Carissimo Khaled, così prono non ti ci facevo
Khaled Fouad Allam, sociologo del mondo musulmano a Trieste, islamista a Urbino, ex-deputato della Margherita nonché editorialista prima di Repubblica e poi del Sole24ore, prende posizione su una eventuale “legge anti-burqa”.
Il suo “Vietare il velo per legge può dare buoni risultati” di ieri 6 aprile si riassume facilmente in questa frase:
In alcuni casi il diritto può avere una virtù pedagogica, può aiutare i popoli a cambiare, ad adattarsi alle condizioni socioculturali di un altro luogo: perché la democrazia richiede il vivere insieme, e il diritto è uno strumento per costruire il vivere insieme.
Vista così, la cosa, può avere un suo senso. Tuttavia il discorso di Fouad Allam appare confuso e talvolta sconclusionato.
Per Fouad Allam, ad esempio:
Almeno su questo punto gli esperti sono d’accordo: il velo non è un simbolo religioso. Il corpus dei testi dell’islam – il Corano e la Sunna (tradizione profetica) – non lo menziona mai in tal senso.
Ora. Io mi ritengo abbastanza esperto ma non mi sento di dire che il velo non è un simbolo religioso nonostante il Corano e la Sunna.
La croce è un simbolo religioso.
Il vangelo lo menziona mai in tal senso?
Se io mi definisco “Mangiapanista della Casetta Rosa” e i Mangiapanisti della Casetta Rosa ritengono di dover indossare una tuba arancione quando vanno a dormire in base all’interpretazione becera di una nota a margine di un testo sacro secondario, nessuno – nel mio universo di valori – può impormi di non calzare la mia tuba arancione dopo cena.
Tanto più se questo indumento e questo uso sono in auge da centinaia di anni.
Qualcuno, in base a considerazioni di vario tipo, può cercare di spiegarmi che “quello non è un simbolo religioso” e io potrei starlo a sentire.
Ma anche no.
Insomma manca il secondo corno del problema, quello dell’islam nella sua dimensione storica.
Se io impongo per legge il non-velo dicendo che “non è un simbolo religioso” opero un nonsense perché storicamente il velo è stato e continua ad essere un simbolo religioso, nonostante non vi siano grossi appigli nei testi sacri dell’islam.
Insomma nascondo la testa sotto la sabbia. O mi chiudo nel fortino, fate voi.
Col risultato che il velo diventerà, per i più radicali, il simbolo religioso per eccellenza.
E, come ho già scritto qui e qui, il sentirsi perseguitati è parte integrante di identità religiose radicalizzate.
Se invece vieto il velo perché umilia le donne, mi sottopongo a critiche ma non opero alcun nonsense.
Però, a quel punto, devo vietare tutti i veli.
Perché se, come fa Fouad Allam, parliamo di velo come simbolo di dominazione maschile e di una società patriarcale non possiamo accettare non solo burqa e niqab, ma anche tutti gli altri veli.
Fra i quali, indubbiamente, ci sono i veli indossati dalle religiose cristiane.
Se parliamo di patriarchi non possiamo esimerci dal considerare tutti i patriarchi.
O no?
Se non fosse così daremmo l’impressione che il legislatore vuole reprimere .
Per Fouad Allam, però, giungere all’eliminazione del “velo” per via “sociologica” è troppo difficile:
… il lavoro pedagogico è lento, richiede tempo, un’organizzazione capillare e la formazione del personale di culto che oggi è quasi inesistente in Europa; mentre la questione è urgente, perché si assiste alla crescita esponenziale dell’uso del burqa nelle grandi agglomerazioni urbane europee.
Per me, caro Khaled, la questione non è urgente.
E’ urgente, casomai, nell’agenda politica della destra europea.
E poi, davvero, credo che il “personale di culto” in questo discorso non c’entri un bel niente.
Se non per il fatto che il capitolo “personale di culto” si trova nell’agenda politica della destra italiana insieme al capitolo “velo”.
Caro Khaled, non ti facevo uno sherpa di Farefuturo, un fan di Sbai, un così convinto membro del Comitato per l’Islam Italiano.
