No-fly zone in salsa saudita?
Tre giorni fa, il 7 marzo, Robert Fisk scrive che gli Stati Uniti hanno un piano segreto per la Libia: l’Arabia Saudita dovrebbe fornire armi ai ribelli.
La strategia collaborativa del regno saudita era già chiara quando, lo scorso 26 febbraio, era stato annunciato l’aumento della produzione di petrolio* in risposta alla chiusura degli oleodotti libici (l’Iran il 28 febbraio si è dichiarato contro e l’OPEC ieri 8 marzo non ha preso una decisione in merito).
Secondo Fisk, e non si può non dargli ragione, la cosa implica un do ut des che andrà a discapito dei cittadini sauditi, in particolare gli sciiti di al-Qatif, che hanno già manifestato e vorrebbero ancora manifestare contro il re:
If the Saudi government accedes to America’s request to send guns and missiles to Libyan rebels, however, it would be almost impossible for President Barack Obama to condemn the kingdom for any violence against the Shias of the north-east provinces.
Thus has the Arab awakening, the demand for democracy in North Africa, the Shia revolt and the rising against Gaddafi become entangled in the space of just a few hours with US military priorities in the region.
Il “ricatto saudita” di cui parla Fisk, tuttavia, potrebbe non essere così pesante: gli americani avrebbero ancora, forse, la possibilità di metter bocca nelle vicende interne saudite. E’ bene ricordarsi infatti che militarmente parlando l’Arabia Saudita è una “creatura americana”. Le armi saudite sono armi americane (ma nel businness delle armi ai sauditi sembra entrare anche la Turchia) ed è recente (settembre scorso) l’accordo fra Stati Uniti e Arabia Saudita per una fornitura gigantesca di velivoli da guerra (60 miliardi di dollari di “investimento”).
E veniamo all’altro corno di questa vicenda, del quale scrivevo lo scorso 4 marzo: sia l’Organizzazione della Conferenza islamica che la Lega Araba che la Turchia si erano dichiarate contro l’intervento militare esterno (e ciò prefigurava una cesura abbastanza netta fra coloro che in Libia hanno interessi petroliferi e coloro che non ne hanno).
Le chiusure sembrano oggi magicamente appianarsi. L’OIC e la Lega Araba si dichiarano a favore della no-fly zone (e così fa il Consiglio di Cooperazione del Golfo) proprio nel momento in cui Stati Uniti e NATO (con tutti i dubbi della Turchia che, tuttavia, nel contesto NATO dovrebbero appianarsi) valutano la possibilità di predisporla con l’appoggio di organizzazioni internazionali diverse dall’ONU.
L‘internazionalizzazione della questione libica ha un prezzo assai elevato.
————–
* Secondo quanto riferisce qui Arabianomics l’Arabia Saudita non solo sta predisponendo l’aumento della produzione ma anche la produzione di una petrolio a basso contenuto di zolfo la cui qualità è simile alla varietà libica.
https://in30secondi.altervista.org/2011/03/09/no-fly-zone-in-salsa-saudita/https://in30secondi.altervista.org/wp-content/uploads/2011/03/fly.jpghttps://in30secondi.altervista.org/wp-content/uploads/2011/03/fly-150x150.jpgIn fiamme2011.02.17,arabia saudita,consiglio di cooperazione dei paesi arabi del golfo,iran,libia,nato,onu,opec,organizzazione della conferenza islamica,petrolio,rivolta,robert fisk,stati uniti
Per carità i Sauditi nooooo.
Inserire i sauditi in un processo rivoluzionario equivale ad ucciderlo sul nascere (e a far arrivare montagne di finanziamenti all’islamismo politico locale).
Comunque:
1) Per arrivare ad una no-fly-zone condivisa dall’ONU occorre del tempo, (diciamo una settimana?);
2) Una volta che c’è l’OK internazionale (importantissimo come pressione psicologica sul regime) occorrono lunghi tempi tecnici (pensando che abbiano già cominciato a muoversi direi che un’altra settimana potrebbe bastare);
3) Per mettere la Libia in no-fly-zone occorrono basi aeree almeno in Sicilia, Creta, Malta, Tunisia, Egitto, Ciad ed Algeria. Sicilia, Malta e Creta da sole non bastano, anche se servono già come pressione, le altre non sembrano disponibili, ma molte basi aeree libiche importanti sono molto a sud (Sebha-Sabha , Giarabub-al-Jaghbūb , Cufra-Al Jawf , Sarra-Matan as’ Sarah ecc) e fuori mano per un’attacco da nord.
