron. `izzuddīn): Ezzedine, Ezzeddin, Ez Eldin, Iz-addin.
Casi estremi francofili:
– Mas`ūd: Messaoud (oltre a Masood, Masud e addirittura Mashud);
– Šukrī: Choukri;
– `Abd al-Wadūd: Abdelouadoud.
Vediamo qualche titolo:
– šaykh (pron. šeiħ): sceicco, scheich, cheikh, cheïkh, shaikh, shaik, sheih;
– imām: iman (!!!).
Quando indicano cariche della gerarchia sciita persiana e quindi rispettano quella pronuncia, sono invece a mio parere accettabili i vari Ayatollah, Ruhollah, rispetto all’originale arabo Āya Allāh, Rūḥ Allāh
E poi l’intramontabile:
al-qa`ida: al-qaeda, al-qaeida, al-caeda, alquaida (diminutivo?), ecc.
D
PS. Va detto che dietro le grafie dei vari nomi ci sono non solo l’inadeguatezza dell’alfabeto latino o l’approssimazione e l’impreparazione dei giornalisti, ma anche le diverse pronunce regionali dei vari nomi, la diversa tradizione francofona o anglofona dei diversi paesi che redigono i passaporti plurilingui.
In attesa che macchine intelligenti ci risolvano il problema, la speranza è che per lo meno si adotti, come avviene in arabo, una grafia non dico scientifica, ma uniforme per i vari nomi (es. Muhammad) e che poi ognuno li pronunci come gli pare.
Secondo me ci sono ordini diversi di problemi:
a) gli adattamenti a lingue straniere come “Maometto” (sorvoliamo sulla crasi etimologica con “mal commetto” che non ha praticamente piu’ nessun significato nemmeno per i sostenitori della Fallaci) “Averroe’ ” o “Saladino”. Queste sono a tutti gli effetti parole italiane il cui uso e’ accettabile, anche se quello della parola originale e’ preferibile. Visto tuttavia lo stato caotico delle trascrizioni, non voglio pensare a cosa accadrebbe se sui manuali di filosofia si scrivesse “Ibn Rushd” (o “Rouchd”, magari. Appunto).
b) le trascrizioni fatte in base alle pronunce, complice la scrittura difettiva araba, da vari dialetti arabi o dal persiano o dal turco o dalle lingue dell’India e dell’Indonesia
c) le trascrizioni fatte in base alle pronunce nelle lingue di destinazione, con i vari “souk”, “deen” e altri orrori. In questo, si ha l’ulteriore sventura di avere come lingue egemoni d’Europa, e specie delle potenze coloniali dei paesi musulmani (esclusa l’Indonesia, che ha avuto i suoi bravi problemi anche per questo) l’inglese ed il francese: due lingue con un vocalismo molto articolato, al quale hanno dovuto piegare un alfabeto latino che non era e non e’ adeguato a rappresentarlo, in modi che ad un’analisi razionale fanno venire i brividi. Ovvero, due lingue di destinazione che hanno di per se’ grossissimi problemi con la LORO ortografia. L’inglese non si e’ mai preso la briga di razionalizzare il proprio sistema di scrittura mediante segni diacritici (o anche solo mediante un sistema di digrammi dotato di logica), a differenza di quasi tutte le altre lingue che usano l’alfabeto latino.
Il francese ha scelto un’ortografia basata sull’etimo (anche per evitare nella scrittura le numerose omofonie) e i risultati li sappiamo.
d) il fatto stesso che la fonetica dell’arabo, anche se non fosse resa da una scrittura difettiva, e’ quella che e’, cioe’ molto lontana da quella che l’alfabeto latino era stato pensato per rendere e da quella della maggior parte delle lingue maggiori che lo usano. Ce ci metti dentro turco e persiano, le cose peggiorano su tutti i fronti, fonetici e grafici.
e) infine, il provincialismo parrocchiale di chi non ha mai pensato che un utente di una tastiera inglese potrebbe avere anche bisogno di scrivere qualche parola in francese o spagnolo CORRETTI nella sua vita, e che non dovrebbe essere costretto a bestemmiare ogni volta che ci prova.
