Ritorno al futuro e verdificazione islamica
Medina non è l’unica città “islamica” verde (qui). Anche Bogor (Indonesia), Salleh (Marocco) e Sana’a (Yemen) sono verdi, pare.
Questo è ciò che emerge dalle notizie che ci giungono da Bogor, in Indonesia.
Ecco cosa scrive Adnkronos, seguita a ruota da un buon numero di altre agenzie, giornali – on-line o meno – blogs etc.:
Giakarta, 2 mar. – (Aki) – Si è conclusa oggi a Bogor, Giava occidentale, la prima conferenza islamica sui cambiamenti climatici durante la quale Bogor (in Indonesia), Medina (in Arabia Saudita), Salleh (in Marocco) e Sana’a (nello Yemen) sono state individuate come ”le quattro città ‘verdi’ del mondo islamico”. Ovvero, si tratta di esempi da seguire in nome del rispetto dell’ambiente.
Durante la due giorni di conferenza, i partecipanti hanno inoltre discusso su come i paesi musulmani possono contribuire alla lotta contro i cambiamenti ambientali e sulla necessità di formare una ‘Moslem Association for Climate Change Action (MACCA)’, ovvero un’organizzazione ombrello incaricata di portare avanti i programmi del gruppo.
La conferenza di Bogor segue l’agenda del ‘Moslem Seven Year Action Plan for Climate Change (M7YAP)’, dichiarata a Istanbul, Turchia, nel giugno del 2009. Questa prevede, appunto, un coinvolgimento sempre maggiore e graduale dei paesi islamici nei prossimi sette anni.
Organizzata da gruppi islamici indonesiani e sostenuta dal governo di Giakarta, la conferenza ha visto la partecipazione di circa 150 esperti da almeno 30 paesi islamici, inclusi Emirati Arabi, Brunei, Malaysia, India, Arabia Saudita, Iran, Kuwait ed Egitto, oltre all’Inghilterra.
Dovrei iniziare a commentare la notizia, ma c’è un problema grosso.
Che questa conferenza non c’è mai stata.
O meglio: la notizia del fatto che effettivamente la conferenza si sia tenuta è stata riportata soltanto da fonti italiane.
Ho cercato un po’ ovunque e, in inglese, ho trovato questa cosa qui, che sembra essere un vero e proprio calco della notizia di Adnkronos.
Peccato che usi il futuro, perché è datata 20 febbraio.
Se poi qualcuno sa dirmi dove davvero si trova Salleh, Marocco, glie ne sarò grato per sempre.
E se qualcun altro riesce a convincermi – dati alla mano, però – che Sana’a è una città verde, gli pago un pranzo alla Città dell’Altra Economia.
p.s. by the way: nella ricerca spasmodica di maggiori informazioni sulla conferenza fantasma, ho trovato diversi interessanti documenti sulla “verdificazione” dell’islam in chiave Mondo B.
Ecco qualche link:
- Historic Istanbul Declaration of the Muslim 7 Year Action Plan on Climate Change
- Istanbul Declaration of The Muslim 7-Year-Action Plan on Climate Change
- The Muslim Seven Year Action Plan on Climate Change 2010-2017 – summary
- The Muslim World and Climate Change, by Murad Qureshi
Immagino che “Salleh” sia Salé, città marocchina di medie dimensioni sulla costa atlantica. Non ci sono mai stato, ma cosa abbia di particolarmente “verde” non lo immagino.
Posso dirti che qualche decennio fa Bogor era un luogo di villeggiatura per chi da Jakarta poteva permetterselo; grazie tante che è “verde”! :)
Tu sei un esperto di Indonesia contemporanea, ammettilo :-)
Nego. Averci scritto un articolo non fa di me un “esperto” :D
Allora il pranzo lo vinco io, anche senza dati alla mano, e ti spiego perché San’a’ è (o meglio sarebbe) una città verde.
San’a’ è famosa per le sue case-torri, e le mura oggi patrimonio dell’umanità UNESCO. Ma se si guarda a una mappa del centro storico, si noterà che i vari ammassi di queste case che creano una urbanistica fatta da un dedalo di stradine e vicoli ciechi apparentemente irrazionale, nasce dal fatto che i vari palazzi sorgevano tutti intorno a degli orti cittadini. E’ vero che oggi ne rimangono ben pochi, o per lo meno pochi sono effettivamente coltivati. Ma se si ha l’occasione di vederne qualcuno (bisogna dire anche che pochi sono accessibli, proprio perché spesso sono completamente circondati dalle case) ti assicuro che sono bellissimi, con i loro alberi da frutto che ombreggiano varie specie di ortaggi e piante basse. Inoltre, cosa particolare, sono quasi sempre posti a un livello più basso rispetto al piano stradale (immagino per ridurre l’esposizione al sole e quindi la dispersione dell’umidità).
Il concetto di orto cittadino (esisteva anche nelle nostre città) è uno di quelli che certi ecologisti vorrebbero rilanciare non solo per dare verde alle metropoli, ma anche per ragioni “alimentari” (si mormora che anche sui tetti dei grattacieli di New York oggi ci sia chi coltiva ortaggi).
Credo che in questo senso San’a’ (la “vecchia San’a’) possa fungere per lo meno indelamente da modello di “città verde”.
Sempre che non si intenda “verde” nel senso di “musulmana”, nel qual caso ci si azzecca comunque, visto che San’a’ (almeno fino a 10 anni fa) è ancora mooolto musulmana.