Forse sbagliavo.
https://in30secondi.altervista.org/2010/04/08/carissimo-khaled-cosi-prono-non-ti-ci-facevo/Doppio veloLe destre e l'islamburqa,comitato per l'islam italiano,farefuturo,khaled fouad allam,niqab,personale di culto,suad sbai,velo
solo un appunto, il sillogismo croce-simbolo per la religione cristiana e velo-simbolo per la religione musulmana .. non è del tutto esatto. La croce in quanto simbolo religioso rappresentativo dei cristiani è paragonabile alla mezza luna. L’abbigliamento può essere simbolico invece di un rispetto per il luogo, il culto, i fedeli e ne esistono anche nella tradizione cristiana, soprattutto quella ortodossa e si tratta sempre di veli, in questo caso copricapi durante le funzioni. Ma anche in quella cattolica romana, pensiamo per esempio al velo della sposa, una volta obbligatorio e ora accessorio al pari del bouquet. L’uso o non uso riguarda più l’evoluzione, involuzione e storia del costume che altro. Verissimo invece che su questa strada “il velo diventerà, per i più radicali, il simbolo religioso per eccellenza.”
L’appunto, chiaramente, da agnostica razionalista e profonda ignorante.
a meno che tu non intendessi il crocefisso… ma in quel caso è paragonabile alla mano di fatima più che al velo…
In realtà volevo spiegare che non c’è legame fra ciò che “diventa simbolo religioso” e il testo sacro.
E’ proprio Fouad Allam che fa un po’ di confusione in merito… io mi sono limitato a rilevare solo uno degli aspetti della confusione che fa.
Quanto alla mezzaluna, in realtà, siamo messi in una posizione ancora diversa. La mezzaluna è un simbolo preso in prestito dagli Ottomani all’indomani della conquista di Costantinopoli.
E gli Ottomani erano Sultani: autorità secolari.
La mano di Fatima è un’altra cosa ancora: un amuleto.
Quando si parla di simboli dove ci si gira si sbaglia.
Effettivamente il velo in ogni sua forma è divenuto simbolo dell’islam soprattutto perché l’Occidente lo ha individuato come tale. Prima era una (opinabilissima) prescrizione, adottata in diverse forme e gradi (ma anche in molti casi NON adottata) e soggetta a varianti storico-culturali pressoché infinite.
Fra l’altro l’islam, complessivamente, è una religione assolutamente aniconica e in virtù della sua dottrina teologica (il tawhid o unicità di dio) evita quasi per sua natura le simbologie.
In termini assoluti gli unici simboli in senso proprio dell’islam potrebbero essere le scritte “Muhammad” e “Allah”.
Penso che il velo sia indossato con intenzioni diverse a seconda della persona e del luogo. In Francia è diventato un simbolo dopo la sua proibizione nei luoghi pubblici, ma altrove non lo è. Per esempio tra le donne della fratellanza islamica in Egitto è più sovente considerato uno strumento il cui fine è aumentare l’umiltà di chi lo porta e non ha nulla di simbolico. Avevo letto per un esame di antropologia un testo a questo proposito, se lo trovo ve lo faccio avere. Altre ragazze con cui ho parlato considerano i diversi tipi di velo degli aiuti sulla strada della loro crescita spirituale (anche qui il velo è uno strumento). Per alcune musulmane in italia ancora è un simbolo sì. ma del loro paese e delle sue tradizioni e ho incontrato pure una ragazzina che velata perché “è molto femminile”. In italia cos’è il velo nelle opinioni di chi lo porta? Prima di parlare di leggi sarebbe da capire bene cosa vogliamo regolare.
“e la formazione del personale di culto che oggi è quasi inesistente in Europa” secondo me è questa la frase chiave; come ho già detto in un altro post l’obbiettivo è creare una “scuola” per imàm in italia gestita da non musulmani (o forse dal comitato)
per il velo: prima chiediamo alle musulmane di integrarsi, quando poi queste rivendicano il diritto di portare il velo, utilizzando gli strumenti occidentali di affermazione dei propri diritti, se lo devono togliere. fantastico.
Mi ridelurko grattandomi il capino: ma non è proprio possibile che una donna si vesta come le pare?
