L'Uttar Pradesh alla prova del fuoco (a 18 anni dalla strage di Ayodhya)
La madre di tutti gli scontri politico-religiosi contemporanei si trova in India, nell’Uttar Pradesh, ad Ayodhya.
Questa scheda, apparsa su Agenzia Fides, narra la vicenda con un buon livello di dettaglio:
New Delhi (Agenzia Fides) – Il “caso Ayodhya” rappresenta un paradigma perfetto di come la religione possa essere strumentalizzata per fini politici, ottenendo il massimo risultato. Il dissidio in questione appare di primo acchitto strettamente giuridico-religioso: due differenti comunità di fedeli rivendicano il diritto di costruire un tempio in uno stesso luogo. Ma il caso ha costituito la “rampa di lancio” nell’agone politico di un partito nazionalista apparso sulla scena indiana in tempi recenti, solo nel 1980: il Baratiya Janata Party (“Partito del Popolo Indiano”), giunto in meno di vent’anni fino al governo federale della vasta nazione indiana. Il partito, che si è alimentato continuamente dell’ideologia nazionalista dell’hindutva (“induità”, al motto “l’India agli Indiani”), ha cavalcato la tensione interreligiosa e sfruttato a proprio vantaggio la disputa di Ayodhya.
Il casus belli riguarda un sito dove nel 1528 il sultano moghul Babur ordinò la costruire di una moschea, la Babri Masjid, proprio nel punto in cui, secondo gli induisti, sorgeva in precedenza un tempio dedicato al Dio Rama, una delle reincarnazioni della divinità Visnù.
I primi attriti fra le comunità religiose si registrano già nel 1859 e l’amministrazione coloniale britannica decide di ergere una staccionata sul luogo conteso. Un secolo dopo, il dissidio non è sopito: all’interno della moschea appare un simulacro del Dio Rama, scatenando la proteste dei musulmani, che intentano una prima causa civile. Il governo dichiara il luogo “area contesa” e pone la moschea sotto sequestro.
Occorre però aspettare gli anni ‘80 perchè la contesa sfoci in aperta violenza: nel 1984 il movimento fondamentalista indù “Vishwa Hindu Parishad” (VHP, “Consiglio Mondiale Indù”) forma un comitato per “liberare” quello che viene definito “il luogo di nascita di Rama”, al fine di costruire un tempio in suo onore. A questo punto il leader del BJP Lal Krishnan Advani assume la leadership della campagna contro la moschea: da allora il tema di Ayodhya sospinge le fortune elettorali del BJP, che passa rapidamente dal 7,4% dei consensi nel 1984 fino al 21,1% del 1991. Quando nel 1991, il BJP si aggiudica le elezioni nello stato di Uttar Pradesh, si prepara il peggio: il 6 dicembre 1992 la moschea viene rasa al suolo da una folla di militanti indù, sotto gli occhi immobili della polizia. Ben presto si scatenano ritorsioni e scontri fra musulmani e indù,con un tragico bilancio di oltre 2.000 morti. Il sito viene posto sotto sequestro. Pur con un alto tributo di sangue, la vicenda ha raggiunto il suo scopo: compattare le fila e aumentare il consenso sociale fra i correligionari, che si tradurrà in sostengo politico per il BJP. Il percorso del partito si concluderà quando il BJP otterrà nel 1996 la maggioranza relativa e nel 1998 il governo del paese.
Uno strascico ulteriore si avrà nel 2002, quando il Premier indiano Atal Bihari Vajpayee, del BJP, annuncia la posa del prima pietra del tempio indù ad Ayodhya, per poi ritirare il proclama. Ma gli estremisti vanno avanti e si preparano alla celebrazione della posa. La tensione latente esplode quando, il 26 febbraio 2002, un treno carico di “volontari del Dio Rama” viene assalito da militanti islamici nella stazione di Ghodra, in Gujarat. Si scatenano nuove violenze interreligiose, con oltre 700 morti.