Credo anch’io che Salleh sia la Salè o Saleh di cui parla Falecius. Oggi è praticamente un sobborgo di Rabat, ma nel XVII sec. fu teatro di una strana repubblica barbaresca in cui convivevano pirati irlandesi e inglesi, sufi arabi e marinerie di ogni genere (cfr. “Utopie pirata” di P.Lamborn Wilson).
Sulla conferenza non mi esprimo.
D
Aggiudicato il pranzo ma insomma ce la siamo giocata in casa :-)
Comunque spero che non vi sia sfuggito un fatto centrale: come in altre occasioni si “annunciano” cose ma poi non si fanno, o si fanno parzialmente.
Io credo proprio che Sana’a sia potenzialmente un mirabile esempio di eco-compatibilità ma, se ben ricordo, aveva il problema della plastica ovvero: solitamente le monnezze a Sana’a si buttavano dalla finestra e, poiché era tutta roba organica, ciò non comportava alcun problema se non – forse – igienico.
Con la plastica questo buttare le cose di sotto creava problemi perché la plastica non viene riassorbita dal terreno il quale, dunque, si innalza. Il risultato è che le case venivano come inghiottite dal terreno “plastificato”.
Ora, questa forse è una leggenda metropolitana, non so. A Sana’a – purtroppo – non ci ho mai messo piede. Però dico: se dichiariamo Sana’a città verde significa che una politica verde è stata perlomeno avviata: in questo caso una politica di recupero di alcune vecchie “tecnologie” come “il buttare le cose di sotto” o il “fare orti in casa” etc. etc.
E invece credo proprio che questa politica non sia stata neanche vagamente messa in campo. Che facciamo? Dichiariamo Sana’a “città verde” per “meriti storicamente documentati” e poi la lasciamo soffocare nella plastica?
Quanto a Salé penso abbia ragione Equipaje e la cosa potrebbe essere simile a Bogor: dichiariamo questi posti città verdi solo perché ci sono aree verdi ben curate…
Insomma: a me ‘sta cosa mi sembra una grossa presa in giro. Tanto più che serve solo a mandare avanti il branding islamico delle solite stolide ricchissime organizzazioni internazionali a guida saudita.
OK, San’a’ non può essere considerata una “città verde” dal punto di vista di una moderna concezione ecologista delle cose.
Oltre al problema plastica c’è quello delle fogne a cielo aperto, ma soprattutto quello dell’acqua (ormai carente visto che la metropoli si è ingrandita), e si sa che senza acquao per lo meno senza una sua corretta gestione, non c’è verde.
Ripeto, non so quali siano i principi che ispirano queste fantomatiche e inesistenti conferenze. è possibile che, come in altri campi, ci siano dei musulmani che stiano cercando la “via islamica” all’ecologia. E quindi si aggrappino a quel che offre la loro tradizione. (e ce ne sarebbe, ad esempio proprio sulla gestione dell’acqua).
Sulla leggenda della plastica yemenita, girava piuttosto la barzelletta che in Yemen esistesse l’ “albero della plastica”. Il problema non è tanto quello della spazzatura gettata dalla finestra. Che io ricordi ci sono “discariche urbane” che fungono da centri di raccolta per la spazzatura comune. Il problema è invece quello dei sacchetti di plastica (comune a tante metropoli del terzo mondo) che vengono utilizzati per “confezionare” qualsiasi cosa. tipo che se compri tre oggetti x in un negozio, ciascuno viene imbustato in un sacchetto e il tutto viene imbustato in un quarto sacchetto, meglio se doppio così non si rompe.
Siccome da quelle parti non piove quasi mai, la spazzatura plasticosa non si “infogna” nel terreno. al contrario essendo una regione molto ventilata (data l’altitudine), queste buste di plastica vagano nell’aere insieme all apolvere e alla terra, ma molto spesso si impigliano nei rami degli alberi, e da lì non si smuovono più per centinaia di anni.
Queste sono curiosità un po’ datate, forse ora qualcosa è cambiato. Ma per quel che mi ricordo nessun yemenita medio si poneva il problema della non biodegradabilità della plastica.
D
cfr. “Utopie pirata” di P.Lamborn Wilson
Lo voglio.
@falecius
La traduzione italiana è stata pubblicata dalle edizioni ShaKe nel 1996; Lamborn Wilson è quello che sotto lo pseudonimo di Hakim Bey ha scritto i saggi sulle T.A.Z. e altre robe antagoniste, quindi lo si trovava ben distribuito negli CSOA. Ma oggi si trova tranquillamente in varie librerie online.
D
Grazie :)
Ti volevo segnalare questa notizia (e la foto tendenziosa)
Intendi spingendo su http://onlyon.splinder.com/ ?
Questo blog è una fonte infinita di spunti, leggendo di “veridificazione islamica” e di orti “urbani” a Sana’a’ mi si sono improvvisamente aperti un paio di sportellini mentali, grazie grazie :)
Che Salleh sia Salé mi pare credibile… la sua fama verde potrebbe essere data dai Jardins Exotiques che -a dire della Lonely Planet- sono gestiti dalla “Fondazione Mohamed VI per la Protezione Ambientale” ;)
Siam qui per questo :-)
Eh già che di orti urbani te ne intendi…
Si scrivono anche post su richiesta, qui? Queste mirabili “Fondazioni per la Protezione Ambientale” sembrerebbero offrire del bel materiale ;)
Vedremo cosa possiamo fare. Abbia fiducia, signorina Equipaje, le faremo sapere :-)