Se no mettiamo fuori legge i veli, gli scialli e le scarpe con la punta…
A proposito del velo, risentitevi le parole dell’intervista alla poetessa Hissa (rimandata anche su questo blog), perché la sua posizione sul velo mi ha fatto riflettere.
Dice che per lei è una cosa tradizionale.
Piuttosto che religiosa, aggiungo io.
Infatti gli islamologi si sforzano dempre di dire (inascoltati) che il velo in sé non è un obblico islamico, se non in certe correnti dottrinarie e giuridiche e in diverse forme (hijab, niqab, chador ecc.). E si sono anche presi la briga di ricostruire il fatto che la “velatura” per le donne sia una tradizione preislamica del Vicino Oriente (nemmeno dell’Arabia) integratasi spledidamente nei costumi islamici (un po’ come la circoncisione maschile).
Ebbene mi chiedo: cosa vieta a una persona di vestirsi in maniera “tradizionale”, a prescindere che a questo vestito si possa dare un significato religioso più o meno simbolico?
Si può indossare un kilt per rivendicazioni politiche (e anche queste non del tutto corrette filologicamente), oppure travestirsi per esprimere l’orgoglio omosessuale. Si può mettere una camicia rossa (o verde) per esprimere un’appartenenza, perché dunque non si può indossare un velo quando questo non è né uno strumento della prevaricazione maschile sulle donne, né la rivendicazione simbolica di un’appartenenza religiosa, ma semplicemente “un modo di vestirsi” come faceva mia nonna?
D
Perché la prepotenza sulle minoranze è il passatempo delle maggioranze. E non fa ingrassare.
@darmius: bisognerebbe stabilire quanto il “modo di vestirsi” delle nonne era tradizione o indotto. se ne potrebbe discutere.
I presupposti sono:
1) che indistintamente tutta la componente femminile del famoso milardone e mezzo sia una massa di ignoranti/analfabete, plagiate, inerti, sottomesse e ipnotizzate in balia di di biechi fanatici religiosi;
2) che indistintamente tutti gli studiosi di ahadith e fiqh negli ultimi millequatrocentotrentuno anni, pur dimostrando una formidabile e quasi maniacale acribia nella raccolta, conservazione e vaglio delle fonti sulle usanze di Profeta, Compagni, Compagne e immediati Successori, le abbiano manipolate, travisate, reinventate o sottaciute in nome di un innato e devastante maschilismo.
3) che lo Stato occidentale abbia non solo il diritto ma anche il dovere di ergersi a giudice teologico delle faccende dei propri sudditi, instaurando una contro-teocrazia compiuta.
Ciò detto, non sapevo che Lorenzo fosse un Mangiapanista della Casetta Rosa; mi sento perciò in dovere di rivoglergli il nostro tradizionale saluto:
“Che la Grande Tuba avvolga i tuoi sonni e il Mangiapane ti protegga dal grande Ufo e dalle scarpe a punta!”
In tema di poetesse e veli, riporto breve componimento della già citata principessa mughal Zeb un-Nisa (1639-1689), scritto in risposta al poeta Nasir Ali (“O invidia della luna, solleva il velo/ e lascia che io miri meraviglia di tua beltà”):
Non solleverò il velo
Perché se lo facessi, chissà?
Usignol potrebbe obliare rosa,
E il bramino che adora
Di Lakshmi la grazia
Volgersi potrebbe
a contemplare il mio volto,
E mia beltà prevarrebbe.
Pensa al fior che cela
Come dietro densa pergola
Sua fragrante essenza,
E niun può mirarla.
Perciò mi veda il mondo
Solo nei versi che scrissi:
Non solleverò il velo.
@Mizam: grazie
@Letturearabe&Darmius: è proprio qui il problema, secondo me. Ci sono donne che fanno una scelta e donne cui le scelte vengono imposte. La questione è – in ambedue i casi – dar loro la possibilità di autodeterminarsi.
Sotto al velo ci sono donne diversissime fra loro: omologare una signora egiziana di 50 anni che indossa un hijab e viene in Italia per stare con la sua famiglia e una ragazza italiana di 21 anni che si converte e decide di indossare il niqab è un assurdo.
I background sono diversi. Le letture (se ci sono) sono diverse. Il modo di relazionarsi al proprio credo è diverso.
Ci deve poter essere un modo per fare dei distinguo.