(invettiva mode:/on)Personalmente, non mi basta “Muhammad”, che, a differenza di محمد, non puo’ essere pronuciato “come si vuole” ma rende proprio la pronuncia classica/standard. Voglio poter scrivere il puntino sotto la h. Voglio poterlo scrivere ogni volta che mi pare e voglio che tutto il mondo lo possa leggere esattamente in quel modo, e voglio poterlo fare su qualsiasi software di uso comune senza che impazzisca e voglio che qualsiasi stampante me lo riconosca.
E mi rendo conto che nel 1990 poteva essere un problema perche’ i byte disponibili erano quello che erano, ma adesso non lo accetto piu’. Uffa. (invettiva mode:/off)
Ah, e meno code alle cabine del teletrasporto, ovviamente.
E meno code alle
poi naturalmente c’e’ Yamli: http://www.yamli.com/ar/
D’accordo con te su tutto, Fal. Una cosa sola, che poi è quella che animava questo post: anch’io vorrei poter mettere i puntini sotto le h, le t e le s semza dover smadonnare ogni volta. Ma c’è anche un conflitto, come dire, fra comunicatività e precisione: come conciliare l’esattezza filologica con la comprensibilità? Il puntino sotto la h lo capiscono solo gli arabisti, ma chiunque legga un giornale (o un articolo sul web) deve poter capire che il Hizballah e l’Hezbollah siano la stessa cosa, o che Said e Sa`id non lo siano.
D
Beh, per i cultori della pulp transliteration mi sentirei di raccomandare un testo:
Qanoon-e-Islam
or the Customs of the Mussulmans of India (Madras, 1863).
Già il titolo promette bene. L’autore ancor meglio:
Jaffur Shurreef.
L’indice una miniera inesauribile; forse il mio preferito è il grande wullee (“a saint who can perform miracles”) Furreed ood Deen, ovvero uno dei grandi wullees Chishtee , i quali sono una celebre “class of fuqeers “.
A proposito ma anche a sproposito: Lorenzo, non è che giovedì sei a To per Youssef Ziedan?
Cari salooti!
Su TO, io sono ancora indeciso se farmi il viaggio per sole 3 ore di presentazione, ma se ci fosse la possibilità di incontrare anche il poeta dell’epopoea di Giallabone e Burqinella, quasi quasi vengo…
D
Mizam, avremmo voluto esserci, io e Daniele, ma i casee della vita ce lo hanno impedito.
Tu vai?
Ci sono altri temi.
Si traslittera per fornire un “calco” scientifico della parola o della frase scritte in un’altra grafia. Si “trascrive” per rendere leggibile (e pronunciabile) la parola o la frase a chi non legga una determinata grafia. Nel caso della traslitterazione postuliamo una corrispondenza perfetta fra l’una e l’altra forma della parola, nel secondo rinunciamo in partenza all’idea.
In ambedue i casi, però, il viaggio grafia araba-latina non è perfettamente reversibile, o meglio una macchina non può, con gli indizi che le diamo con le nostre traslitterazioni scientifiche, “indovinare” come la parola traslitterata o trascritta in caratteri latini andrà ri-trascritta in caratteri arabi: anche la traslitterazione scientifica più accurata non assicura la reversibilità completa delle due forme della parola (pensate a tutti i tipi di alif, a un vasto gruppo di terminazioni che darebbero una “a” lunga ma che in arabo si scrivono con caratteri diversi), soprattutto perché l’intento della traslitterazione è la resa fonetica.
In altre parole ci sono tre piani:
1. pronuncia
2. traslitterazione (fonetica)
3. codifica
Il terzo dei quali non è stato ancora davvero affrontato dalla comunità scientifica (a quanto mi risulta).
Ora. In campo divulgativo, giornalistico ed anche – con qualche premessa – accademico, possiamo scegliere il piano della “pronuncia” e procedere a una trascrizione: è legittimo, visto anche che, ad esempio, in paesi diversi nomi scritti in caratteri arabi nello stesso modo si pronunciano in modi diversi. Però dovremmo stabilire una volta per tutte alcuni criteri. Scrivere “You” per “Yū” potrebbe anche andar bene, nel caso dell’inglese (non dell’italiano, ma questo è un altro discorso ancora), se non per il fatto che precedentemente gli inglesi la “u” la trascrivevano “oo”, come ricorda il nostro caro vecchio Mizam.
Insomma, va bene la “Babele”, ma scrivere in 3 o 4 modi diversi la stessa parola sullo stesso giornale è ingiustificabile.