La contesa finisce in tribunale. Nel processo vengono ascoltate le testimonianze degli archeologi, sulla presenza di resti di un tempi indù antecedenti alla moschea. Giovedì 30 settembre il tribunale di Allahabad emetterà la sentenza, a cui potrà comunque seguire un processo di appello. (PA) (Agenzia Fides 28/9/2010)
Oltre a spaventarvi per il numero di morti, vi chiedo di prestare attenzione allo “schema”:
- esiste un dissidio di natura spirituale e religiosa all’interno di una comunità;
- una fazione politica di tipo identitario se ne appropria per fini politici (cucendoci sopra una ideologia semplice semplice);
- grazie a questa appropriazione quella fazione politica va incontro a grandi fortune elettorali;
- si crea una frattura irrimediabile all’interno della comunità e scoppia la violenza a sfondo politico-religioso.
Ma veniamo a oggi.
Da diversi giorni prima della sentenza le autorità indiane hanno praticato una sorta di terrorismo delle coscienze di proporzioni impressionanti:
Per monitorare la situazione nelle principali città dell’Uttar Pradesh, il Ministro degli Interni della Federazione indiana, P. Chidambaram, ha incontrato i vertici civili e militari dello stato. Le forze di sicurezza hanno lanciato una vasta campagna preventiva, arrestando complessivamente nelle città e nei piccoli centri dello stato, oltre 8.000 elementi estremisti, considerati “antisociali”, e potenziali provocatori di scontri interreligiosi. Inoltre, circa 55mila uomini, su invito delle autorità e della polizia, hanno sottoscritto un documento in cui si impegnano a non arrecare disturbi alla pace sociale nei prossimi sei mesi.
Attualmente le forze di polizia pattugliano tutto il territorio e controllano specialmente l’area di Malwa e alcuni quartieri intorno a Bhopal, Jabalpur e Sagar, identificati come aree particolarmente esposte a rischio di violenze. In tali località molti esercizi commerciali restano chiusi per timore di disordini.
Le misure di sicurezza sono state estese anche alla telefonia e all’informatica: fino al 30 settembre sono disattivati su tutti i telefoni cellulari i messaggi collettivi tramite SMS e MMS, utilizzati in passato come strumenti per diffondere velocemente appelli e convocare manifestazioni violente. (fonte)
Ovviamente, come sottolinea Agenzia Fides (vedi fonte), un’ampia parte di società civile locale dimostra di volere un’integrale riconciliazione.
Resta il fatto che al fine di evitare disordini un intero Stato, l’Uttar Pradesh, è stato preso in ostaggio.
L'”irrimediabile dissidio” di cui sopra legittima una repressione di dimensioni gigantesche.
A fin di bene, intendiamoci.
Un bene che, tuttavia, è “molto meno bene” di 30 anni fa.
Ed ora la notizia: ieri 30 settembre il Tribunale di Allahabad ha deciso che il sito di Ayodhya deve essere diviso in 3, un terzo dovrebbe andare ai musulmani e due terzi a due differenti gruppi hindu:
Gli indù potranno mantenere un piccolo tempio prefabbricato costruito sul corpo centrale della moschea demolita, dove è stato trovato tempo fa un idolo di Ram. Un altro gruppo indù e un gruppo islamico avranno la gestione di altre due parti della moschea (fonte).
Non so prevedere cosa succederà, ma sembra che gli animi non siano caldissimi: ci saranno ricorsi.
Un continuo update lo trovate qui.
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[fuori misura] https://in30secondi.altervista.org/2010/10/01/luttar-pradesh-alla-prova-del-fuoco-a-18-anni-dalla-strage-di-ayodhya/Fuori misuraMille moscheeagenzia fides,ayodhya,bharatiya janata party,india,induisti,scontri interreligiosi,uttar pradesh
No. L’ Agenzia Fides sarà anche in bona fides, ma a un malizioso può anche venire il sospetto che (tanto per cambiare, a partire dal dominio britannico) si tenda sottilmente a far passare il concetto delle opposte e speculari ferocie hindu-musulmane. Mi rifersico al “dettaglio”:
“La tensione latente esplode quando, il 26 febbraio 2002, un treno carico di “volontari del Dio Rama” viene assalito da militanti islamici nella stazione di Ghodra, in Gujarat. Si scatenano nuove violenze interreligiose, con oltre 700 morti.”
Sull’episodio si può vedere la sintesi di un documentato articolo di Michelguglielmo Torri qui:
http://venus.unive.it/asiamed/eventi/schede/gujarat.html
Dove giustamente non si parla di “nuove violenze interreligiose”, ma di vera e propria pulizia etnica organizzata, e della peggior specie, a danno esclusivo dei musulmani.