4) Una no-fly-zone è una dichiarazione di guerra, in quanto limita la sovranità di uno stato. La Libia avrebbe piena legittimazione dal diritto internazionale nel praticare rappresaglie adeguate (per questo a Malta se la fanno sotto).
5) Se si vuole imporre alla Libia una no-fly-zone è indispensabile abbinarla ad una campagna di bombardamenti contro la contraerea, potrebbero esserci perdite sia tra gli aerei della coalizione, sia tra la popolazione civile, con conseguenze facilmente immaginabili anche solo per le rispettive propagande;
6) Anche in condizione di no-fly-zone, sopratutto all’inizio, l’aviazione libica potrebbe eseguire alcune sortite offensive (gli Yugoslavi ci riuscirono durante la guerra del Kossovo, attaccando gruppi dell’UCK sotto il naso della NATO);
7) A Gheddafi per vincere non servono bombardamenti aerei, ma uomini, carri armati ed artiglieria, (e ne ha in abbondanza), uno strumento militare fedele (e pare che chi sia rimasto con lui lo sia), e sopratutto tempo;
8) Non faccio più alcuna previsione sulla capacità dei Ribelli di tenere la situazione militare, mi hanno molto sorpreso, sopratutto per la capacità dimostrata nell’ovest di combattere ancora mentre la situazione era disperata. Però la loro situazione rimane precaria e il tempo gioca a loro sfavore.
9) La Francia propone un intervento ben più complesso e invasivo, i bombardamenti mirati non sono altro che un eufemismo per “intervento militare”, ovvero per una campagna di bombardamenti stile Yugoslavia 1999. E, di norma, dopo una campagna di bombardamenti c’è l’intervento militare di terra.
Infine:
a) Se la rivoluzione libica fallisse tantissime brave persone sarebbero massacrate, ma il nostro ruolo, come comunità internazionale, è quello di prendere il posto del popolo e combattere Gheddafi? Oppure di aiutare gli insorti, non aiutare Gheddafi, ma rimanere a debita distanza dagli affari interni di un’altro paese?
b) Se decidiamo di intervenire saremmo i “protettori” della democrazia libica, ma questa non diventerebbe, in un certo senso, un “protettorato”? é una questione da tenere ben in considerazione visto che questo è il centenario “dell’impresa di Libia”, con tutti gli annessi (e le colpe storiche per il nostro paese).
c) Abbiamo un piano B? Insomma se gli insorti vengono sconfitti e il governo (e l’esercito) ribelle vanno in esilio li aiuteremo oppure li tratteremo come “pezzenti immigrati”, tornando a comprare petrolio dal ras di Tripoli?
d) Se non coinvolgiamo Cina e Russia (a tutti i livelli), per non parlare dell’unione africana, del Barsile e del Sud Africa (ovvero di 4 stati molto vicini a Gheddafi negli scorsi anni) questo sarà l’ennesimo intervento NATO mascherato da intervento ONU, creando altri danni alle relazioni tra le potenze.
Non capisco perché è uscito un emoticons al posto di un 8) a metà del mio commento.
Li detesto (gli emoticons non gli 8).
Noto però con piacere che oggi è dinuovo possibile commentare i vostri post.
Va bene, li tolgo :-)
Fatto
Breve aggiornamento militare.
Le forze ribelli paiono, girono dopo giorno più depresse.
In molti casi di ribellione del passato si è assistito ad un crollo. Le truppe irregolari e quelle rivoluzionarie hanno una lunga tradizione storica di umoralità, implacabili nelle offensive ma pronte allo sbandamento nelle ritirate.