Detto questo segnalo anche che sì, la scrittura araba è difettiva sotto il profilo della resa fonetica, ma è più analitica di quella latina in grammatica (es. ta marbuta, l’alif che regge l’accusativo indeterminato).
E dovremmo riflettere sugli effetti che ciò comporta nel contesto del discorso sulla diglossia.
Inoltre dovremmo anche ragionare sul fatto che, per il semplice motivo storico della colonizzazione, alcune aree del mondo “che scrive con caratteri arabi” è stato più o meno “anglofonizzato” (Pakistan, India etc.) o “francofonizzato” (Algeria, Tunisia etc.) e che quindi sono gli stessi “araboscriventi” che “si trascrivono” in un modo o in un altro.
A Youssef Ziedan abbiamo chiesto come desiderasse “essere trascritto” e lui ci ha risposto proprio “Youssef Ziedan”… come la mettiamo?
:-)
p.s. mi piace ‘sto discorso
Allora: io proprio, proprio, proprio non capisco che diavolo di fastidio dia il puntino a chi non lo capisce. Voglio dire, nessuno si secca se su un giornale una parola tedesca ha l’umlaut (cosa peraltro molto rara) anche se probilmente non lo sa pronunciare.
Un altro problema, ancora piu’ spinoso, sono le lingue, perlopiu’ di ceppo turco o dell’Indonesia, che hanno adottato in tempi recenti l’alfabeto latino, quello cirillico o, peggio, entrambi.
Per trascrivere l’ottomano e’ meglio usare la traslitterazione scientifica dall’alfabeto arabo-persiano adattato al turco o l’uso ortografico del turco moderno (soluzione piu’ comune). Stesso problema per il malese, con l’ulteriore guaio della tripla ortografia: grafia indonesiana basata sull’olandese (con due varianti ufficiali per la resa del suono U), grafia malaysiana basata sull’inglese, grafia Ejaan Baru (“nuova”, che in vecchia indonesiana sarebbe stata “Edjan Baroe” tanto per rendere l’idea).
Infine, le lingue dell’area ex-sovietica, per le quali si puo’: traslitterare dall’alfabeto arabo-persiano in scientifica, traslitterare dal cirillico, attenersi all’uso dell’alfabeto latino moderno (in qualche caso, recuperato: l’uzbeko per esempio adotto’ l’alfabeto latino PRIMA del cirillico, ma quello moderno differisce da quello usato negli anni Venti).
Dal momento che il cirillico in se’ pone dei drammi trascrittivi non da poco (Tschaikowsky!!!!)
il mal di testa e’ garantito.
sui puntini avresti anche ragione, ma mi è capitato il caso di una studentessa che l’arabo lo conosceva abbastanza, ma l’aveva studiato in Inghilterra. Al momento di preparare l’esame di letteratura su un testo italiano (con traslitterazioni scientifiche) sbagliava tutte le ghayn e le gim perché non sapeva (o onon era abituata a riconoscere) quale era indicata dal puntino sopra e quale dalla piccola v…
Per non parlare dei problemi della kha’… e della shin (chiunque è portato a leggere isciac cquel che scritto Ishaq).
D
E perche’ in Inghilterra non usano la scientifica? Imperialisti del piffero… :D
Comunque io sono favorevole alla J per la gim. Su ishaq, temo proprio che non ci si possa fare niente.
Lorenzo. In molte traslitterazioni si usa l’accento grave per la alif maqsura e il segno di lunga per quella tawila. Pero’ e’ vero che alcune cose restano non ricostruibili ( a meno di non conoscere la grammatica araba, e a volte neanche. Penso a certi nomi maschili terminanti in ta marbuta, ad esempio).
Siamo in piena dialettologia, cari.
Voglio dire: con un sistema di codifica io alla fine, dopo aver scritto un testo qualsivoglia nella maniera che più mi aggrada, dico: “visualizza i termini arabi in trascrizione inglese tardo coloniale” o ” “visualizza … i termini arabi traslitterati Encyclopédie de l’Islam style” etc. e il computer me lo fa.
Senza un sistema del genere continueremo a vivere nel ghetto perché “parliamo arabo 2 volte”.
No, non lo puoi fare. Nel senso che alcuni sistemi non sono abbastanza discriminanti e il tuo software non sapra’ se quella s sia una sin o sad, per dire. Non escludo che un software cosi’ sofisticato sia possibile, ma temo che non ripagherebbe i suoi costi, probabilmente notevoli.