Per esempio:
“…Uccisioni e distruzioni hanno continuato a verificarsi e, di fatto, non sono mai cessate del tutto. Le fonti ufficiali parlano di circa 1.000 morti e 100.000 profughi; in realtà, il numero dei profughi ha superato le 200.000 unità, quello dei morti è stato dai 2.000 in su [W/EIU 20 dicembre 2002, “Nationalist’s Dark Victory”, par. 4]. La sottostima è dovuta sia ad una volontà in questo senso da parte delle autorità, sia – nel caso dei morti – al fatto che in alcune località rurali “interi insediamenti sono stati spazzati via, senza che rimanesse nessuno a segnalare le perdite alla polizia” [W/GC, “Conclusions”, par. 3].”
e ancora:
“…Come in passato, i massacri sono stati condotti con una ferocia rivoltante: bambini bastonati a morte di fronte ai genitori, prima che anche questi ultimi fossero uccisi; donne incinte sventrate e i feti tagliati a pezzi o bruciati dai valorosi guerrieri dell’hindutva (“induità”); stupri di gruppo di giovani donne, di fronte ai genitori o ai mariti, prima di essere bruciate vive insieme a questi ultimi. Come è diventata la regola dal pogrom anti sikh del 1984 a New Delhi, la forma preferita per mettere fine alla vita delle vittime è stata, in effetti, quella di bruciarle vive”.
Quello che l’articolo di Torri non dice, solo per motivi cronologici, è che nel 2005 la Commissione Banerjee, voluta dal Ministro dei Trasporti Lalu Prasad, smentiva la teoria dell’attacco terroristico (propugnata dalla polizia gujarati, largamente implicata nel pogrom), affermando che il fuoco nei vagoni era sicuramente di origine accidentale, e le perizie tecniche escludevano la possibilità che fosse stato appiccato dall’esterno. Guarda un po’, la Corte Suprema indiana, famosa per la sua autonomia dalle tresche locali, nel 2008 ha prosciolto da ogni accusa i poveri disgraziati accusati di “attacco terroristico”:
“The committee had ruled that there was “no terrorist angle” in the burning of the Sabarmati Express’s S-6 coach”.
Sulla costruzione artefatta del caso terroristico si veda “Overview: The Anatomy Of Manufactured Lies ” sul sempre istruttivo Tehelka:
http://www.tehelka.com/story_main35.asp?filename=Ne031107OverviewGodhra.asp
Per cui — per favore, grazie — non raccontatemi la fola del crudele assalto al treno di pellegrini hindu a opera dei crudeli “militanti islamici” per vendicare la demolizione ad Ayodhya.
Per quanto riguardo la vicenda di Ayodhya, si può approfondire con un lungo articolo di Sunil Shrivastava sul Social Scientist, consultabile in rete nella utilissima Digital South Asia Library della Chicago University:
http://dsal.uchicago.edu/books/socialscientist/pager.html?objectid=HN681.S597_252-53_041.gif
Io mi limito a osservare che, tradotto in termini italiani, sarebbe come se un gruppo di adoratori di Giove & C (niente di male, per carità, ce n’è per tutti i gusti!) radesse al suolo un chiesa di epoca rinascimentale, sostenendo che senza dubbio quello era il luogo di nascita di Ercole, e una corte giudiziaria dicesse che sì, in effetti hanno il diritto, dopo avere raso al suolo la chiesa, di costruirci un tempietto a Ercole, e magari di fianco ci si fa una nuova chiesetta più piccola.
D’altra parte la soluzione dell’Alta Corte di Allahabad è interlocutoria (scaricabarile, credo si dica): che diamine, oggi iniziano i Giochi Asiatici, di certo il grande business non gradisce scontri interreligiosi; se ne riparlerà fra tre mesi alla Corte Suprema di Delhi. Temo che il commento più sensato sia quello di un anonimo indiano:
“The only way to appease Hindus and Muslims in Ayodhya is clear. Build a shopping mall. All will come to pray there together”.
Mizam ti ringrazio veramente per questo lungo e documentato commento. Non posso far altro che darti spazio: questo tuo commento merita un post, ora ti invito a far parte dell’allegra compagnia degli autori di Tutto in 30 secondi.
p.s. riguardo al mall: io e Darm ieri ipotizzavamo un centro culturale, ma un mall è meglio alla fine :-)