Però c’è anche dell’altro:
1) Nei combattimenti in Libia abbiamo assistito, a Ras Lanouf, a varie sconfitte delle truppe ribelli per incapacità e indisciplina, queste però tornavano sempre all’attacco. Forse abbandonavano Ras Lanouf con la stessa facilità con qui la attaccavano perché non erano di lì, infatti
2) infatti a Zawiya, dove combattevano praticamente nelle loro case, nel luogo natio, hanno resistito anche molto oltre ogni possibile previsione, combattendo, per scelta o per caso, in maniera tatticamente inteligente. Hanno continuato a lottare anche dopo aver subito perdite presumibilmnete catastrofiche, nella consapevolezza che non ci sarebbe stata pietà per i vinti, quindi
3) quindi se e quando le truppe di Gheddafi arriveranno nelle città mediterranee della Cireanica potrebbero essere coinvolte in combattimenti casa per casa in ambiente urbano particolarmente difficoltosi (e purtroppo sanguinosi per i civili), sulla falsariga di quanto accaduto a Zawiya piuttosto che a Ras Lanouf.
Per questo è presto per fare delle previsioni catastrofiste di una rapida o rapidissima fine della rivolta. che hanno preso il posto, sulla grande stampa, delle previsioni ottimistiche di 2 settimane fa, in cui sembrava che Gheddafi fosse un morto che cammina.
I punti strategicamente più importanti per la difesa della Cireanica sono i due estremi dell’arco, oggi come durante la seconda guerra mondiale: Ajdabyia (che purtroppo è facilmente aggirabile) e il vecchio campo di battaglia di Bedda Fromm ad ovest, Tubruq e Bardia ad est.
Tra Ajdabya e Tuburq passa una via di collegamento diretta, lontana dalla costa, che permette di concentrare truppe alle spalle dell’altopiano costiero e inviarle in forze in ogni punto prescelto della costa.
(Anche Al Tammimi e i passi tra Jardas al Abid e Barca, disegnando un arco interno al precedente, hanno un’importanza strategica).
Non conosco le zone controllate dai regolari e dagli insorti con precisione, comunque mi pare che i ribelli non controllino al 100% la pista sud dell’arco, e quindi siano già vulnerabili. Chi controlla le oasi interne della Cireanaica? Tipo Giarabub?
Se uno dei due punti alle estremità dell’arco cade la situazione per i ribelli si fa drammatica, se cede o viene assediata Tuburq (e quindi viene chiusa la via di rifornimento con l’Egitto), la situazione diventa tragica, anche dal punto di vista umanitario.
Però per quanto detto al punto 3) non necessariamente si risolverà tutto in pochi giorni. Bisogna da un lato vedere se i ribelli riescono ad assorbire il contraccolpo psicologico di dover combattere una guerra lunga in condizioni di relativa debolezza, dall’altro vedere se l’esercito Libico ha ampie scorte di munizioni (o riesce a contrabbandarne in abbondanza).
Questo punto è importante, visto che fino ad ora l’esercito regolare non ha praticato la repressione come una guerra di movimento, in cui servono relativamente pochi rifornimenti, ma come guerra di materiale e di annientamento, ovvero concentrando al fronte artiglieria e carri armati, praticando lunghi bombardamenti preparatori, per poi logorare i ribelli in piccoli scontri prolungati. Insomma consumando molte scorte, probabilmente contando sul fatto che le scorte dell’esercito regolare sono comunque molto superiori a quelle dell’esercito ribelle (che, come tutte le milizie, spreca moltissime munizioni, anche solo per sparare in aria).
In tutto questo aggiungo solo che i tempi tecnici per una no-fly-zone sembrano allungarsi invece che ridursi, non stiamo assistendo (oppure non siamo informati a dovere) ad un ridispiegamento delle forze NATO in sud Italia e in Grecia, e, in aggiunta, 3-4 portaerei US-Navy che entrano nel Mediterraneo.
Per una no-fly-zone servirebbero centinaia di aerei, oltre ai pochi AWACS (radar volanti) già dispiegati, non dovrebbero passare inosservati, oltre ad un pesante riarmo di Malta (che non mi sembra nemmeno preso in considerazione).
Insomma mi sto convincendo che tutta la questione No-fly-zone sia un bluff, lanciato per vedere se Gheddafi si spaventa.
Non sta funzionando.
Rischia anzi di illudere gli insorti, con effetti deleteri sia sul morale, sia sulle relazioni tra i ribelli e l’occidente, che possono permanere anche nel lungo periodo, dopo la fine di questa crisi.