Forse non mi sono spiegato bene, anzi sicuramente. Volevo dire: “dopo dopo aver scritto un testo qualsivoglia in caratteri arabi o con una decodifica scientifica”. Il problema è l’informazione che metti nel computer. Se la decodifica è scientifica e segna tutto ciò che c’è da segnare, il computer non deve far altro che eseguire sostituzioni.
Il relativo pippone su questo argomento lo trovi qui: http://www.islamistica.com/5w/traslitterazione.html (alla fine è un algoritmo).
Ok, ora ho capito. Mi ha confuso l'”inglese tardo-coloniale” sulla cui ‘scientificita’ avrei dei dubbi.
Per lavoro viaggio in Medio Oriente abbastanza frequentemente, e sono sempre stato confuso dalle diverse traslitterazioni dei nomi.
Aggiungo alla discussione la mia prospettiva di ignorante pressoche’ totale della lingua araba:
– io penso che la traslitterazione delle parole della lingua A nella lingua B debba avere come scopo quello di rendere, nell’alfabeto della lingua B, cio’ che piu’ si avvicina all’effettiva pronuncia della lingua A, usando, ripeto, l’alfabeto della lingua B. Non si puo’ pretendere che tutti conoscano le centinaia di diacritici che ci sono al mondo, quindi e’ necessario utilizzare cio’ che di piu’ vicino fornisce l’alfabeto “ricevente”.
– buona parte della confusione viene generata dagli arabofoni stessi (immagino a causa delle pronunce diverse dei diversi dialetti, ma forse non solo): ricevere, nella stessa riunione, biglietti da visita da Ahmed, Ahmad, Hamad e quant’altro e’ effettivamente complicato. Non esiste una qualche “Accademia della Crusca” per la lingua araba? Penso che debbano essere gli arabofoni stessi a spingere per l’affermazione di uno (o piu’) standard di traslitterazione, no?
No, non si puo’ fare. O meglio, se si fa, ottieni risultati come, per dire, Jazeera, Giasira, Dschasira.
Tanto per cominciare l’alfabeto latino, di suo, NON lo fa. E basta a dimostrarlo l’ortografia dell’inglese.
In secondo luogo, tu sai che sh, con buona approssimazione, uguale sc italiano. Ebbene, in arabo questo pone dei problemi, perche’ hai parole in cui una s e’ seguita da una h (ed entrambe le lettere possono esprimere DUE diverse lettere arabe).
Infine, al mondo non ci sono centinaia di diacritici. L’alfabeto latino in tutte le sue innumerevoli varianti ne avra’ al massimo una ventina, di cui quelli abbastanza comuni sono all’incirca dodici. Centinaia sono i modi in cui si usano, ma a te non serve saperli. Al massimo a te serve sapere come si usano per trascrivere l’arabo, e poi neanche tanto, se non sai l’arabo.
Niente che non si possa affrontare coi tasti funzione di una tastiera di computer. Se tu non li conosci, pazienza, ripeto.
Il guaio e’ che le tue premesse portano ad Ahmad/Ahmed/Amad, secondo me.
Poi sugli arabi che non traslitterano bene potrei fare una lunga filippica sulla subaltarnetia’, che risparmio a tutti. L’Accademia della Crusca non c’e’, e comunque anche quella italiana non legifera sul modo in cui le nostre parole vanno trascritte in arabo o in cirillico (e si vedono cose preoccupanti).
Mannajja, peccato… Dovrei esserci proprio giovedì a disquisire con Indra Sinha. Giallabone e Burqinella non vengono, sono ancora turbati dalle traslitterazioni, e lei non ha ancora trovato il miniqab giusto. Oh, a proposito, rieccoli…
(…) “Che ne dici o Burqinella
dei problemi di favella?
Nei messaggi allo zio Ali
Si confondon le vocali
Se poi scrivo alla Khadija
L’iniziale non si pigia,
E pel Cairo, in conclusione,
La mia firma è Gallabone”
“Resta quieto, o mio diletto,
Che il sistema fa difetto.
Scrivi pur come ti aggrada:
E’ già il mese di jumada.
Dopo l’awwal vien l’akhira,
E la cappa non aspira.
Sia camino o consonante,
Non mi par così importante.
La tastiera fa cilecca
Non ci si capisce un’acca!” (…)
personalmente, al di là delle vostre dottissime disquisizioni, ritengo che il punto non sia che non si può, non si vuole. mantenere diversità di trascrizione (non traslitterazione scientifica), soprattutto nei nomi propri – è semplicemente uno dei tanti modi per mantenere l’altro in stato di inferiorità.
@lorenzo: fammi capire tu e daniele siete i traduttori e NON ci siete se viene l’autore?
@mizam: bellissima
Esattamente, così va il mondo… e il budget…
Che si possa ma non si voglia, concordo. Che questo serva a mantenere l’altro in stato di inferiorita’, o meglio, che questo accada in modo consapevole, no. Voglio dire, la stessa cosa accade per le lingue che usano il cirillico, per quelle dell’India, e perfino per il cinese, che pure possiede un sistema di traslittarazione UFFICIALE universalmente ammesso.
Io trovo che la causa sia essenzialmente l’estrema diversita’ di realizzazioni ortografiche tra le lingue europee, tra le quali inglese e francese, cioe’ le principali e le piu’ note fuori dall’Europa, si distinguono per irrazionalita’, bizzarria e scarsa funzionalita’.
In Italia, aggiungici il provincialismo, per cui copiamo le trascrizioni inglese e francesi (o anche tedesche), in modo di solito del tutto acritico. Devo dire pero’ che le trascrizioni italianizzate sono quasi peggio (se avete presente come “traslitterava” Bausani, per dire).
m’intrometto, nella mia ignoranza dell’arabo, per puntualizzare quanto scritto nell’ultimo commenti di falecius: il cinese mandarino HA un sistema di traslitterazione fonetica degli ideogrammi basato sull’alfabeto latino, scientificamente concepito e universalmente accettato (USA esclusi, almeno fino a qualche anno fa….), studiato per permettere di scrivere in maniera comprensibile i suoni del cinese nelle altre lingue. sostituisce sia il popomofo (sistema fonetico inventato negli anni ’30 utilizzando parti di ideogrammi, complicato e comunque “alieno”) che i due sistemi inglese (Wade-Gliles)e francese (che lascio alla vostra immaginazione. mangiate molta peperonata prima di immaginarlo però, viene meglio).
è abbastanza agevole e di facile apprendimento a patto di sottostare a precise regole di pronuncia delle nostre lettere, che vengono utilizzate nel pinyin in modo alquanto diverso dall’italiano (e ci mancherebbe) ma anche da qualsiasi altra lingua che usa l’alfabeto latino, per quanto ne sappia io.
due esempi per tutti: “andare” si scrive “qu”, e si pronuncia (per un italiano) “ciù”, con la u moooolto stretta, quasi una “i”. la lettera “q” ha però sempre quel suono.
“lui ha sbagliato” si scrive “ta cuo le” e si pronuncia “ta (t calabrese) zuo (z di Orazio) l’ (e quasi muta)”
inutile dire che il pinyin è conosciuto da una percentuale ridicola di cinesi, e che comunque tutti quelli nati e cresciuti a sud del fiume giallo hanno una pronuncia degli ideogrammi totalmente diversa da quella standard (senza addentrarsi poi nel cantonese e dialetti collegati, ché non se ne esce più). è comunque un codice studiato dai cinesi per gli stranieri, che ha il pregio dell’universalità, della chiarezza e dell’univocità, a patto appunto di studiarsi la pronuncia delle varie lettere, da sole e in combinazione tra loro.
per quanto riguarda i giornalisti, e il loro livello di comprensione dell’argomento in generale, ricordo un telegiornale di quand’ero gagno nel quale si commentava l’ingresso della RPC all’ONU nel 1976 credo. il pinyin aveva già 18 anni, ma non era usato al di fuori della Cina e degli studi sinologici, e il sistema in uso all’epoca era il Wade-Giles.
ebbene, il serafico mezzobusto disse più o meno: “Da oggi la Cina poplare fa parte dell’ONU, e per questo ha deciso di cambiare la trascrizione dei nomi cinesi nell’alfabeto occidentale. Quindi, da ora in poi non si dirà più “Mao Tse Tung” ma “Mao Ze Dong” (chiaramente, letto com’era scritto”
aveva capito tutto, e credo che la tendenza non sia cambiata….
Non c’entra direttamente, ma spero che tutti conosciate questo:
la tastiera araba di Lexilogos
Molto utile!